EU-Turkey relations 2023

  

  • dicembre alla vigilia del summit Balcani occidentali, il PE pubblica la risoluzione Trentennale dei criteri di Copenaghen: imprimere nuovo slancio alla politica di allargamento dell'UE – P9_TA(2023)471. Nella Dichiarazione di Bruxelles (en), rilasciata al temine dei lavori, i continui inviti a proseguire sulle riforme necessarie a continuare il processo di adesione dimostrano quanto i paesi balcanici siano ancora lontani dal perseguire gli obiettivi richiesti. Michel confermando l’urgenza di portare la regione “to the EU, without awaiting the final decisions on enlargement” rende esplicito il dubbio che questa decisione non sarà mai presa. Il successivo consiglio europeo (conclusioni) – EUCO 20/23 – apre i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova. La conseguente revisione del quadro finanziario pluriennale è sostenuta da 26 Stati membri, l’Ungheria si oppone rendendo giuridicamente non vincolante la decisione. Michel si accontenta di questo primo risultato e rimanda ad un vertice straordinario l'obiettivo di convincere Orbàn. Per quanto riguarda la situazione a Gaza, dopo la votazione in ordine sparso all’ONU, non può far altro che insistere sulla soluzione a due stati e sull’accesso di aiuti umanitari. Alla vigilia del voto Borrell prendendo atto che i paesi europei avrebbero votato “unos a favor, otros en contra y otros se abstendrán” e che le operazioni militari israeliane contro i civili, nonostante le assicurazioni, si stavano intensificando, si spinge a proporre sanzioni contro i coloni ebrei responsabili della violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, dove a seguito di una variazione di bilancio approvata dalla Knesset una saranno costruiti ulteriori insediamenti. Anche se il procuratore della Corte penale internazionale recatosi in Israele denuncia che nessuno può andare a caccia di Palestinesi rimane, “l’impressione che ci sia un doppio registro” visto che contro Israele non viene presa alcuna contro, “neppure un ordine di comparizione”. In un articolo su al-jazeera, J. Greenblatt, ex inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente, difende le azioni israeliane chiedendo perché non ci siano proteste veementi per i morti in Siria, Yemen, Darfour. Dalle colonne dello stesso giornale si ricorda che questa tipo di narrativa, “backed with language borrowed from international law – completely distorts the reality on the ground […] “Everything that is happening now in Israel-Palestine is taking place within the context of colonisation, occupation and apartheid, which according to international law, are illegal. Israel is a colonising power and the Palestinians are the colonised indigenous population”. La presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo raggiungono un accordo sugli elementi fondamentali dei cinque regolamenti che cambieranno il quadro in materia di asilo e migrazione. Secondo le istituzioni europee le nuove norme, non ancora adottate, renderanno più efficace il sistema europeo di asilo. La riforma conserva la regola secondo cui il paese di primo ingresso di un richiedente asilo è responsabile del suo caso ma è previsto un meccanismo di solidarietà obbligatorio in caso di forte pressione migratoria. Verrà costituito un “pool di solidarietà” attraverso cui i paesi membri dovranno sostenere quelli definiti “sotto pressione migratoria“. Potranno farlo in due modi: con la redistribuzione delle persone o con un contributo finanziario. Il Patto salutato come storico, secondo Aubry, copresidente della Sinistra europea, “è soprattutto la moltiplicazione di campi di detenzione violenta, di rimpatri accelerati contrari al diritto d’asilo” Per Amnesty international le riforme concordate dall’Unione europea “faranno arretrare di decenni la normativa sull’asilo e causeranno maggiori sofferenze alle persone migranti.” Il contemporaneo processo di esternalizzazione della gestione delle frontiere a paesi terzi impedirà all’Europa di perseguire i propri “strategic interests in the region and diminishes the EU’s reputation as a values-based power”. La guerra a Gaza divide profondamente anche la società israeliana. Netanyahu non ha intenzione di mollare ma così rende più debole il suo governo che in Cisgiordania, di fatto sostenendo le continue violenze che i coloni continuano a commettere contro i palestinesi, favorisce un oggettivo rafforzamento di Hamas. L’approvazione di ulteriori insediamenti in Cisgiordania provoca la reazione di Ankara che è di nuovo ai ferri corti con Tel Aviv. Se le schermaglie tra i due presidenti possono essere inquadrate in un gioco mediatico più serie sono le prese di posizione turche sulla condanna della mentalità espansionistica israeliana e sulla minaccia di Israele di colpire i dirigenti di Hamas anche in Turchia. Per i commentatori più vicini ad Erdogan “Israel is the military and political headquarters of some people sent by the Europeans to invade and hold the Middle East”. Nel Medio oriente diviso tra gli assi Turchia-Qatar, Arabia Saudita-Egitto, Iran-Hezbollah la Turchia, nonostante le belle parole, non rinuncia a perseguire i suoi obiettivi, attraverso occupazione di territori in Iraq, dove infuria la guerra col PKK, e in Siria, dove continua a bombardare i curdi del Rojava. L’ipocrisia globale e l’indignazione selettiva non sono mai state così palesemente esposte come in questi mesi. I palestinesi si chiedono se le loro vite contano meno di quelle israeliane così come “the Kurds may well ask whether their lives matter at all. In questo scenario giunge come una boccata di ossigeno l’accordo firmato tra Grecia e Turchia. Più che una soluzione definitiva dei contrasti tra i due paesi sembra una sorta di congelamento necessario per non approfondire un nuovo fronte di instabilità nel Mediterraneo. La ritrovata sintonia con Mitsotakis è un’altra delle repentine inversioni di marcia cui Erdoğan ci ha abituati, “another example of his harsh rhetoric followed by bland actions”. Il presidente turco si avvia alle elezioni amministrative forte della vittoria alle presidenziali ma non del trionfo. Le grandi manovre per decidere i candidati sono già iniziate in entrambi gli schieramenti ma se AKP e MHP hanno confermato la loro partnership, l’opposizione sembra essere al collasso. Il nuovo leader del CHP Özel, dopo il rifiuto da parte dell’IYI di continuare l’alleanza elettorale, dichiara che il suo partito “amplierà la ricerca di un’alleanza con la base sociale”. L’esistenza stessa una larga fascia di dissenso costituisce per il momento la barriera di fronte a un ulteriore indirizzo autoritario del regime. Sul fronte interno prosegue il tentativo di rimettere in carreggiata l’economia (fa scalpore il fatto che la governatrice della banca centrale torni a vivere dai genitori perché le case costano troppo), nonostante il ritorno ad una politica economica ortodossa i risultati sono legati, (il tasso d’interesse nel giro pochi mesi è passato dall’8,5% al 42%) a molte variabili che renderanno lento il percorso di risanamento.

 

  • novembre riferendo al PE Von der Leyen insiste sul fatto che il punto di partenza della guerra in Palestina è il massacro del 7 ottobre e sulla soluzione dei due stati. Michel nota che “per anni sono stati mobilitati sforzi e importi enormi per la sicurezza, mentre gli investimenti nella pace non sono stati neanche lontanamente sufficienti”. Posizioni ribadite alla conferenza di Parigi. Nella conferenza stampa a fine Consiglio "Affari esteri", Borrell, più lucidamente, prende atto del “fallo político y moral de la comunidad internacional”. Opponendosi a qualunque espulsione dei palestinesi, ad una riduzione del territorio e all’esclusione dell’Autorità palestinese dai dialoghi di pace, in un articolo pubblicato dopo gli incontri con il presidente israeliano e il primo ministro palestinese, afferma che “the illegal settlement in the West Bank and violence against Palestinians have been increasing with impunity – and it has become even more brutal after 7 October”. Al successivo Manama Dialogue (Barhain), Borrell rincara la dose: il non far nulla per attuare la soluzione dei due stati, ha fornito  una “ tactical coverage to the strategy of expanding settlements in the West Bank […] the Palestinian territory has been reduced to an archipelago of small pieces of land not interconnected among them which makes much more difficult the two state solution that we are preaching”. Di ritorno dal Medio oriente, riferendo al PE, aggiunge che per l’UE è necessario raggiungere una convergenza su una posizione per essere una forza geopolitica in questo conflitto. La cacofonia dei leader europei riflette una storia di opinioni divergenti su Israele. L’attacco di Hamas e la risposta israeliana proiettano “nel regno dell’utopia” la soluzione dei due stati. “Gli europei […] non hanno voce in capitolo”, al massimo potranno sostenere la ricostruzione attendendo che Israele torni a distruggere quanto ricostruito”. La commissione pubblica il documento Review of ongoing financial assistance for Palestine - C(2023) 8300. L’esame dimostra che i controlli funzionano, non sono state trovate prove che il denaro sia stato dirottato per altri scopi, l’aiuto UE può continuare. La determinazione di Israele di non fermare il massacro, non solo rende inutile il tour diplomatico del segretario di Stato USA Blinken, ma isola ulteriormente il paese minando “its chances for long-term survival in a predominantly hostile region”. Netanyahu vuole prolungare la guerra non solo per prolungare la sua permanenza al potere ma per raggiungere un obiettivo ideologico più ampio: impedire la nascita di una entità statale palestinese. Obiettivo perseguito anche dalle le milizie dei coloni che in Cisgiordania intensificano gli attacchi contro le comunità di pastori e agricoltori palestinesi. In questo contesto la Turchia, si schiera a favore dei Palestinesi. Erdoğan, per cui Hamas è una organizzazione di resistenza all’occupazione, richiama l’ambasciatore a Tel Aviv. In effetti “ Arab regimes have let down the Palestinians since 1948, and to this day, official Arab positions are a combination of cowardice and hypocrisy” che lascia campo libero al genocidio dei palestinesi. Finalmente le parti si accordano per una pausa di 4 giorni con scambio tra ostaggi e prigionieri palestinesi. La Commissione presenta la 2023 communication on enlargment policy – Com(2023)690 con allegate le relazioni per i singoli paesi. Al termine della sessione del Consiglio "Affari esteri", concentrato su Gaza ed Ucraina, si svolge una riunione ministeriale UE-Balcani occidentali. Obiettivo della riunione è quello di intensificare il dialogo con la regione al fine di evitare ingerenze da parte di attori stranieri. Tra questi la Turchia attua un’intensa attività diplomatica in Bosnia. Mentre il Consiglio proroga di un anno le sanzioni per le attività di trivellazione non autorizzate nel Mediterraneo orientale. Il  Türkiye Report 2023 – SWD(2023)696 conferma le gravi carenze nel funzionamento delle istituzioni democratiche e del sistema presidenziale. Poiché il controllo civile delle forze di sicurezza è privo di efficaci meccanismi di responsabilità si assiste ad un deterioramento dei diritti umani fondamentali con una pressione crescente sulle organizzazioni della società civile. La UE si aspetta tuttavia che il ruolo di gendarme conferito ad Ankara dalla dichiarazione UE-Turchia sia assolto con più efficacia. La politica estera turca è in contrasto con le priorità dell'UE: non vi sono progressi nella ripresa di un processo di pace per risolvere la questione curda, il rifiuto di riconoscere la Repubblica di Cipro si aggrava con il sostegno di una soluzione a due Stati e il “retorico” sostegno ad Hamas è in totale disaccordo con l’approccio dell’UE. In definitiva, conclude il rapporto, la Turchia persegue l’allineamento con l’acquis dell’UE su una base di convenienza e in misura limitata. Le autorità turche, in un comunicato più pacato del solito, respingono le critiche che evidenziano “the insincerity of this approach and a clear double-standard”. La critica del sostegno ad Hamas è respinta perché di fronte a un massacro di stampo medioevale l’UE dovrebbe ricordare che le politiche basate sul diritto internazionale, non possono essere limitate all’Ucraina o ad altre regioni d’Europa. Infine si ricorda che il formato per la soluzione della questione di Cipro comprende solo le due parti dell'Isola, i tre Garanti e le Nazioni Unite. L’UE quindi non ha diritto di essere coinvolta tanto più che la difesa incondizionata delle argomentazioni greco-cipriote, non fa altro che ostacolare il processo di risoluzione. Dinamiche interne, regionali e internazionali sostengono la posizione di Erdoğan contro Israele. Tra le prime l’empatia dei turchi con i palestinesi. Tra le seconde la convinzione che il sostegno alla causa palestinese non può che aumentare il suo prestigio. Infine le sue parole si iscrivono nel processo di allontanamento dalla tutela occidentale del resto del mondo. Eppure, anche se permane una visione sempre più pessimistica riguardo all’adesione all’UE, alcuni commentatori sostengono che il processo di adesione possa continuare in un contesto differente quale quello della Comunità politica europea (CPE) o quello della costruzione del “Grande continente”. Di fronte al fallimento delle organizzazioni internazionali, la posizione della Turchia sarà ancora più importante nella costruzione del futuro dell’Europa. Però la visita di Erdoğan a Scholz, che doveva servire a migliorare i rapporti con la Germania e l’UE, si risove invece in un duro faccia a faccia. Tornato in patria il presidente turco è elogiato dalla stampa amica, mentre il tedesco in un post conferma che ci sono prospettive molto diverse sul conflitto. Si svolge l’ottavo forum regionale dell’Unione per il Mediterraneo, cui partecipa anche la Turchia. Nell’attuale contesto geopolitico l’importanza dell’incontro è sottolineata dalla presenza del ministro degli esteri saudita. Al centro dei lavori naturalmente la guerra in Palestina. Allineandosi ad una campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani, il parlamento turco rimuove i prodotti Coca-Cola e Nestlé dai suoi ristoranti. Un’indagine giornalistica però rivela che molte società, comprese quelle legate agli alleati politici del presidente e quella di suo figlio, continuano a fare affari con Israele. Le critiche europee al sistema giudiziario turco trovano conferma nella scarcerazione dell’assassino di Hrant Dink e nel via libera alla legge sulla “disinformazione” nei media (grazie alla quale nell’ultimo anno centinaia di persone sono finite sotto inchiesta). Quello che più colpisce però è lo scontro tra la Corte di cassazione e la Corte costituzionale “qui étale au grand jour les divisions au sein du pouvoir”. La prima rifiuta di ottemperare alla decisione della seconda di rilasciare il deputato Can Atalay (eletto quando era in prigione) e ne denuncia i membri per eccesso di autorità. Le motivazioni politiche che sottendono l’attività della giustizia turca sono confermate dall’aperto appoggio di Erdoğan alla Corte di cassazione. Il neoeletto leader del Partito popolare repubblicano (CHP), Özgür Özel, lo definisce un tentativo di rovesciare la Costituzione. Meral Akşener, leader del İYİ, invita i membri del partito a organizzare una manifestazione davanti all'edificio della Corte d'appello di Ankara. Nel campo dell’opposizione la Akşener  e Özel, in vista delle municipali del 2024, si trovano ancora a distanza dopo le tensioni seguite alla sconfitta nelle ultime elezioni. Sul fronte dell’economia di fronte ad una previsione su base annua di un aumento dell’inflazione al 65%, superiore a quella del 58% di luglio, la banca centrale  aumenta i tassi di interesse al 40%.

 

  • ottobre il CESE pubblica il parere “ Politiche e strategie energetiche nella regione euromediterranea” - EESC-2022-03888. Charles Michel in un articolo scritto per presentare la riunione informale di Granada rileva che il mondo osserva l’Europa. Nessuna autocritica, neanche sul fatto che “le priorità e le azioni chiave” da farsi negli anni a venire, scritte nella dichiarazione adottata a fine lavori, siano prese in una riunione informale. La parallela dichiarazione sulla migrazione dimostra la paralisi cui è l’UE e quanto le proposte per un nuovo sistema comune di asilo si prestino a strumentalizzazioni. A Granada si riunisce anche la CPE ma le assenze di Erdoğan e dell’azero Alyev rendono “la photo de famille moins belle que les précédentes” e impediscono una discussione sui fatti del Nagorno-Karabakh. Approfittando della scarsa attenzione dell’esercito israeliano ai confini con Gaza, Hamas scatena un violento attacco nelle zone limitrofe. Circa 1400 cittadini e militari israeliani, senza distinzione di sesso o età, sono uccisi dai miliziani, più di 150 sono presi in ostaggio e portati nella Striscia. Israele è scioccata. Per coprire le sue responsabilità Netanyahu promette vendetta e scatena l’esercito colpendo indiscriminatamente tutta la popolazione civile. A fine mese i morti a Gaza saranno più di 8000 di cui la metà bambini. La risposta dell’UE al conflitto è in ordine sparso. Prima Borrell inanella l’ennesima inutile nota di protesta poi il commissario Várhelyi annuncia la sospensione dei pagamenti all’Autorità Palestinese. La decisione è però subito sconfessata al fine di valutare se i “programmi di sostegno alla popolazione palestinese e all’Autorità palestinese debbano essere adeguati”. Poi Von der Leyen si reca in Israele dichiarando, senza concordarlo con le altre cariche, il pieno sostegno europeo omettendo di ricordare a Netanyahu i limiti imposti dal diritto internazionale. Per mettere un po' d'ordine Charles Michel, convoca un vertice straordinario per negoziare una dichiarazione comune che implicitamente smentisce la linea von der Leyen accusata di indebolire il ruolo di mediatore onesto dell’UE. Finalmente la dichiarazione comune sottolinea il diritto di Israele di difendersi “in linea con il diritto internazionale umanitario” ma anche  “l'importanza di garantire, in ogni momento, la protezione di tutti i civili”. La Presidente della CE è costretta però a replicare tramite nota interna, ad una lettera sottoscritta da circa 850 funzionari Ue in cui le si contesta la promessa di sostegno “incondizionato” a Israele e la sua “apparente indifferenza dimostrata nei giorni scorsi riguardo ai massacri di civili in corso nella Striscia di Gaza”. Il fatto che il dibattito sul ruolo dell’Europa in questa crisi si concentri principalmente sulle dinamiche interne nasconde la povertà di opzioni che l’UE ha per affrontare il conflitto. Riferendo al PE Borrell,  toccando il nodo irrisolto della politica estera comune, è convinto che l’UE per essere un attore geopolitico debba “entrer pleinement dans le rapport de pouvoirs”, così come ha dimostrato la guerra in Ucraina. I fatti di Palestina offrono all’Europa la stessa possibilità: “impulsar, más que participar” un processo che ponga fine alla violenza. In un mondo dove ormai ci sono più attori che regole comuni occorre dare “forma y cuerpo” all’autonomia strategica europea in primo luogo con il “saber quién puede hablar en nombre de quién. Y quién puede tomar decisiones en nombre de quién”.  Nella risoluzione “sugli spregevoli attacchi terroristici di Hamas contro Israele, il diritto di Israele di difendersi in linea con il diritto umanitario e internazionale e la situazione umanitaria a Gaza - P9_TA(2023)0373 -  il PE sottolinea che le dichiarazioni non coordinate da parte di vari rappresentanti dell'UE hanno portato a un approccio incoerente nei confronti del conflitto e l'importanza di fare una distinzione tra popolo palestinese e Hamas riuscendo però solo a chiedere una tregua umanitaria. Per far fronte alla situazione si riunisce al Cairo un summit per la pace che non raggiunge risultati essendo I punti di partenza, la soluzione a due stati e il diritto di Israele di difendersi nei limiti del diritto internazionale,  ormai sorpassati dai fatti. Israele si muove senza remore nei nuovi rapporti di potere di cui parlava Borrell il quale invece continua a barcamenarsi in sterili distinguo. Nelle conclusioni - EUCO14/23 – il Consiglio europeo di fine mese ribadisce quanto già detto dalle autorità europee. Nessuna azione diplomatica concreta. L’allargamento del conflitto all’intera regione, il blocco degli accordi di Abramo la definitiva morte di quelli di Oslo, lo scontro tra Israele e l’ONU, la frattura profonda nella società israeliana, l’ondata di antisemitismo in Europa, sono alcune delle conseguenze del conflitto. Pericolosi sono i contraccolpi nei Balcani. Dopo le tensioni in Kosovo e in Bosnia il forum annuale UE-Balcani su giustizia e affari interni si svolge in un clima ulteriormente appesantito dalle manifestazioni pro o contro Hamas/Israele. Si temono una recrudescenza degli scontri e un arresto del processo di allargamento. Il conflitto israelo-palestinese divide le leadership mondiali e l’opinione pubblica. I governi occidentali supinamente allineati con Israele tradiscono, vietando manifestazioni pro Palestina,  i valori a cui dicono di ispirarsi. I media tentano di silenziare coloro che hanno un approccio non allineato. La seduta inaugurale del nuovo parlamento turco è marcata da un attentato suicida rivendicato dal PKK. Di fronte ai due feriti leggeri provocati dall’attentato Erdoğan scatena una violenta campagna militare in Iraq e Siria. Attacchi nelle zone curde siriane lasciano milioni di persone senza acqua né elettricità e creano attriti con Wahington e Mosca. Impegnato nei festeggiamenti per il centenario della repubblica, che Atatürk aveva voluto laica e vicina all’occidente, Erdoğan ne riscrive la storia ancorandola ai fasti ottomani. I principali obiettivi che la Turchia dovrebbe raggiungere per essere potenza globale in quello che è definito il “Century of Türkiye”, sono fissati, non a caso, per il 2053 (600° anniversario della conquista di Costantinopoli) e nel 2071 (1000° anniversario della battaglia di Manzikert). Con una certa soddisfazione i sostenitori di Erdoğan parlano della fine della “so-called new era in the Middle East”. Il presidente turco, dopo un primo momento in cui ha aspirato al ruolo di mediatore, si erge a paladino del mondo musulmano, difendendo Hamas e accusando Israele di crimini di guerra per quello che molti considerano se non un genocidio una disumanizzazione delle vite dei palestinesi. In genere fin dal discorso all’apertura della nuova legislazione, si assiste ad un allontanamento dall’Europa. Nonostante un articolo della Costituzione, introdotto proprio dall’AKP, affermi che le decisioni della CEDU siano decisive in caso di conflitto, la reazione alla risoluzione e alla raccomandazione della PACE in seguito alla condanna di Osman Kavala, dimostrano che questo non sempre vale. Nel caso di Demirtaş non valgono nemmeno le decisioni della Corte costituzionale turca. All’interno del discorso il peso dato ai temi illustrati mostra quali siano le priorità future. La crisi economica e  le riparazioni dei danni del terremoto, sono all’ultimo posto quando invece dovrebbero essere considerate il problema più importante. “For the second century of the Republic to be the ‘Century of Türkiye’ as the President calls it, the economy must be strengthened and welfare and income distribution justice must be ensured”.  

 

  • settembre Michel sottolineando che il sistema ONU è paralizzato, se la prende con forze “ostili” che violano i “sacri principi” di “sovranità, integrità territoriale e diritti umani”, intanto in Kosovo dove i tre problemi si intrecciano, il contenzioso interetnico e interstatale diventa ogni giorno più pericoloso. Anche in  Palestina la situazione continua a deteriorarsi. “La violenza aumenta, gli insediamenti si ampliano, gli attacchi dei coloni ai civili palestinesi diventano un’abitudine e il regime di apartheid in Cisgiordania si consolida di giorno in giorno”. Gli Accordi di Oslo e il concetto a loro legato di due popoli e due stati sono ormai impraticabili, gli israeliani e gli arabi impegnati nella ricerca di una soluzione propongono una federazione che dia “uguaglianza individuale e nazionale tra tutti i residenti di questa terra […] e una reale partnership tra questi due gruppi”. La popolazione palestinese è stanca anche degli scontri tra l’autoritario governo dell’ANP ed Hamas. In Palestina così come nel resto del mondo il concetto “of “human rights”, as sacralised by the liberal West, has lost all meaning and purpose – for everyone, but especially for those of us in the Global South”. Che valore possono avere le parole di Michel all’ONU quando di fronte a questo tipo di crisi gli europei “font ce qu’ils savent faire : financiariser et exporter le problème. Un problème dont ils savent pourtant qu’il est le leur, à la fois pour leurs « valeurs », leurs économies, leurs sociétés, leurs politiques étrangères. Un échec multivalent, donc”. In Medio oriente “les acteurs «occidentaux» […] et les Européens s’y manifestent principalement par leurs objurgations et leurs ventes d’armes". Non stupisce quindi che nella ricomposizione delle alleanze nel Mediterraneo l’UE non abbia voce. Cipro Grecia e Israele approfondiscono le loro relazioni energetiche rivalutando la costruzione di un gasdotto per trasferire il gas israeliano a Cipro dove verrebbe liquefatto per la successiva esportazione via nave. Come questa iniziativa possa non entrare in contrasto con le ambizioni turche e i tentativi della stessa Israele di creare una partnership energetica con Ankara lo si vedrà. Forse a Tel Aviv interessano di più “le ripercussioni di questa intesa sul sostegno turco ad Hamas”. Viene pubblicata la “Settima relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia” – COM(2023)543. In visita ad Ankara il commissario europeo Varhely avverte che la ripresa dei negoziati di adesione potrà essere discussa solo quando Ankara intraprenderà riforme democratiche. Dal canto suo Fidan sottolinea che visti gli scenari geopolitici escludere la Turchia dal processo di allargamento sarebbe un grave errore strategico. Nel gioco delle parti Erdoğan afferma che il suo paese ha adempiuto a tutte le promesse e che se l’UE non torna indietro su decisioni, come quella sui visti, la Turchia si allontanerà definitivamente. Le parole di Erdoğan arrivano dopo la pubblicazione della Risoluzione… sulla relazione 2022 della Commissione sulla Turchia (en) - P9_TA(2023)0320, alla quale aveva già  reagito con un duro comunicato il ministero degli esteri definendo il rapporto “a collection of unfounded allegations and prejudices based on disinformation by anti-Türkiye circles, is a reflection of EP's well-known shallow and non-visionary approach not only towards Türkiye-EU relations but also towards the future of the EU." Insistendo sul fatto che “the allegations that the EP has included in the Report regarding the Aegean, Eastern Mediterranean and Cyprus issues reflecting unilateral views of certain circles and detached from historical and legal facts are null and void”. Se i media favorevoli al presidente rimproverano agli europei di dar voce a circoli antiturchi armeni e greci, dall’altro i più critici sottolineano come gli scatti d’ira del presidente, possano inficiare il programma economico di tre anni. Gli obiettivi del piano sono: la ripresa dal terremoto, il raggiungimento della stabilità macroeconomica e finanziaria, il mantenimento della crescita e dell’occupazione e la riduzione dell’inflazione il cui aumento, nei mesi di luglio e agosto, spinge la Banca Centrale ad aumentare i tassi di interesse dal 25% al ​​30%. Per Babacan c’è il rischio che Erdoğan desideroso di riconquistare Istanbul alle amministrative del 2024, sia riluttante ad affrontare il problema dell’inflazione anche se un’economia senza stabilità di prezzi potrebbe non attrarre i tanto corteggiati investitori stranieri. L’aumento del 2% dell’Iva su elettrodomestici e prodotti per la casa unito a quello delle tasse sui carburanti, pensati per ridurre il disavanzo, contribuiscono a svuotare le tasche dei cittadini turchi. Erdoğan esprime anche l’intenzione di riprendere l’iniziativa per l’emanazione di una nuova Costituzione in sostituzione dell’attuale, adottata due anni dopo il golpe del 1980. L’attivismo del presidente sembra fermo per quanto riguarda la ricostruzione post terremoto, sei mesi dopo, ancora non è stato fatto nulla e Antakia è ancora un cumulo di rovine. Mentre rimane in sottofondo la condanna definitiva di Osman Kavala all’ergastolo le giocatrici della nazionale di pallavolo, al ritorno in patria da campionesse d’Europa, sono prese di mira dai conservatori che le accusano di essere lesbiche. Anche gli attori protagonisti di uno spot a favore della comunità Lgbt sono minacciati di morte. Sono solo segnali ma la forza di Erdoğan in campo internazionale sembra affievolirsi e ciò comporta, se possibile, una maggiore repressione all’interno. L’opposizione dal canto suo non è ancora ripresa dalla sconfitta elettorale. Kılıçdaroğlu avrebbe dovuto dire addio alla politica e aprire la strada a nuovi dirigenti. "While we were thinking 'There is a government problem', we now see that we have an even more serious opposition problem […] The opposition forgot about the government and focused on its own problems". Tra gli eletri del CHP c'è un'onda che non può essere trascurata, l’attesa di un cambiamento radicale e globale nel programma, nel personale, nell’organizzazione e nella leadership.

 

  • Luglio Agosto. L’Unione per il Mediterraneo compie 15 anni. Al Sisi grazia Patrick Zaki e l’avvocato per i diritti umani Mohamed El-Bager. In Israele, nella città di Jenin, scatta l’offensiva che l’estrema destra israeliana invocava da tempo. La protesta della UE è timida quando invece “they should view opposing Israeli violations of international law as an important means of demonstrating commitment to their self-declared values. This could help Europeans counter widespread charges of double standards in the Middle East and beyond”. Le riforme del governo danno mano libera ai coloni, gli attacchi contro i villaggi palestinesi si susseguono provocando la reazione dei gruppi armati. La UE è in difficoltà. I dati riportati da Borrell non lasciano dubbi sulla violenza dell'apartheid israeliano. Viene firmato un  Memorandum of Understanding con la Tunisia. Il memorandum propone una cooperazione globale ma incompleto, “sia in virtù dei suoi poco chiari obiettivi strategici sia se si considerano le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea”. Risulta anzi un aiuto a completare l’inversione autoritaria di Saied. Da parte sua il presidente tunisino rifiuta sia le condizioni per un prestito del FMI sia di far diventare la Tunisia una piattaforma per i rimpatri dall’UE. Come l’accordo con la Tunisia anche il successivo “Processo di Roma” si delinea come prettamente securitario. Pochi giorni dopo la commemorazione del massacro di Srebrenica, si riunisce il Consiglio di Associazione e Stabilizzazione UE-Bosnia. La riunione si svolge dopo che David McAllister  e Romeo Franz hanno chiesto di imporre sanzioni contro Dodik per aver violato l’ordine costituzionale e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina. Si assiste ormai da tempo ad una recrudescenza delle tensioni in tutti i Balcani che, vista la “EU’s failure to put forward an overall strategy to address these disputes has undermined the overall credibility of the EU’s enlargement policy towards the region”. In Libia la buona nootizia è che viene riunificata la Banca centrale, la cattiva che si riaccendono, frutto di una  non risolta riconciliazione nazionale, gli scontri tra le fazioni armate.  La notizia che la ministra degli esteri Najla El Mangoush si era incontrata  con Eli Cohen, suo omologo israeliano, innesca violente proteste in diverse città. Dbeibah è costretto a garantire che il suo governo non ha intenzione di avviare un processo di normalizzazione con Israele. In Siria, a seguito del taglio dei sussidi per il carburante, si assiste a nuove proteste contro Assad. Mentre la UE decide di prorogare fino al febbraio 2024, la durata della esenzione umanitaria dalle sanzioni, la Russia pone il veto al rinnovo della risoluzione ONU relativa all’assistenza transfrontaliera alle popolazioni siriane. Mosca decide anche di non rinnovare la Black Sea Grain Initiative (BSGI) relativa all’esportazione dei prodotti agricoli ucraini. Per Borrell l’uscita dall’accordo ha il solo scopo di utilizzare il cibo come arma. Questa volta la mediazione di Erdoğan per un rinnovo non sembra essere decisiva. La liberazione di 5 combattenti della brigata Avov, la visita di Zelensky e altri accadimenti segnalano un raffreddamento delle relazioni. Il Consiglio affari esteri di luglio oltre a confermare l’impegno a favore dell’Ucraina procede a uno scambio di opinioni sulla necessità di riprendere il dialogo con la Turchia. Nella conferenza stampa a fine vertice Borrell si dice convinto che esista un interesse reciproco a sviluppare relazioni più forti. Una riduzione sostenibile della tensione nel Mediterraneo orientale e la risoluzione della questione di Cipro, saranno fondamentali in questo nuovo impegno così come sostenere le libertà e i valori fondamentali definiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dal canto suo la Turchia ha interesse ad una revisione dell’accordo sull’Unione doganale e la liberazione dei visti. È un “do ut des”, insomma niente di nuovo. Infatti la costruzione di una strada, non autorizzata, da parte turco-cipriota all’interno della zona cuscinetto e l’intenzione di Erdoğan di costruire un aeroporto internazionale riaccendono la tensione fomentata anche dalla volontà russa di dare servizi consolari. Dopo la vittoria alle elezioni la fragilità dell’economia turca spinge Erdoğan ad avviare un nuovo corso negli affari economici. Al Turkey Economic Forum Simsek (Tesoro) ed Erkan (Banca centrale) si rivolgono agli investitori, mentre il paese è alle prese con una crisi di valuta estera, rassicurandoli che Ankara ha riportato la politica economica su un terreno razionale. Si inquadra in questo contesto l’annuncio dell’aumento del tasso di riferimento dal 17,5% al 25% nel tentativo di controllare l’inflazione, di nuovo in rialzo, e il deterioramento dei prezzi. L’economia viene ancorata anche al corso di politica estera del nuovo ministro degli esteri Fidan. Considerato la “scatola nera” del presidente, ristruttura il dicastero sulla falsariga dei servizi segreti e nel suo discorso programmatico torna a sottolineare che “the ‘Century of Türkiye’ vision’s foreign policy objective was to transform Türkiye into a ‘system-building player’ allineata “with Erdoğan’s integrated approach to politics and the conceptualization of the ruling Justice and Development Party’s (AK Party) 2023 election manifesto”. La visita nei paesi del Golfo, dove continua a negoziare contratti, un riequilibrio nelle relazioni con i paesi MENA e l’assenso all’adesione della Svezia nella NATO, legata alla riattivazione del processo di adesione alla UE, vanno in questa direzione. Per quanto riguarda quest’ultimo punto è palese che l’UE viene derubricata a “succedaneo” della NATO. Nel suo discorso Fidan rimprovera all’UE il blocco del processo di adesione e l'esclusione della Turchia nel risolvere le tensioni nei Balcani “The EU cannot be a real actor without Türkiye”. Fidan dimentica, o forse vede uno spiraglio, che l’UE non è un’organizzazione di sicurezza internazionale come la NATO ma un’organizzazione sovranazionale basata sull’unione politica ed economica. Invece, a partire dall’attuazione delle sentenze della CEDU, la Turchia si trova ad affrontare problemi di indipendenza giudiziaria, democrazia pluralista e diritti umani. “The aspect that seems to be missing because Fidan did not mention it is that Türkiye needs to improve its democracy and human rights record, for the sake of the Turkish citizens, not the EU”. Il cambio del ministro dell’interno, di 52 capi di polizia provinciali e di altri funzionari per la maggior parte legati al precedente ministro Soylu ci ricordano che Erdoğan non dimentica mai l’elettorato. Dopo aver fatto fare a Soylu quello che voleva, contro il PKK e la FETÖ, ora ha bisogno di nuovi quadri per vincere, alle imminenti elezioni amministrative, nelle città controllate dal CHP. Da un lato “he is aware that he cannot do this with shark names, but with more centrist, moderate candidates who can appeal to a wider audience”, dall’altro punta a una struttura di polizia che non abbia obiettivi politici secondari. Il sindaco di Istanbul Imamoğlu annuncia la sua ricandidatura. L'annuncio arriva nel mezzo di uno scontro all’interno del CHP su un cambio di leadership dopo la sconfitta elettorale. Per Imamoğlu c’è anche il problema di come continuare l’alleanza con la Akşener di fatto morta dopo i risultati delle elezioni di maggio. La politica repressiva però non cambia. Il giornalista Pehlivan torna in cella per la quinta volta. Condannato a tre anni e nove mesi, scarcerato dopo sei mesi a causa della pandemia non gli è stato concesso di usufruire di una norma che ha concesso a oltre centomila detenuti la possibilità di evitare il ritorno in carcere e di vivere in libertà condizionata. A sei mesi dal terremoto le opere di urbanizzazione “avanzano a colpi di «fatti compiuti», scavalcando autorità locali (spesso conniventi) e procedure urbanistiche, senza tener conto dell’opposizione della cittadinanza e degli ordini professionali”. Nel villaggio di Dikmece la protesta degli agricoltori contro la cementificazione del 90% dei terreni agricoli ha come prima risposta una repressione violenta. La vicenda di Dikmece rivela due aspetti del dopo terremoto. Da un lato la devastazione della natura, dall’altro che gli aiuti non sono destinati tutti. Chi ne fa le spese in primo luogo sono i rifugiati siriani moneta di scambio tra Assad e Erdoğan. La società turca nel suo complesso è colpita. Il risultato è che “le richieste di asilo politico avanzate da parte di cittadini turchi in Europa sono state 49.720. Un aumento del 64% rispetto il 2021”

  • giugno il Consiglio GAI raggiunge un accordo su una nuova procedura di asilo e sulla gestione dell'asilo e della migrazione. Il pacchetto di misure è salutato come un passo storico nel percorso verso la riforma delle politiche migratorie. L’intesa però non è unanime, Ungheria e Polonia votano contro. Bulgaria, Malta, Lituania e Slovacchia si astengono. Dopo un’attesa di quasi tre anni l’accordo permette soltanto di dare avvio ai negoziati tra Consiglio e Parlamento europeo. Gli elementi principali non sono novità “tuttavia alcune delle misure previste si presentano come delle vere schifezze, che puntano a stravolgere il diritto d’asilo” cancellando il principio di non respingimento. L’ennesimo naufragio, al largo di Pilos, ricorda a tutti che la realtà è ben lontana dal gioco delle parti in atto. Il Consiglio europeo (conclusioni – EUCO 7/23) non raggiunge alcun risultato. Sono presenti Stoltenberg, con cui si parla della cooperazione UE-NATO e, in videoconferenza, Zelensky a cui si dà il contentino di aumentare di altri 3,5 miliardi di euro il massimale finanziario dello strumento europeo per la pace. Per l’avvio di una vera difesa europea, il che significa un governo politico davvero sovranazionale che nessuno vuole, si aspetterà. Anche lo sbandierato accordo sulla migrazione non viene approvato. Michel spiega che vi sono “due Stati membri, la Polonia e l'Ungheria, che hanno ritenuto […] di non poter approvare le conclusioni. Questo spiega perché siamo giunti alla soluzione di ricorrere alle conclusioni del presidente” rassicurando che si tornerà “sulla questione per adempiere alle nostre responsabilità”. Intanto si continua come al solito: esternalizzando, a suon di miliardi, il controllo dei flussi migratori. É stato fatto con la Turchia, lo si vuole fare con la Tunisia mettendo sul piatto quasi un miliardo di euro più un prestito del FMI. Offerte, oltre che inutili visti i precedenti esborsi ai paesi nord africani, anche rifiutate. Il “panico europeo” porta ad una narrazione distorta che crea politiche destinate a fallire. Il partenariato proposto alla Tunisia ignora completamente la repressione in atto nel paese. Nel tentativo di fare dell’UE un attore geopolitico competitivo viene ulteriormente sperperato,  in Ucraina come in Palestina o in Siria, il patrimonio di valori europei. Per Damasco la settima conferenza "Sostenere il futuro della Siria e della regione" mobilita aiuti per di 5,6 miliardi di euro per il 2023 e oltre e 1 miliardo per il 2024 e oltre. (Chairman’s statement), ma non vi sono progressi nella risoluzione del conflitto. Attacchi contro la missione KFOR in Kosovo, dimostrano come la pace sia sempre in bilico. I presidenti di Serbia e Kosovo sono convocati a Bruxelles. Borrell invita il presidente kosovaro Kurti a convocare al più presto elezioni anticipate. Come dimostrano i fatti, nonostante le aspettative di riconciliazione “Unfortunately, so far, all what we have been witnessing is just the opposite”. Anche in Bosnia la UE si ritrova a dover richiamare l'Assemblea nazionale (e il presidente filorusso Dodik) della Republika Srpska che ha votato contro l’applicazione le decisioni della Corte costituzionale. Il voto rappresenta una sorta di secessione, in grado di approfondire le divisioni etnico-politiche. Per Borrell “The vote marks a clear departure from the expectations that accompanied the granting of EU candidate status”. Le due crisi lasciano spazio all’influenza russa e a quella di Ankara che potrebbe offrire a Kurti il sostegno che non può avere dall’occidente. Non solo per la presenza di  500 commando turchi dispiegati nella zona ma per la visione del  “Century of Türkiye” as “the Axis of Türkiye.”   Più volte evocata da Erdoğan e messa in pratica nel suo primo viaggio dopo le elezioni visitando la Repubblica di Cipro Nord e l’Azerbaijan.  Dopo le elezioni la politica turca è in evoluzione. La composizione del nuovo governo, diciotto ministri di cui una donna, ha portato a un cauto ottimismo che, se confermato, riavvicinerà Erdoğan ai partner occidentali. Le linee guida del nuovo esecutivo non si discostano dai principi dell’AKP: politica sociale conservatrice, difesa del capitalismo neoliberista e, come visto, presenza internazionale. Novità è il ritorno all’ortodossia finanziaria, con le nomine di Mehmet Şimşek alle Finanze, di Hafize Gaye Erkan alla Banca centrale e di Cevdet Yılmaz, un politico con una formazione in economia, alla vicepresidenza. Cambiano i vertici dei ministeri che dispongono di forze armate. Due di loro, Soylu (interni), sostituito dal governatore di Istanbul Ali Yerlikaya, e Akar (Difesa), al suo posto Yaşar Güler (già capo di stato maggiore), non fanno più parte del governo, Hakan Fidan passa agli esteri, al suo posto alla direzione dei servizi segreti, va Ibrahim Kalin. Le nomine esprimono la volontà di Erdoğan di frenare l’influenza degli ultranazionalisti suoi alleati, di controllare da vicino quelli che sono considerati posti nevralgici e di riportare nell’ombra chi, come Soylu, rischiava di offuscare la sua figura.  Il campo dell’opposizione, naturalmente è in fibrillazione. Per Meral Akşener l'alleanza elettorale si è conclusa. Babacan e Davutoğlu, anche se eletti grazie all'alleanza elettorale, formeranno un proprio gruppo parlamentare e non escludono la possibilità di sostenere la maggioranza. All’interno del CHP il sindaco di Istanbul, Imamoğlu, spinge per un cambiamento totale rimproverando a Kiliçdaroğlu lo scivolamento nazionalista tra i due turni elettorali che ha confuso gli elettori. Selahattin Demirtaş (HDP) pubblica una lettera aperta e dichiara la sua uscita dalla vita politica. Per Demirtaş, anche se il gruppo che “ha preso il controllo del governo ha usato ogni risorsa dello Stato per condurre una campagna diffamatoria e manomettere le schede elettorali”, il partito non è stato in grado di fornire politiche in linea con le aspirazioni del popolo e ha perso voti in 87 distretti elettorali scendendo dal 11.70% al 8.8%. Per Demirtas se l'HDP avesse schierato un proprio candidato l'opposizione sarebbe stata costretta a vere concessioni per ottenere il sostegno dei curdi al secondo turno, assicurandosi così la loro piena partecipazione. Per i suoi sostenitori Erdoğan ha vinto perché si è presentato come un politico di peso nella regione e sulla scena globale. Da abile oratore, grazie alla sua educazione religiosa alla scuola Imam-Hatip, ha adattato tono e linguaggio dei discorsi a ogni pubblico. Scegliendo la musica popolare come leitmotiv della sua campagna elettorale,  ha fatto appello sia ai conservatori che ai nazionalisti. La piattaforma di comunicazione di Erdoğan è riuscita a deviare dai temi più controversi (l’economia, i ritardi nel dopo terremoto, i diritti democratici) aumentando i salari delle famiglie a basso e medio reddito e amplificando la discussione su varie riforme avviate. Al contrario, per chi ha votato contro, la Turchia ha perso un’occasione irripetibile perché gli elettori hanno dovuto scegliere tra due leader autocratici che hanno escluso la base del loro stesso partito dal processo di nomina del candidato, scegliendo di candidarsi. Erdoğan si è servito della magistratura per eliminare i rivali politici e dividere lo stesso schieramento nazionalista che avrebbe potuto creargli problemi. Nonostante la sua capacità di governo sia molto diminuita, sta impedendo l'emergere di leader più capaci di lui, aggrappandosi al potere.

 

  • maggio si svolge la terza Conferenza Ministeriale mediterranea sullo sviluppo urbano sostenibile “Implementing the UfM Strategic Urban Action Plan. La conferenza si prefigge di rafforzare la cooperazione nell’ambito dello Strategic Urban Development Action Plan 2040. Intervistato dalla RAI Borrell, avvalorando i dubbi di Macron conferma, che i rapporti UE-Cina dovrebbero essere smarcati da quelli USA-Cina. A livello istituzionale spinge per abbandonare il voto all'unanimità in politica estera ma "il problema è che serve l'unanimità per mettere fine all'unanimità […] "difficile, perché tutti vogliono mantenere il proprio diritto di veto". Nell’affannosa ricerca di una soluzione per le controversie nei Balcani L’AR è costretto a spacciare per risultati quelle che sono nient’altro che dichiarazioni di difficile attuazione. Nel giro di due settimane l’UE emana quattro comunicati stampa sulla situazione in Israele. Uno riguarda l’ennesima demolizione di una scuola costruita con fondi europei. Nell’anno del 75° anniversario della nascita dello stato ebraico il “rozzo revisionismo“, avallato dalla von der Leyen, non porterà alcuna soluzione. Nel comunicato stampa per la nomina di Luigi Di Maio a rappresentante speciale dell'UE (RSUE) per la regione del Golfo non una parola sui diritti umani. Nello studio “An Assessment of the State of the EU Schengen Area and its External Borders” – PE 737.109 – il PE individua una “systematic lack of compliance with EU law and fundamental rights violations at EU internal and external borders” che porta governi e ministeri dell'Interno degli Stati membri a non rispettare obblighi giuridici e responsabilità dell'accordo Schengen. In Turchia si svolgono le elezioni parlamentari e presidenziali. L’affluenza al 90% dimostra l’importanza che i cittadini turchi danno a questa tornata elettorale. L’UE se ne compiace e, prendendo atto delle conclusioni della missione di osservazione elettorale chiede alle autorità turche di affrontare le carenze individuate. Nel rapporto si mette in evidenza come una copertura mediatica di parte abbia dato un vantaggio ingiustificato al presidente. Si sottolineano anche le restrizioni alle libertà di riunione, associazione ed espressione che hanno ostacolato politici e partiti dell'opposizione. Si avanzano dubbi sulla mancanza di trasparenza e comunicazione, nonché sull’indipendenza dell'amministrazione elettorale. Ricordiamo, nell’anno precedente alle elezioni, le ondate di arresti tra gli esponenti curdi, il congelamento dei beni dell’HDP, le condanne ad Imamoğlu, l’arresto di giornalisti. Per ultimo le minacciose dichiarazioni del ministro dell’interno Soylu, per il quale una eventuale sconfitta sarebbe un colpo di stato, e dello stesso Erdoğan, il quale più volte ribadisce che non accetterà una sconfitta dovuta ai curdi. Per i sostenitori del presidente, ma anche per molti elettori dei partiti di opposizione, l’alleanza con i “terroristi” curdi è il discrimine tra chi è un vero nazionalista e chi non lo è, tra chi vuole una politica estera assertiva (necessaria combattere il terrorismo) e chi no, tra chi è disposto a cedere alle manipolazioni dei “Western media and think tanks have clearly chosen their side, the anti-Erdoğan position, as they are accustomed to”, e chi no. Alla immediata vigilia delle elezioni si moltiplicano violenze e intimidazioni. Imamoğlu è colpito con pietre da sostenitori nazionalisti durante una manifestazione ad Erzurum. Poiché la città è una roccaforte dell’AKP per Soylu quella del sindaco di Istanbul è stata una provocazione. Il ministro dell’interno entra in conflitto anche con il Consiglio elettorale supremo che respinge una richiesta di informazioni (sulla posizione delle urne, il loro numero e il numero di elettori in ogni urna) dai contorni poco chiari. Il Consiglio ha già fatto del suo per spianare la strada ad Erdoğan. L’organo che dovrebbe garantire un’elezione paritaria esenta il presidente e i ministri dai divieti elettorali e non tiene conto che circa il 5% degli elettori a causa del terremoto ha abbandonato i propri distretti elettorali al momento di determinare il numero dei parlamentari per provincia. Il nuovo presidente “will become our de facto despot and his appointments will be no different from a king’s men, untouchable”. Per tutto ciò “the election was technically free, if practically unfair”. Il risultato elettorale dimostra, ancora una volta, la forza di Erdoğan che pur non riuscendo a vincere al primo turno si attesta ad oltre il 49 % dei voti. Kiliçdaroğlu raggiunge circa il 45%. L'opposizione si prende il merito di aver negato al presidente una vittoria al primo turno ma L'AKP e i suoi partner di estrema destra hanno prevalso anche nel parlamento ottenendo 322 seggi su 600. L'Alleanza della nazione si ferma a 213 seggi mentre il blocco di sinistra guidato dal Partito della sinistra verde filo-curdo (YSP) è terzo con 65 seggi. Per la prima volta Erdoğan non è eletto al primo turno e il suo partito perde 30 seggi. Il presidente risulta indebolito ma non sconfitto. Per i suoi sostenitori, le elezioni dimostrano che la Turchia è una democrazia matura nonostante i media occidentali la considerino un paese autoritario. Nonostante le accuse di brogli, anche l'opposizione sembra accettare il risultato. Tra i curdi la delusione è evidente, hanno votato in modo schiacciante per Kiliçdaroğlu, ma non è stato sufficiente. Il Partito Democratico del Popolo (HDP) filo-curdo ha corso sotto la bandiera dell'YSP poiché rischiava la chiusura prima delle elezioni. Se consideriamo che il terzo candidato Sinan Ogan, che con il suo 6% sarà l’arbitro del ballottaggio, è un ultra-nazionalista e che l’ideologia nazionalista permea largamente anche i partiti di opposizione si può affermare che “in Turkey’s elections, nationalism is the real winner” tanto che lo stesso Kiliçdaroğlu sulla questione dei rifugiati siriani ha virato nettamente a destra. Al ballottaggio il presidente uscente si presenta come favorito, per i suoi sostenitori è possibile aspettarsi che parte dell'elettorato si scagli contro Kılıçdaroğlu e il Partito popolare repubblicano (CHP). Al termine di una campagna elettorale scandalosa per l’uso dell’apparato statale e per le minacce agli oppositori, lo scrutinio del 28 maggio conferma Erdoğan con il 52,14% dei voti. Nonostante una improvvisa virata a destra l’Alleanza della Nazione non riesce ad intercettare i voti dell’ultranazionalista Sinan Oğan che decide di appoggiare il presidente. La Turchia esce dalle elezioni profondamente divisa. Nonostante la vittoria Erdoğan è più debole e dovrà pagare il conto alle formazioni che lo hanno sostenuto decidendo in primo luogo cosa fare dei rifugiati siriani. C’è poi da decidere se continuare a gestire l’economia non tenendo conto delle pressioni inflazionistiche che pur favorendo “today’s gains will imply higher losses for tomorrow” e di come ripagare l’aiuto finanziario degli stati del Golfo. Anche per Kılıçdaroğlu la situazione non è semplice, in vista delle amministrative del 2024, per non perdere le città che ora governa, dovrà cercare di mantenere compatta la coalizione ma la Akşener lo incolpa subito della sconfitta. La “political myopia” degli USA e della UE, i primi per il via libera alla Svezia nella NATO la seconda per la paura che l’accordo sui migranti fosse messo in discussione, sono soddisfatti della vittoria di Erdoğan. “The sincerity of the West’s reaction to cases of Selahattin Demirtaş, Osman Kavala and other political trials seems to have crumbled after hitting the wall of migrants on the one hand and the Russian balance on the other”.

 

  • aprile Von der leyen e Macron si recano in Cina. La presidente della Commissione esprime a Pechino la volontà europea di ridurre lo squilibrio commerciale e la dipendenza nel campo delle tecnologie emergenti. Invita inoltre le autorità cinesi a non fornire alcun aiuto alla Russia. Dal canto suo Macron invece sogna un’Europa che non sia vassalla degli USA. Nonostante Borrell inviti tutti ad avere una postura meno “cacofonica” riguardo alle relazioni con la Cina, la frenata nel perseguire l’autonomia strategica europea dimostra chiaramente che l’UE “fell back on old models of alliance leadership [… ] It has instead embarked on a process of vassalisation”. La ricerca di una voce comune è, per bocca dello stesso Borrell, al centro del Consiglio affari esteri di fine mese. Nelle note a fine lavori l’AR, annunciando la prossima stesura di un position paper, dà per scontato che la costruzione di una politica estera comune, in un “mondo frammentato, con due diversi ecosistemi di sviluppi tecnologici. Con due gruppi” che tentano di attrarre coloro che non vogliono schierarsi, passi per il prendere necessariamente “posizione rispetto alla guerra in Ucraina e rispetto al rapporto con il ruolo crescente della Cina”. Però molti governi, soprattutto nel Sud del mondo, non condividono questo pensiero e non vogliono essere trascinati in una lotta che ha poco a che fare con i propri interessi. È così che mentre i Balcani occidentali rimangono come “a frontline in Russia's geopolitical confrontation with the West”, la Cina, e la Turchia, riempiono il vuoto creato dalle sanzioni alla Russia. La UE conta molto sugli accordi del dialogo Belgrado-Pristina ma la strada per una vera pacificazione è ancora lunga e anche in Bosnia “the past is disappearing and the future is bleak”. L’Alto Rappresentante Christian Schmidt al di là di vuote parole, nei fatti ha “repeatedly utilised his mandate to deepen Bosnia’s ethnic divisions and further strengthen nationalist forces”. In Israele la spirale di violenza tra l’esercito e i gruppi armati palestinesi prelude al peggio. L’accordo per la creazione di una guardia nazionale sotto l’autorità del razzista ministro Ben Gvir dimostra la connessione tra lo scontro interno sulle riforme giudiziarie e l’escalation dell’estremismo contro i palestinesi alimentata dal governo. “Mentre non capita tutti i giorni che i giornalisti occidentali usino parole come pogrom per descrivere gli attacchi contro i palestinesi […], capita tutti i giorni che i palestinesi subiscano violenze e vedano calpestati i loro diritti umani fondamentali da parte di soldati israeliani, polizia, milizie di coloni – o una loro combinazione”. In questo contesto l’approccio europeo risulta anacronistico: il “riconoscere il crescente estremismo sia in Israele che in Palestina non contempla l’ingiustizia strutturale subita dai palestinesi e subordina il loro diritto all’autodeterminazione a negoziati e compromessi”. I politici europei, forse seguendo il consiglio di non immischiarsi per non fomentare la retorica antioccidentale, sembrano aver dimenticato le elezioni turche. Ad un mese dalle elezioni Erdoğan presenta il suo manifesto elettorale in 31 punti. Risalta come gli enormi progetti infrastrutturali, l'alta tecnologia, l'industria della difesa, gli investimenti energetici e lo sviluppo interno hanno come unico obiettivo finale quello di rendere la Turchia una potenza globale. Il presidente turco, più per guadagnare consenso interno che per una effettiva nuova rottura con Israele, condanna l’irruzione della polizia israeliana nella moschea di Al Aqsa a Gerusalemme. Si incontra anche con Lavrov cercando di rafforzare la sua immagine di mediatore con la Russia e in Siria. La politica internazionale questa volta però non sembra in grado di farlo rimontare nei sondaggi che lo vedono testa a testa con il candidato delle opposizioni Kiliçdaroğlu. Le perdite derivate dal terremoto di febbraio, i ritardi nei soccorsi, le violenze dei militari nelle 10 province in stato di emergenza, gli anni di cattiva gestione economica (con il conseguente impoverimento di larghi strati della popolazione) potrebbero costituire un ostacolo insuperabile. È probabile che alcune fette del suo elettorato come le giovani donne e i residenti all’estero lo abbandonino. Di fronte alla possibilità di una sconfitta gli uomini del presidente rilasciano dichiarazioni minacciose. Per il ministro dell’interno Soylu, colui che gestisce la sicurezza dei seggi, il 14 maggio è un tentativo di colpo di stato politico da parte dell’Occidente (il che non lascia ben sperare in un eventuale passaggio di consegne pacifico). La retorica della paura però non sembra avere il successo sperato perché Kiliçdaroğlu. ha saputo ritagliarsi la sua visibilità abbandonando i dogmi più obsoleti del kemalismo. Infrangendo uno dei tabù più radicati dichiara pubblicamente, facendo il pieno di visualizzazioni, di essere un alevita. Pochi giorni prima in un altro post aveva incolpato l’AKP di calpestare la dignità dei curdi. “He was as if taking slow, taboo-breaking steps, dealing with the two deeply rooted but veiled discriminations in Türkiye”. Anche sul velo la sua posizione è contro il divieto. Inoltre la coalizione di opposizione, anche se con molte differenze al suo interno, è unita nel voler detronizzare il sultano per ripristinare il regime parlamentare. L’eventuale vittoria di Kiliçdaroğlu aprirebbe un nuovo capitolo nelle relazioni tra UE e Turchia? Non bisogna farsi illusioni “sur la défense des intérêts nationaux, ils ne feront aucune concession” anche perché l’entrata nell’UE “n’est plus à l’ordre du jour, ni à Ankara, ni à Bruxelles”. È probabile che si veda una continuità nella rivalità energetica nel Mediterraneo orientale e nelle dispute territoriali della Turchia con la Grecia, senza però lo stile conflittuale che ha caratterizza la politica estera turca di Erdoğan.

  

  • marzo dopo il naufragio di Cutro, è palese che l’evento sia stato trattato come un caso di immigrazione illegale e non come un evento di soccorso, inizia lo scarico di responsabilità tra FRONTEX e il governo italiano subito pronto a mettere in cantiere un nuovo decreto per aumentare le pene agli scafisti. Ma gli  organizzatori dei  viaggi difficilmente saranno toccati dai provvedimenti. Lo scafista che arriva sulle nostre coste “è un migrante come gli altri, che per le più varie ragioni […] si è dichiarato disposto ad accettare l'incarico […] di condurre il barcone”. Quando poi ci si chiede perché si preferisca arrivare in Italia e non nella più vicina Grecia basti leggere i rapporti pubblicati sui respingimenti illegali frutto di una “politica migratoria e di frontiera attentamente pianificata dal governo ellenico”. Il Consiglio europeo convocato d’urgenza non produce novità. Tra le righe si parla sempre di rimpatri e di controllo delle frontiere anche finanziando la costruzione di barriere. Il risultato più importante del vertice è il via libera al Kosovo all’esenzione dal visto. La nuova realtà geopolitica impone all’UE una maggiore attenzione ai Balcani. Serbia e Kosovo concordano l'allegato di attuazione dell'accordo di normalizzazione delle relazioni. Si elogiano Macedonia del Nord e Albania per il loro pieno allineamento alla politica estera e di sicurezza europea. Il successivo Consiglio affari esteri proroga il mandato dell'operazione militare IRINI nel Mediterraneo fino al 2025. La riforma delle prerogative della Corte suprema (la quale vedrebbe cancellati molti dei suoi poteri di controllo sul parlamento) proposta da Netanhyau mette a rischio non solo la tenuta sociale di Israele ma anche il credito internazionale di quella che si definisce l’unica democrazia mediorientale. L’UE in una dichiarazione dei 27, la prima da molti anni, invita di nuovo Tel Aviv a fermare l'espansione degli insediamenti e ad impedire la violenza dei coloni. Di fronte all’irritazione israeliana Borrell,  riferendo al PE,  afferma il pieno diritto di discutere per capire cosa stia succedendo. Per l’UE l’abrogazione di alcuni articoli della legge sul disimpegno è un ulteriore ostacolo alla possibilità di creare un orizzonte politico per il dialogo e la pace. Con la mediazione della Cina, Iran e Arabia saudita riallacciano le relazioni diplomatiche. Comunque lo si voglia interpretare, nessuno si aspetta che sauditi e iraniani smettano di essere rivali, questo accordo rafforza la presenza di Pechino in Medio oriente. Se per gli Stati Uniti il ruolo della Cina e la possibilità che l’Iran possa aggirare la pressione internazionale costituiscono una minaccia, gli “Europeans now need to consider how they can help entrench the stabilising gains of the agreement, even as they navigate ongoing difficulties with Iran”. Occorre prendere atto che “agli occhi di una larga percentuale del resto del mondo, i “valori dell’Occidente” e il sistema delle relazioni internazionali guidato dagli Stati Uniti non portano alcun beneficio”. Non si sa quindi quanto siano rammaricati Orban e Erdoğan per non essere stati invitati al secondo Summit della democrazia. Orbán definisce “infelice” il mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale nei confronti di Putin. Il provvedimento, “volendo scacciare il malizioso sospetto che l’anticipazione dell’atto sia originato dall’intento di impedire ogni possibilità di negoziato”, costituisce più che altro una pressione sulla dirigenza russa per la defenestrazione di Putin. Al Consiglio europeo di fine mese “tanti dossier, altrettante divisioni, pochi risultati”.  Per quanto riguarda la migrazione si rinvia a giugno l’esame dell’attuazione dei punti concordati nel vertice di inizio mese. Nelle due righe che Michel al termine dei lavori dedica alla questione si rimarca l’ampio consenso “sul modo in cui sono stati velocizzati i lavori, segnatamente per quanto riguarda la dimensione esterna”. L’emergenza migranti, snobbata dai leader durante le sessioni formali torna più volte nelle discussioni ufficiose tanto che la Meloni invoca, con scarse possibilità di successo, che venga varata una nuova Operazione Sophia. I lavori del Consiglio vengono ricapitolati dal punto di vista del PE nel Post-European Council Briefing – PE740.244 - che pubblica anche lo studio “Key Issues in the European Council”  - PE740.230. Viene pubblicato il primo “Annual progress report on the Implementation of the Strategic Compass for Security and DefenceBruxelles ospita la  International Donors' Conference per il terremoto in Turchia e Siria. Nel dodicesimo anniversario dello scoppio della guerra, in Siria è urgente una depoliticizzazione dell’intervento umanitario. Nonostante prove di disgelo con Damasco, sponsorizzate dalla Russia, e con l’Egitto, l’attivismo in politica estera di Erdoğan è frenato dall’incerto risultato delle elezioni a venire. Con la designazione di Kiliçdaroglu a sfidante di Erdoğan si entra nel vivo della corsa elettorale. La candidatura del "Gandhi turco" arriva dopo un acceso scontro tra la Akşener, che avrebbe preferito Imamoğlu o Yavaş, e gli altri membri della coalizione di opposizione convinti della capacità del leader del CHP di attirare una parte del voto conservatore. I due sindaci correranno come vicepresidenti. Per la coalizione di opposizione è venuto il momento di avere un programma ben definito e di chiarire i rapporti al proprio interno. Un altro problema è come assicurarsi il sostegno dell'HDP senza scontrarsi con i nazionalisti, contrari a qualunque concessione ai curdi.  L’HDP infatti, per la minaccia di chiusura che ancora pende sul suo capo (il verdetto verrà emesso in aprile), ha rinunciato a presentare un proprio candidato. La decisione è interpretata come un sostegno al “Tavolo dei sei” ma, come rimarcano i commentatori pro governativi, ciò potrebbe incrinare la politica del fronte ampio voluta da Kiliçdaroğlu. Anche se indebolito Erdoğan ha ancora una grossa presa sull'elettorato e può maneggiare l’apparato dello stato a suo piacimento. Secondo la costituzione poiché la decisione di indire elezioni anticipate è stata presa dal presidente in carica questi non potrebbe presentarsi per un terzo mandato. Erdoğan invece ha potuto superare il vincolo costituzionale usando la semplice formula “rinnovo elettorale”. Tutto ciò, naturalmente, è possibile grazie all’apparato mediatico sotto il suo controllo. L'esperienza post-terremoto dei media indipendenti offre indizi su quali forme di censura potrebbero essere impiegate: detenzione e minacce dei giornalisti sul campo, sanzioni finanziarie e divieti di trasmissione. Anche i ritardi negli aiuti non sembrano averlo penalizzato nei sondaggi forse perché viene lasciato spazio all’azione di associazioni di stampo fondamentalista legate al partito di governo. Se a questo si aggiungono le trappole legate alla nuova legge elettorale, che “seeks to frustrate the parties while directing them to the elections with their individual lists within the alliance”, si capisce quanto la partita sia tutta da giocare.

 

  • febbraio si svolge la seconda conferenza ministeriale dell'UpM sui trasporti. Viene pubblicato Evaluation Report  sul piano d'azione 2014-2020 e approvato il nuovo 2021-2027. In vista del vertice tra l'Unione europea e l'Ucraina il Consiglio adotta un settimo pacchetto di aiuti militari. Il vertice ribadisce la volontà dell’UE di supportare Kiev fino alla vittoria. A Bruxelles si svolge un consiglio europeo speciale. Nelle conclusioni – EUCO 1/23, oltre all’Ucraina, per quanto riguarda la gestione delle migrazioni il Consiglio invita “la Commissione a finanziare misure degli Stati membri che contribuiscono direttamente al controllo delle frontiere”. La decisione è “l’insensata conclusione di un processo iniziato da anni e reso possibile dalla mancanza di politiche comuni e dalla assurda immutabilità del sistema di Dublino”. Nella conferenza stampa a fine vertice Michel ribadisce il mantra del rafforzare l'azione esterna, potenziare la cooperazione con i paesi di origine e transito, aumentare i rimpatri. Il naufragio al largo delle coste calabresi dove muoiono più di 70 migranti è frutto di questa politica. “Al di là delle parole di cordoglio, dai vertici europei non sono venuti appelli a rafforzare le operazioni di salvataggio in mare. Da tempo ormai l’Unione non interviene sulle scelte di paesi membri che, come l’Italia e la Grecia, ostacolano i soccorsi in mare delle ONG e sottoscrive accordi bilaterali con i paesi di origine e transito”. È in questo quadro d’azione che viene consegnata alla guardia costiera libica la prima di cinque imbarcazioni specializzate per la ricerca e il salvataggio. “Il progetto è stato …finanziato in modo significativo dai paesi del Gruppo di Visegrád”. Rimane sempre non detto quali siano le autorità libiche che hanno ricevuto le navi. Il Consiglio affari esteri ribadisce le posizioni UE sull’Ucraina e sull’accordo sulle esportazioni di cereali. In una dichiarazione i membri del Consiglio europeo ribadiscono l'aiuto fino alla vittoria sostenendo "la formula di pace del presidente Zelensky". Posizioni ribadite nel  G7 Statement con l'aggiunta di una conferenza per la ricostruzione prevista per giugno. Borrrell incontrando il ministro degli esteri saudita si compiace dei positivi cambiamenti in atto nella società saudita. Un successivo trilaterale con la Lega Araba rimarca l'assenza di una prospettiva politica per una soluzione pacifica per la Palestina e condanna la decisione di legalizzare nuovi insediamenti in Cisgiordania. La questione palestinese, risucchiata nei nuovi equilibri mediorientali,  è ormai in secondo piano non solo per Netanhyau, come ha potuto constatare anche il segretario USA Bliken, ma è anche assente dalle manifestazioni contro il governo cui non partecipano i cittadini arabi israeliani. Nella strategia geopolitica israeliana la soluzione a due stati ormai è solo fumo negli occhi. Per Israele sono più importanti il riavvicinamento con i sauditi e la deterrenza militare contro l’Iran e alleati. Così, nonostante il terremoto, l’aviazione israeliana bombarda Damasco. Un terremoto devastante colpisce le zone di confine tra Turchia e Siria. In pochi giorni il bilancio delle vittime arriva a 40.000 morti. La presidenza UE decide di attivare la risposta politica integrata alle crisi (IPCR) modificando le misure restrittive in vigore riguardanti la Siria per agevolare la rapida fornitura di aiuti umanitari. Nonostante ciò pochissimi aiuti arrivano nelle zone della Siria sotto il controllo dei gruppi di oppositori al regime. Ad ogni check point le autorità di Damasco pretendono parte del carico ribadendo il controllo statale sulle zone contese. In Turchia nei comuni curdi dove i sindaci sono stati destituiti la campagna di soccorso è ostacolata dall’incapacità, quando va bene, dei funzionari governativi. Se dal lato siriano il terremoto è un’occasione per Assad di uscire dall’isolamento internazionale, in Turchia Erdoğan si trova in grave difficoltà. Dal terremoto del 1999, che spianò la strada alla sua ascesa, nessuno degli avvertimenti dei geologi è stato recepito. Secondo gli avvocati della CHD “Malgré la prévisibilité du tremblement de terre, la législation n'a pas été suffisamment renforcée, les problèmes de construction urbaine n'ont pas été résolus et les inspections des bâtiments n'ont pas été effectuées”. Lo stato di emergenza dichiarato per le province colpite, è necessario più a sopire il malcontento che a velocizzare la macchina dei soccorsi (ci è voluta una rivolta dei cittadini sui social media affinché fossero chiamate le unità militari). La prima reazione di Erdogan è l’arresto di blogger critici del suo operato e di centinaia di costruttori ma la sue responsabilità sono evidenti. Durante il suo mandato sono stati emessi nove condoni edilizi di cui hanno beneficiato i proprietari di quasi 300.000 edifici nella zona sismica. Lo scontro politico tra partiti si inasprisce ma, nonostante le accuse di una risposta tardiva al terremoto, uno scandalo di donazioni di tende, la morte di alcuni giovani sotto la custodia della polizia, e anche per la reazione dei partiti di opposizione, le elezioni non vengono rinviate. Eppure più ci si avvicina alla data più la coalizione di opposizione mostra le sue crepe. Poiché “un des partis qui composent l'Alliance de la Nation est islamiste, deux d'entre eux sont le produit du mouvement ultra-nationaliste, et les deux autres sont des extensions du gouvernement AKP qui a entraîné la Turquie dans les ténèbres actuelles” è difficile pensare che questa coalizione possa risolvere i problemi strutturali della democrazia turca, in primo luogo trovare un posto ai curdi nella società. Il progetto della Tavola dei Sei “n'est rien d'autre qu'un projet de restauration qui tente de réparer l'anarchie créée par l'AKP plutôt qu'une solution structurelle profondément ancrée”. Il contraccolpo economico del terremoto sarà grave, si parla di danni diretti per 34,2 miliardi di dollari, ma i costi totali di ricostruzione potrebbero essere il doppio e potranno essere coperti, quasi sicuramente, solo con nuove tasse. Nonostante il buon andamento dell’economia la forza lavoro ha visto ridursi la sua quota sul reddito nazionale, le masse lavoratrici sembrano essere diventate più povere.

 

  • gennaio la dichiarazione finale del vertice UE-NATO sottolinea la necessità della NATO come fondamento della difesa europea. Per Michel avere più NATO significa avere più Unione europea ma, come evidente, l’ampliamento dell’Alleanza ad est e le iniziative (e le spese) militari dei singoli stati sono in “contrasto con l’obiettivo di una difesa comune europea […] o almeno di un embrione di cooperazione europea […] rendendo praticamente senza alcun effetto operativo la cosiddetta “bussola strategica” . Nella  “Risoluzione… sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune… 2022 - P9_TA(2023)0010 il PE, in piena trance militarista, considerando la vittoria dell'Ucraina una “questione di credibilità dell'UE” invita a superare gli ostacoli alla consegna di armi in quantità sufficienti a sostenere una controffensiva e ad aumentare gli investimenti nella difesa. Sottolineando che la dipendenza da regimi totalitari e autoritari nel settore dell’energia rappresenta un grave rischio per l’UE invita a ridurre tale dipendenza collaborando con gli “alleati democratici” (Algeria? Libia? Egitto?). Infine, dopo 30 anni chiede ancora di rafforzare la missione militare in Bosnia-Erzegovina. In una intervista a “Le Monde” Borrell esprime tutta la sua irritazione verso il Sud-Africa impegnato in manovre militari con Russia e Cina e minaccia chi “a appuyé la Russie à travers leur vote aux Nations unies, on s’en rappellera”. Le minacce non sono certo destinate all’Arabia saudita (a braccetto con Putin nel sostegno al prezzo del petrolio) ma al Mali o al Burkina Faso con la dovuta precisazione che i tagli colpiscono i bilanci non gli aiuti alla popolazione a “condition que ce soit vraiment des aides à la population”. Il fatto è che nel mondo “nombre de pays ne veulent pas s’aligner systématiquement sur les Occidentaux et doivent par ailleurs intégrer la variable économique pour ne pas hypothéquer leur sécurité alimentaire” che è fonte di preoccupazione sempre più forte. In Israele l’insediamento del governo razzista di Nethanyau provoca una ripresa degli attentati e della repressione dell’esercito. Se le leggi che sono state annunciate saranno approvate si arriverà ad una vera e propria teocrazia ebraica in cui sarebbero istituzionali l’apartheid e la negazione del diritto internazionale. Sebbene gli occidentali si presentino come difensori dei diritti umani, in Medio oriente sono sempre reticenti nel condannarne la violazione. Borrell va in visita in Marocco. Con la stampa non tocca nessuno degli argomenti che negli ultimi tempi hanno portato tensioni tra Rabat e Bruxelles preferendo rimarcare le conseguenze della guerra in Ucraina. Il documento del PE “Solidarity in EU asylum policy” - PE 649.344 – richiamando la necessità di uno “stable and predictable mechanism to manage irregular migration” sottolinea la mancata riforma del sistema di asilo. Si preferiscono soluzioni più veloci, come la sospensione dei trattamenti commerciali favorevoli nei confronti dei Paesi terzi che rifiutano i rimpatri. A Stoccolma un estremista di destra brucia una copia del Corano. Il governo turco considera il gesto un insulto ai valori islamici perpetrato con il pretesto della "libertà di espressione" così come considera una successiva manifestazione di curdi affiliati al PKK una flagrante violazione dell'impegno della Svezia nella prevenzione della propaganda delle organizzazioni terroristiche. Naturalmente viene ribadito il veto all’ingresso nella NATO. Erdogan fa “comme avant chaque échéance électorale, un usage immodéré de la puissance publique” e fissa, con un procedimento ai limiti della costituzionalità, la data delle elezioni per il 14 maggio.  Alle prese con la disaffezione dell’elettorato insiste, negli ultimi mesi di campagna elettorale, ad attaccare i rifugiati siriani. La sua ambizione è quella di rispedirne in patria un milione. Di conseguenza tenta un riavvicinamento con Damasco allentando i legami con le forze ribelli jihadiste che controllano Idlib e continuando a minacciare una invasione del Rojava curdo. I curdi sono un altro degli obiettivi pre-elettorali di Erdogan. La Corte costituzionale congela i conti bancari dell’HDP, impedendogli in pratica di fare campagna elettorale, e rifiuta di posticipare a dopo le elezioni il procedimento di chiusura del partito che intanto decide di presentare un proprio candidato alle elezioni. Ciò significa che difficilmente uno dei candidati sarà eletto al primo turno (commentatori filogovernativi non la pensano così). Di fatto l'HDP non solo si pone come interlocutore di entrambe le coalizioni ma crea frizioni all’interno delle stesse alleanze. Come potrà l’MHP chiedere i voti curdi?  Il tavolo dei sei dopo le ulteriori accuse ad Imamoğlu come potrà candidare il sindaco di Ankara, Yavaş, inviso all’HDP? Infine sono un obiettivo tutti quelli che si permettono di criticare l’operato del governo. Şebnem Korur Fincancı, presidente dell’associazione medica TTB, è condannata a quasi 3 anni di carcere per aver parlato del presunto uso di armi chimiche da parte dell’esercito turco. La scrittrice e attivista Pinar Selek si prende l'ergastolo: la Corte Suprema annulla la quarta assoluzione ed emette un mandato d'arresto internazionale. La principale forza dell’opposizione pur riunendosi regolarmente ha finora deluso le aspettative. Nel comunicato al termine dell’ultima riunione si usa per la prima volta la definizione di “Alleanza della Nazione” perché finalmente i partiti DEVA, Gelecek Partisi e Saadet Partisi entrano ufficialmente nella coalizione, aumentando i problemi: la scelta del candidato alle presidenziali, la definizione della tabella di marcia per la transizione, in caso di vittoria, al sistema parlamentare, la definizione delle liste elettorali e il ruolo di personaggi di spicco come Babacan o Davutoğlu. La parte più importante della dichiarazione è quella in cui si mette in dubbio la ricandidabilità del presidente, verrà presentato un reclamo al Consiglio elettorale supremo (YSK). Queste manovre politiche sono accompagnate da una difesa strenua dell’economia, provvedimenti demagogici si accompagnano a misure di lungo periodo. La prospettiva più allettante è quella di fare della Turchia un hub energetico mondiale anche se al fine di arginare la crisi economica interna ed acquisire sostegno politico in vista delle elezioni, potrebbe essere più conveniente investire per consolidare il ruolo turco come Paese di transito.