Storie d'Impresa

TESSERE ESSENZIALI DI UN UNICO PUZZLE

Ogni collaboratore è un pezzo unico ed essenziale per il grande puzzle di un'impresa. Lo sa bene l’azienda Alberto Poiatti.
 
La storia dell’Alberto Poiatti è quella di un'azienda siciliana produttrice di pasta, nonché di una grande realtà a conduzione familiare in attività dal 1985.
Questa la data in cui Alberto Poiatti, primogenito di un’antica famiglia di pastai e socio-fondatore di un’omonima azienda, rileva per ottenere maggiore autonomia un vecchio stabilimento di Riposto (Catania). Negli anni successivi, la moglie e i figli decidono di trasferirsi da Mazara del Vallo per prendere parte al progetto avviato dal fondatore: l’unione familiare, unita alla voglia di emergere in un mercato competitivo e fortemente concentrato come quello italiano della pasta, fanno insorgere il desiderio di creare un’azienda più grande e al passo coi tempi.

A oggi l’azienda ha sede a Santa Venerina, un caratteristico paesino situato in Sicilia, alle pendici dell’Etna. Durante la nostra visita in azienda, nell’ambito delle attività didattiche del corso di Comunicazione organizzativa e di corporate (Proff. Valentina Martino e Marco Stancati), abbiamo avuto il piacere di conoscere l’amministratore delegato Domenico Poiatti, figlio del fondatore, la cui grande disponibilità ha fatto sì che da subito ci sentissimo a nostro agio.

Tra i tanti punti toccati durante l’intervista con Domenico Poiatti, quello che ci ha colpiti particolarmente è inerente alla comunicazione interna con i collaboratori. Nell’Alberto Poiatti, il clima intimo legato alla conduzione familiare stimola non solo una relazione aperta tra i responsabili, ma anche una particolare attenzione ai rapporti con i collaboratori. L'azienda si preoccupa, infatti, di curare ogni relazione con i partner, creando veri e propri rapporti di amicizia, che garantiscono una collaborazione duratura con l'impresa.                                                                                                                                                   

"Conosciamo chi semina per noi, chi raccoglie il grano, chi lo macina. Noi, infine, lo pastifichiamo"  (Domenico Poiatti)

I dipendenti costituiscono quindi il fulcro centrale per l'impresa. Durante la nostra visita in sede e successivamente in fabbrica, Domenico Poiatti non perdeva occasione di salutare ogni dipendente incontrato o di scambiare qualche parola a distanza, a causa delle normative Covid. A tal proposito, è interessante notare come la prima ondata pandemica abbia rivelato l’importanza della comunicazione interna. L'azienda, infatti, è stata una fra quelle che non solo ha continuato la propria produzione per tutto il lockdown, ma ha dovuto anche moltiplicare gli sforzi per rispondere a un improvviso eccesso di domanda nel settore dei beni alimentari da parte dei consumatori impauriti. É proprio in questo clima di insicurezza, alimentato dal contesto pandemico, che messaggi di incoraggiamento e ringraziamento ai lavoratori hanno avuto un ruolo centrale.

"A Tutti i nostri collaboratori, se non ci fermiamo è merito del vostro incessante impegno. Grazie di cuore”.

Di seguito, un breve estratto dell’intervista a Domenico Poiatti, effettuata nella mattinata del 18 novembre 2021 nello stabilimento di Santa Venerina.

C’è stata una tappa fondamentale che ha condizionato il suo futuro percorso professionale? Oppure è stato un percorso graduale e costante?

Domenico Poiatti: “E’ stato tutto un crescendo, perché avevo voglia di rivalsa, di emergere. A un certo punto ho dovuto decidere, con i miei fratelli, se procedere verso il percorso universitario o aiutare i genitori a realizzare il loro sogno, che era quello di avere un’azienda al passo coi tempi, più grande rispetto al vecchio stabilimento artigianale di Riposto. Nel ‘97 inizia il progetto di costruzione dello stabilimento attuale”.

Voi come avete gestito la comunicazione interna durante la pandemia? Come si fa a comunicare con il collaboratore quando si è tutti a casa?.

Domenico Poiatti: “Siamo stati tra i fortunati (o più sfortunati, a seconda dei punti di vista) perché abbiamo lavorato durante la pandemia e non ci siamo mai fermati. In quel momento, non vi nascondo, un po' di paura l’avevamo tutti, non sapevamo come relazionarci, si comunicava a distanza, urlando in sede per non avvicinarsi (ride), non sapevamo come affrontare l’emergenza. Poi abbiamo imparato a conviverci…”.

Una domanda tanto semplice quanto complicata: come vede l’azienda tra dieci anni? Ci sono dei progetti in corso?

Domenico Poiatti: “I nostri progetti sono quelli di automatizzare ancora di più l’azienda … Abbiamo da poco realizzato un magazzino per i prodotti finiti, ma non è ancora entrato in funzione. Vorremmo completare l’automazione, dal confezionamento alla gestione automatica del magazzino. E per questo dovrebbero volerci altri dieci anni per essere competitivi, non leader”.

 

Dalle parole dell’amministratore delegato abbiamo capito quanto, nonostante le dimensioni medio-piccole dell’impresa, quella dell’Alberto Poiatti sia una realtà pronta a mettersi in gioco e proiettata al futuro. Un’organizzazione all’interno della quale ogni componente è un tassello prezioso.

Al termine di questo articolo, che per la sua brevità non può racchiudere per intero il vivace scambio di pensieri e riflessioni che l’intervista ha stimolato, ringraziamo in particolar modo Domenico Poiatti: in primis, per aver accettato la nostra visita, per la disponibilità con cui ci ha accolti e, infine, per averci reso partecipi per un giorno del sogno realizzato di un padre, che coinvolge oggi un’intera famiglia e si tramanda da generazione in generazione.

Abbiamo deciso di raccontare la nostra visita alla sede dell’Alberto Poiatti con un video. Ci fa piacere condividerlo sul canale YT della Biblioteca di Ricerca Sociale, Informatica e Comunicazione:

https://www.youtube.com/channel/UCQX6cxiMyAytfGHYM0UwIMA

 

A cura di:

Serena Rostorosto.1971085@studenti.uniroma1.it

Andrea Pinzonepinzone.2020638@studenti.uniroma1.it

 

 

 

 

QUANDO LA TRADIZIONE FAMILIARE INCONTRA L’INNOVAZIONE

 

Convinta sostenitrice dell’innovazione, Italpepe è l’azienda italiana di riferimento nel mercato delle spezie in Italia ed emblema del made in Italy all’estero. Una realtà che si impegna per unire alla qualità del prodotto il racconto della tradizione tramite le spezie e la loro cultura.

Quella di Italpepe è una storia ricca e interessante, che si intreccia in uno stretto binomio con il territorio e la comunità in cui è nata e cresciuta. Nata dall’intraprendenza di Alfonso Vitaletti, che trasformò una stanza della propria casa in laboratorio, oggi esporta in 35 Paesi nel mondo. I valori in cui credeva Alfonso Vitaletti nel 1969 e che ha trasmesso ai tre figli Elena, Laura e Stefano, sono ancora oggi gli stessi sui quali si basa la gestione manageriale.

“La vita è il risultato di un’affascinante equazione matematica: l’amore e la passione che mettiamo nel viverla prima o poi ci torneranno”. Questo il motto di Alfonso Vitaletti che lo ha accompagnato lungo tutto il suo percorso di vita e professionale, da sognatore a fondatore e imprenditore. Motivazione ed entusiasmo sono i sentimenti che ha sempre mostrato fin dalla giovane età e che gli hanno permesso di raggiungere grandi traguardi.

Su questa esperienza è stato entusiasmante raccogliere la testimonianza di prima mano dello stesso Vitaletti (Fondatore Italpepe) e di Francesca Iannarilli (Responsabile Marketing e Comunicazione) nell’ambito delle attività didattiche del corso in Comunicazione e Organizzativa e di Corporate (Proff. Valentina Martino e Marco Stancati).

 

Di seguito, un breve estratto dell’intervista, realizzata nella sede dell’azienda a Via di Valle Caia (RM) il 14/06/2022.

 

 

Com’è nata la Sua intuizione imprenditoriale?

Vitaletti: “Partiamo dal fatto che con questa dote ci si nasce. Ai miei tempi, quando ero ragazzo, il posto fisso era una chimera. Mio padre, a tal proposito, aveva delle buone conoscenze, ma io ho sempre rifiutato perché non faceva per me. Ho iniziato svolgendo vari lavori, da un’officina meccanica ad un impiegato dell’azienda Star. Ma poi, grazie al mio spirito creativo, sono riuscito a trovare la mia strada.

[…] All’epoca mio fratello aveva un negozio di alimentari ed un giorno era entrato un rappresentante che vendeva caffè in proprio. Allora, incuriosito, ho deciso di provarci anche io. Così ho preso la vecchia macchina di mio padre e qualche soldo in prestito da mio fratello e ho iniziato la mia avventura. Un giorno, alle torrefazioni dove compravo il caffè sono stato catturato dall’inconfondibile odore del pepe: da subito avevo capito che poteva essere una geniale idea di business.

[…] Ho fallito molte volte perchè a fine mese andavo sempre in perdita, ma nonostante ciò non mi sono arreso. E direi per fortuna, perché oggi Italpepe è azienda leader nel mercato delle spezie.

 

Quali sono gli elementi chiave che hanno condotto al successo?

Vitaletti: “Sicuramente l’essere nato povero, la salute e la mia famiglia. Io vengo da una famiglia povera, vivevo in un piccolo borghetto e non avevamo davvero niente. […] Nonostante questo eravamo felici. Io sono orgoglioso di essere nato povero perché la povertà mi ha insegnato ad apprezzare le piccole gioie della vita, a dare il giusto peso al denaro, ad apprezzare ogni conquista e ad essere onesto.

[…] Devo dire che ho trovato una moglie che mi ha capito e sostenuto fin dall’inizio, educando i nostri figli, trasmettendo loro valori importanti come l’onestà e la semplicità. Siamo sempre stati una famiglia molto unita: sono molto fortunato perché i miei figli hanno sempre mostrato impegno e devozione all’interno dell’Azienda.

 

Quali sono per Lei i tratti e i valori chiave che definiscono l’identità aziendale?

Iannarilli: “I valori chiave sono sicuramente la famiglia, l’orgoglio di essere italiani e la naturalezza dei nostri prodotti.

Italpepe è un’azienda familiare che ha sempre creduto nell’importanza delle relazioni. Il concetto che ha il signor Alfonso sulla gestione familiare, sulla comunicazione e sulle relazioni e quant’altro si è allargato a tutti noi dipendenti: ogni persona è sempre stata coltivata, accolta e coinvolta. […] La qualità è un punto cardine: in azienda abbiamo il divieto di far entrare qualsiasi materia prima che contenga conservanti o additivi chimici, o qualsiasi cosa non sia naturale. […] Fondamentale è per noi anche il dialogo verso i consumatori: infatti, cerchiamo di rispondere tempestivamente alle loro richieste tramite i social ed il sito web, strumenti che ci consentono di avere un canale diretto con loro.

[…] Italpepe si concentra molto anche sulle attività di ricerca e innovazione. Tutto parte dalla Vitaletti Accademy, gioiellino e cuore pulsante dell’Azienda, il centro comunicazione, ricerca e sviluppo; è costituita da esperti in varie discipline e di consulenti esterni a cui ci appoggiamo a seconda dei vari progetti da realizzare.

 

Come immagina il futuro dell’Azienda?

Iannarilli: “Immagino il futuro dell’Azienda una conferma di quello che stiamo creando, ovvero un’azienda di spezie made in Italy che sta ispirando il mercato delle spezie non solo nel nostro Paese, ma anche all’estero. [...] In occasione della fiera del Cibus a Parma sono rimasta piacevolmente colpita dall’interesse di tutte le nazioni verso i nostri progetti; anche l’ufficio stampa di New York era interessato alle nostre nuove linee […]. Il tutto favorisce la diffusione delle spezie italiane e, soprattutto, la cultura e la tradizione stessa del nostro Paese.

Un sentito grazie ad Alfonso Vitaletti e Francesca Iannarilli per l’accoglienza e coinvolgente testimonianza. Italpepe rappresenta una storia italiana di successo, una di quelle storie belle da raccontare e da ascoltare. L’esperienza, la competenza e la passione fanno la differenza. E qui si vede.

 

A cura di:

Noemi Gliottone       gliottone.1852809@studenti.uniroma1.it

Sara Fratini                fratini.1795995@studenti.uniroma1.it

 

 

 

UNA VETRINA SUL MARE

 

Un nome, una storia: E. Marinella rappresenta l’eccellenza, la qualità e l’eleganza della sartoria artigianale napoletana nel mondo. Un fiore all’occhiello per la città di Napoli e una realtà che da oltre un secolo riesce ad innovarsi e adattarsi ai cambiamenti della moda e della storia, pur restando saldamente ancorata ai valori della tradizione.

 

Nata nel 1914 con la volontà di far capire ai cittadini partenopei che si possono fare cose importanti partendo da Napoli ea Napoli, dal 2002 “il piccolo angolo di Inghilterra a Napoli” espande i propri orizzonti, da Roma a Milano, da Tokyo a New York, divenendo così “un angolo di Napoli nel mondo”.

 

Gli ingredienti del successo sono racchiusi nei quattro volti dell’azienda: la lungimiranza del fondatore, Eugenio Marinella, la perseveranza del figlio Luigi, l’intelligenza di Maurizio Marinella che, con spirito critico, ha saputo guardare ai cambiamenti inevitabili della globalizzazione, decidendo con grande equilibrio di aprire corner e negozi monomarca in città italiane ed estere, e l’intraprendenza di Alessandro, quarta generazione, che oggi guarda ad un futuro sempre più digitale.

 

Oggi Marinella rappresenta un simbolo di innovazione e, allo stesso tempo, di tradizione: ogni giorno si lavora per conservare la scrupolosa attenzione alla qualità delle materie prime. Le sete vengono infatti stampate a mano in Inghilterra con metodi tradizionali e la fattura resta rigorosamente artigianale.

 

Di seguito, un breve estratto dell’intervista a Maurizio Marinella (CEO) e Massimiliano Tomasetta (Brand Manager E. Marinella).

 

Quali sono le tappe che hanno segnato la storia di Marinella, le tappe positive e anche, se ci sono stati, momenti di difficoltà?

Marinella: “Per i momenti belli partiamo naturalmente dal 1914, la data di inaugurazione del negozio, la lungimiranza e la genialità di mio nonno nell'aprire questo spazio […] che, da quel momento, rimasto un punto di incontro, tanto da indurre la scrittrice e giornalista Matilde Serao a paragonarlo ad una farmacia di paese. Un concetto, quest'ultimo, che è andato un po’ scomparendo, ma che in passato evocava un luogo magico, di incontro, dove si riunivano i notabili e si stabilivano le sorti del paese. Insomma, il negozio è stato sempre un po’ un punto di incontro e, siccome siamo napoletani, e come tali scaramantici e tradizionalisti, iniziammo ad aprire la mattina alle 6.30. E continuiamo a tutt'oggi ad aprire la mattina alle 6.30. […] Un altro momento bello lo abbiamo avuto nel 2011, quando sono stato nominato Cavaliere del Lavoro, che è la massima onorificenza per chi faccia il mio lavoro. Nel 2017 siamo stati scelti come unica azienda italiana ad esporre al MoMa”.

 

Come Marinella riesce a mantenere i valori del Made in Italy?

Marinella: “Beh… i valori del Made in Italy sono per noi principalmente i valori del Made in Naples, e quindi dell’artigianato. L’artigianato sta diventando un argomento difficile, anche perché è difficile trovare delle persone che abbiano ancora la voglia di trasmettere il lavoro manuale […]. A maggior ragione, siamo orgogliosi di sostenere tutto questo: ilMade in Italy, il fatto a mano, una napoletanità che comunque affascina, nel bene o nel male. L'unicità di Napoli nel trasmettere genialità, voglia di colore, irrazionalità creativa.

 

E com’è il rapporto di Marinella con la città di Napoli?

Tomasetta: “Allora, per fortuna, la città riconosce questa azienda non come un semplice store, ma come un elemento caratteristico della vita cittadina. Anzi, Maurizio vi può raccontare quando un giornalista ha fatto una classifica delle città, ricordi?"

Marinella: “Certo. Circa 10-12 anni fa una società di comunicazione, quella di Klaus Davi, fece una specie di classifica, ponendo una serie di domande in ogni città. Uno di questi quesiti  era "quando si dice Napoli, qual è la prima persona che ti viene in mente?”: al primo posto è arrivato Maradona, al secondo Totò, al terzo Marinella, al quarto San Gennaro! […] Insomma, arrivare prima di San Gennaro: questo sì che è un bel riconoscimento!”.

 

Per Lei cosa vuol dire essere a capo di Marinella?

Marinella: “Mah, non mi sono mai sentito a capo, bensì parte integrante di una famiglia, e questo ha rappresentato la grande forza di questa azienda. Tutti abbiamo sempre collaborato nella scelta dei tessuti e dei capi, anche perché, stando a contatto con il pubblico, abbiamo il termometro di quello che la gente chiede, vuole.

[…] Mi sento parte integrante di una grandissima famiglia che mi ha dato gioie, partecipazione, disponibilità, dimostrandomi un cuore enorme. Quindi è forse un modo di portare avanti l’azienda in maniera anacronistica rispetto ai tempi moderni, attraverso il cuore e l'emozione.  Sono convinto che la qualità di un prodotto sia data non solamente da una bellissima seta o cachemire, ma anche da come stanno le persone, come lavorano, come mangiano, come si sentono in azienda; e, dunque, dall’entusiasmo che cerchiamo di trasmettere per coinvolgere le nostre persone”.

 

Grazie ar Maurizio Marinella per averci testimoniato che il lavoro è passione ed emozione. Quelle stesse che lo invogliano a portare avanti il suo sogno, nonostante le numerose offerte ricevute per vendere l'azienda: perché, come è solito affermare, “io vivo ancora un’emozione e un’emozione non riesco a valutarla”.

 

 

A cura di:

Zaira Monti Natale: montinatale.1870534@studenti.uniroma1.it

Giulia Notarsanti: notarsanti.1868234@studenti.uniroma1.it

 

 

 

 

INNOVAZIONE ED ETICA: IL CONNUBIO PERFETTO

 

 

You&Web è una web agency nata nel 2013 e con sede a Roma. La sua attività spazia tra molteplici ambiti della comunicazione e dell’innovazione, con l’obiettivo di soddisfare al meglio la clientela. Il suo percorso inizia nel settore politico, con la comunicazione di campagne elettorali nazionali ed europee, per poi addentrarsi nel mondo della comunicazione integrata, offrendo servizi legati alla comunicazione sia tradizionale che digitale.

La nostra ricerca, realizzata per il corso di Comunicazione Organizzativa e di Corporate della Prof.ssa Valentina Martino, è iniziata con un’intervista presso la sede aziendale. È stata un’esperienza divertente e importante, tanto per i valori professionali che ci sono stati trasmessi quanto per la passione e l’avanguardismo che i due intervistati hanno fatto trasparire attraverso le loro parole. Abbiamo proseguito il nostro lavoro raccogliendo informazioni dal sito aziendale, cercando poi di elaborare un progetto che restituisse le sensazioni che abbiamo provato quando ci siamo interfacciati direttamente con la realtà di You&Web, oltre che la portata innovativa della sua attività.

You&Web offre ai propri clienti la possibilità di spaziare dall’offline marketing più classico all’unconventional marketing, oltre che campi ancora poco conosciuti come gli NFT e la blockchain. Tutto ciò è accompagnato dalla volontà di voler allargare costantemente la propria visione, cogliere per primi opportunità innovative, restare sempre un passo avanti.

You&Web nasce dall’intuizione di Gian Luca Comandini, divulgatore tecnologico ed esperto in comunicazione digitale. Comandini è stato tra i primi, in Italia, ad esplorare i mondi ancora poco conosciuti dei social media e della blockchain. Ciò lo ha reso uno dei principali opinion leader italiani si settore, oltre ad essere inserito da Forbes, nel 2019, nella lista degli Under 30 che cambieranno il futuro. Insomma, una figura notevole nel panorama comunicativo e digitale, che ha saputo cogliere agli albori la direzione giusta verso cui stava andando il mondo digital.

Di seguito, un breve estratto dell’intervista a Ivan Tamburrini (Co-founder) e Massimo Nese (Project Manager), realizzata presso la sede di You&Web il 23 novembre 2021.

In che modo You&Web riesce a rendersi unica e distinguibile rispetto alla concorrenza?

Ivan: “Spaziamo su tutto a 360 gradi e siamo esperti in diversi settori. Nonostante ci occupiamo prevalentemente di comunicazione, grazie alla conoscenza delle tecnologie riusciamo a essere avvantaggiati e incrociare diverse idee, venendo incontro al cliente che magari vuole crescere anche in altri ambiti. Abbiamo una holding che conta quasi dieci società e quindi, occupandoci di vari settori, possiamo permettere al cliente di fare qualsiasi cosa desideri. Il cliente si trova avvantaggiato con noi. Questa capacità ci ha aiutato tantissimo. Io e Gian Luca [Comadini] ci eravamo posti questo obiettivo, quindi spaziare in più settori, e questo ci differenzia tanto dagli altri”.

Massimo: “Ciò può essere in controtendenza con la capacità di specializzarsi su un unico standard. Invece qui abbiamo sempre avuto una visione differente: quella di integrare persone e aziende diverse, in modo che i saperi riuscissero a mutuarsi uno con l’altro. In questo modo si riesce a fidelizzare molto di più il cliente, in quanto lo si accompagna in un percorso più complesso, passando tra la comunicazione, il marketing, la blockchain, NFT, la formazione, la finanza agevolata”.

Cosa rappresenta per You&Web l’innovazione? Quanto e perché è importante?

Massimo: “È una domanda da un milione di dollari. L’innovazione è un concetto molto contraddittorio. Con l’innovazione si salvano vite. Sì all’innovazione, dunque. Noi ci lavoriamo, provando a farlo in modo etico. Per esempio, con il lavoro di Gian Luca [Comandini] sulla blockchain e le criptovalute. L’innovazione deve esserci. Ma spesso innovazione non significa qualcosa di positivo, di etico. Quando ci troviamo di fronte a uno strumento innovativo, su di esso aleggia sempre il mistero e se ne può fare anche un utilizzo improprio. Pensiamo alla bomba atomica. O, più banalmente, a Facebook: è uno strumento di marketing e comunicazione eccezionale, ma nel momento in cui lo si usa per diffondere fake news, lo si sfrutta in modo errato. Noi abbiamo sempre vissuto in modo conflittuale il termine innovazione. Quindi sì all’innovazione, che andrà sempre avanti, ma da applicare in modo etico. Nel nostro piccolo, agiamo in questo modo. (…) La tecnologia va avanti molto velocemente, e il nostro cervello ha poco tempo per assimilare il potenziale di uno strumento innovativo. L’uomo è fallace, è portato a usare male i nuovi mezzi. Bisogna cercare di capire l’innovazione ed applicarla eticamente.”

L’innovazione, appunto. È il concetto che meglio si associa a You&Web, una visione che accompagna costantemente questa realtà e il suo lavoro. Uno speciale talento che, assieme alla lungimiranza e alla forte propensione all’ascolto e al miglioramento costante, diviene quindi innovazione etica.

 

A cura di:

Nicola Stabile: stabile.2005666@studenti.uniroma1.it

Mariateresa Reina: reina.2004969@studenti.uniroma1.it

 

 

 

UNA LIBRERIA ARTIGIANALE CON BIRRE INDIPENDENTI

 

 

Definire Altroquando è un compito non facile. Difficile etichettare una realtà così originale e poliedrica, che chi scrive ha avuto modo di esplorare mediante un approfondito “ritratto d’impresa”, elaborato a sei mani per il corso di Comunicazione organizzativa e di corporate (Proff. Valentina Martino e Marco Stancati).

 

Altroquando nasce nel 2002 come libreria specializzata in cinematografia, per dare vita oggi a una libreria indipendente dedicata a vari generi. Il titolare, nonché principale protagonista della storia di Altroquando, è Alessandro Alessandroni, libraio romano che è stato per quattro anni Presidente dei Librari romani (ALI).

Altroquando vuole essere un luogo di incontro, un laboratorio culturale che racchiude diverse attività: dal cucito al comedy show, dalla lettura condivisa alle giornate a tema. Risale inoltre al 2009, in occasione di un cambio di sede, l’apertura di un pub nello spazio sottostante la libreria: AnderQuando, «spazio per realizzare le attività e catalizzare tutte le energie che girano intorno ad una libreria come la nostra».

 

Pur cambiando sede per ben tre volte nel corso degli anni, la libreria è sempre rimasta ubicata nelle vicinanze di Piazza Navona, fino all’attuale collocazione in via del Governo Vecchio, di fronte alla quale si trova la versione inglese di Altroquando: OtherWise, libreria specializzata in lingua straniera nata dalla collaborazione tra il titolare di Altroquando e Edizioni EO. L’identità di fondo si è sicuramente adattata al cambiamento del pubblico, con la moltiplicazione dei turisti a scapito dei romani. Tuttavia, lo spessore socioculturale di Altroquando è evidente anche nel suo pubblico variegato, composto da persone curiose che s’imbattono in un luogo dall’atmosfera mistica, dalle pareti dipinte di parole e arredi particolari. Un pubblico selettivo, di quanti cercano un titolo particolare o un’edizione rara, anziché i bestseller commercializzati dai grandi gruppi editoriali.

 

L’impresa editoriale eretta da Altroquando è giovanile, inclusiva, leggera, pur avendo oramai raggiunto i 20 anni, festeggiati con un evento celebrativo che ha cercato di ricomporre i diversi aspetti della cultura e dell’heritage aziendale, verso i quali Altroquando avverte la necessità di una maggiore valorizzazione.

 

Di seguito, un breve estratto dell’intervista ad Alessandro Alessandroni, effettuata nella mattinata del 17/11/2021 a Roma, nella sede di “Otherwise”.

 

Qual è la vision di Altroquando?

 “Creare un posto dove mi piacerebbe stare”.

 

Come hanno avuto origine il nome e il logo di Altroquando?

 “Il nome mi affascinava, insieme a diversi altri. Avevo una lista di opzioni e questo nome l’ho trovato in un fumetto di Dylan Dog, per poi scoprire che Dylan Dog lo aveva “copiato” a sua volta da altre situazioni. Ma, aldilà del significato specifico in quel contesto, mi piaceva perché è un nome “contenitore”, è un nome che va riempito di senso. [..] È l’Idea di un qualcosa di diverso, discontinuo, capace di mettere insieme cose che non hanno un’immediata attinenza».

 

Quali conseguenze ha giocato la pandemia Covid-19 e come ha reagito l’organizzazione?

“La pandemia ha rappresentato un momento di crisi e, a un tempo, una straordinaria occasione di cambiamento. Nel momento in cui è cominciata la pandemia, era da poco stata approvata la legge sul prezzo del libro che limita lo sconto possibile al cliente. Ciò vuol dire che precedentemente sia una grande catena o un grande player online potevano vendere i libri con il 15-20% di scontro e, dunque, tagliar fuori i piccoli. A un certo punto, siamo diventati concorrenziali sul prezzo, perché lo sconto massimo possibile a oggi su un libro novità è del 5%; uno sconto su cui si può concorrere. Allo stesso tempo, durante la pandemia il maggior player online Amazon spediva generi di prima necessità, piuttosto che libri: le librerie sono state tra le prime aziende a essere riaperte, dopo le farmacie. Insomma, questa serie di condizioni ha fatto sì che chi voleva un libro dovesse rivolgersi per forza a una libreria. Sono nati vari portali che facilitano il commercio online per le librerie indipendenti e questo ha aggiustato da sé le regole del mercato”.

 

Quali resteranno a suo avviso i principali insegnamenti che la pandemia ha offerto ad Altroquando?

“L’importanza della flessibilità, di mettersi nelle condizioni di non avere una struttura troppo pesante. Dare sempre più valore alle persone che lavorano in azienda”.

 

La figura dell’imprenditore culturale, infine.

È una categoria di cui Alessandro denuncia la carenza sul territorio, per via di una fondamentale mancanza d’interesse per il mondo culturale. Dalle sue parole emerge l’amara consapevolezza di un interesse monco verso la cultura: gli eventi culturali non sono promossi nell’ambito di progetti a lungo termine, che vedano investimenti economici in programmi strategici di sviluppo culturale. Si stenta ad attribuire il giusto valore alla cultura, a inquadrarla come settore nel quale investire, anziché come mero valore sociale da apprezzare.

L’imprenditore culturale è invece una figura che investe e disinveste, rischia e ritenta, dedicando la propria attività a un bene sui generis: la cultura. Annoverare tra le categorie degli imprenditori l’IC non dovrebbe apparire un’aspirazione utopica, ma al contrario una valorizzazione del ruolo degli intellettuali e della loro capacità di accrescere il valore della cultura tramite investimenti concreti.

 

A cura di:

Teresa Pedicini : pedicini.2015607@studenti.uniroma1.it

Salvatore Sansone : sansone.2017410@studenti.uniroma1.it

Michele Verdicchio : verdicchio.2020866@studenti.uniroma1.it

 

 

 

UN PICCOLO MONDO DA SCOPRIRE

 

Kokoro è un piccolo laboratorio sartoriale situato nel cuore del Quartiere Monti a Roma in via del Boschetto. L’azienda contribuisce a rendere il quartiere particolare e attraente. La sua vetrina rossa attira subito l’attenzione, anche grazie alla pianta di gelsomino che ramifica fino a formarvi attorno una cornice. L’insieme rende il negozio interessante e accogliente.

La nostra ricerca per il corso di Comunicazione Organizzativa e di Corporate, tenuto dalla Prof.ssa Valentina Martino, è iniziata con un'intervista condotta il 6 dicembre 2021 ai due proprietari Benedetta Piccirilli e David Anav e alla sarta Iulia Pavel. Durante il colloquio abbiamo avuto la possibilità di farci raccontare l'idea, la nascita, la storia dell'azienda e i suoi valori. Di seguito alcuni passaggi utili a tratteggiare la nascita di Kokoro, la sua cultura e l’impatto della crisi sanitaria.

Potresti raccontarci l’inizio del tuo percorso professionale in Kokoro?

Benedetta Piccirilli: “Ero in Thailandia e ho prodotto degli abiti che poi ho rivenduto in negozi, mercatini; ed è andata molto bene [...]. Questo è stato il big bang. Ancora non c’era assolutamente Kokoro; c’ero io e sono andata avanti così per un anno e mezzo, tra negozi e mercatini”.

David Anav: “Lei faceva più o meno il mio stesso lavoro, perché importava dalla Thailandia. Io invece producevo in India oggetti in pelle. Abbiamo iniziato a collaborare e aperto questo negozio subito dopo.”

Quali sono i valori chiave di Kokoro?

Benedetta Piccirilli: “Lo spirito base è la ricerca [...]. Dovunque vado, la prima cosa che chiedo è dove trovare un negozio di stoffe o un mercato [...]. E poi c’è uno spirito di squadra molto forte, quello di una seconda famiglia per tutti noi che la viviamo. Veniamo tutti a lavoro felici”.

Benedetta Piccirilli: “Per noi il cliente è la prima cosa. Se possiamo renderlo felice in qualunque modo, lo facciamo; fin dove è possibile, cerchiamo di accontentare tutti, di venire incontro a tutti, e questo secondo me torna indietro positivamente”.

Kokoro è una parola giapponese che significa “cuore”. Quali sono i simboli di Kokoro che identificano l’identità aziendale?

Benedetta Piccirilli: “Il nostro logo è una macchina da cucire, simbolo che ci rappresenta di più in quanto piccola sartoria, con un cuoricino dentro, perché tutto ciò che viene cucito qui dentro – con attenzione al dettaglio, al particolare, alla persona –  è fatto con amore. É un amore rivolto a qualcuno, e non soltanto per il lavoro in sé, ma per la persona che indosserà un nostro capo”.

Che effetto ha avuto su Kokoro la crisi sanitaria legata al Covid-19?

Benedetta Piccirilli:  “La produzione si è arrestata, e a quel punto nessuno sapeva più cosa sarebbe successo. Quindi, siamo rimasti veramente fermi nel primo lockdown.. Abbiamo fatto quello che la legge chiedeva: di stare a casa”.

 

Dopo l’intervista, il nostro lavoro è proseguito con lo studio del sito e dei social media (Instagram e Facebook). Abbiamo successivamente elaborato un documento ripercorrendo i punti salienti emersi dalle interviste, con particolare focus sulla storia, l'heritage e la gestione della pandemia da Covid-19. Infine, abbiamo pensato graficamente ad alcune proposte: l'archivio digitale, una reimpostazione del sito e un'etichetta celebrativa.

Abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza tramite un video racconto del nostro incontro con l’azienda. Ci fa piacere condividerlo al link:

LINK YT

 

A cura di:

Ludovica Rodinò : rodino.1856723@studenti.uniroma1.it

Ludovica Papirri : papirri.1850070@studenti.uniroma1.it

Chiara Sciannella : sciannella.1788942@studenti.uniroma1.it

 

 

 

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