Turchia 2019

  

  • gennaio l’AR Mogherini incontra il nuovo inviato dell’ONU per la Siria Geir Pedersen. Dopo l’annuncio del ritiro americano continuano gli attriti tra la Turchia e gli USA che pretendono l’assicurazione che al momento del ritiro i curdi non saranno attaccati. Furioso Erdoğan  rifiuta di incontrare il consigliere per la sicurezza nazionale Bolton e affida ad Ibrahim Kalin la richiesta che gli Stati Uniti consegnino alla Turchia alcune delle loro basi militari e disarmino i curdi delle armi date loro. Lo scontro si aggrava con la minaccia di Trump di “devastare” l’economia turca in caso di attacco alle YPG. Al di la delle parole alcuni analisti sostengono che l’amministrazione USA, frenando il suo presidente, non attuerà un ritiro precipitoso che lascerebbe campo libero all’Iran, né la Turchia  si lancerà in una guerra che la vedrebbe opposta direttamente all’esercito di Assad. I limiti (o il cinismo?) dell’azione turca sono palesati dalla riconquista di Idlib da parte dei miliziani vicini ad Al-Quaeda. Seppur garante dell’accordo di cessate il fuoco in vigore nelle zone ancora controllate dai ribelli, l’esercito di Ankara non interviene mentre i jihadisti cacciano il Fronte Nazionale di Liberazione dalla città. C’è il sospetto che i turchi, così come rimproverano agli occidentali, vogliano combattere quelli che considerano terroristi sostenendo i loro peggiori nemici anche a rischio di minare le relazioni con la Russia (che spinge perché le basi che saranno abbandonate dall’esercito statunitense siano poste sotto il controllo di Assad). La visita di Erdoğan  al Cremlino si risolve in un fiasco. Putin rifiuta la richiesta di creare una fascia di sicurezza nella zona controllata dalle milizie curde, invitate a prendere contatto con Damasco. L’eventuale ritiro degli americani esercita un’influenza diretta sui calcoli dei differenti protagonisti che si affrettano a ridisegnare strategie militari ed alleanze in vista del consolidamento della vittoria di Assad e di una soluzione politica della guerra. Sul fronte interno, a pochi mesi dalle elezioni, le nette prese di posizione di Erdoğan nello scenario siriano tentano di distogliere l’attenzione dalla crisi economica  e dalla probabile recessione che le agenzie di rating vedono all’orizzonte. L’islamizzazione della società segna il passo, una indagine demoscopica rileva  come non ci siano variazioni significative rispetto ad una precedente inchiesta di dieci anni prima, anzi si assiste ad un leggero aumento dell’ateismo tra i giovani. Anche il numero di donne che indossano il velo non è aumentato e viene rivendicato pubblicamente il diritto di non coprirsi. Mentre Leyla Guven, deputata dell’HDP, al 79° giorno di sciopero della fame, viene posta in libertà condizionale, Murat Arslan, magistrato difensore dei diritti dell’uomo vincitore del premio Havel nel 2017, viene condannato a 10 anni di carcere. Di fronte al continuo regresso degli standard democratici e alla mancanza di soluzioni per Cipro (non imputabili però solo alla Turchia) la Merkel ribadisce che Ankara non può essere membro dell’UE. “While… membership talks stand suspended, relations with EU member governments settle on a reciprocal interest framework and on a format based on “give-and-take” logic. In other words, relations with Europe are outside of the EU framework” (S. Ergin). Di fronte ad una Europa profondamente mutata la Turchia dovrà cercare  la sua giusta collocazione e guardare con attenzione a come evolveranno i negoziati della Brexit i quali potranno segnare la nascita  di un nuovo tipo di relazioni, segnate dal tramonto della “libertà di circolazione”.

  

  • febbraio proseguono gli arresti di massa. Più di 700 persone sospettate di appartenere all’organizzazione di Gülen e almeno una sessantina che partecipavano alle manifestazioni per la fine del regime di isolamento di Öcalan sono condotte in prigione. Vengono confermate in appello le pene ai giornalisti di Cumhuriyet. Quelli condannati a più di cinque anni possono fare ricorso in Cassazione, gli altri invece dovranno scontare il resto della pena. Osman Kavala e altri quindici vengono rinviati a giudizio. La UE prende atto ancora una volta di quanto il potere giudiziario turco sia lontano dagli standard europei. Nel tentativo di arginare l’aumento dei prezzi i comuni iniziano a vendere direttamente frutta e verdura ad un prezzo inferiore, o uguale, a quello di acquisto accollandosi i costi di spedizione e di manodopera. Questa  pratica mette in difficoltà i piccoli venditori e non fa diminuire i prezzi alla produzione; è un metodo di vendita in cui i costi sono assunti dallo stato. Le perdite derivanti da queste vendite finiranno sui bilanci dei comuni. “Even though it seems like the public is buying fruits and vegetables from cheaper prices, the cost is still the public’s to pay” (Sağlam). Il commissario Hahn riferendo al PE sulla situazione in Siria sottolinea l’impossibilità di fornire aiuti in alcune zone per la mancanza di sicurezza. Conferma inoltre che non potrà esserci alcun contributo europeo alla ricostruzione senza che vi sia una transizione politica in atto. Mentre le milizie del FDS (curdo-arabe) strappano Baghouz ai jihadisti questi si rafforzano nella zona di Idlib, sotto controllo turco. A Sochi nel quarto vertice  del processo di Astana, Erdoğan si trova quindi in difficoltà. Russia e Iran (conclusioni del Consiglio) spingono affinché la Turchia elimini i gruppi jihadisti nella zona di sua competenza e rifiutano la creazione di una zona tampone attorno a Manbij insistendo invece sul ritorno della regione sotto il controllo siriano. Pur non essendoci ancora le condizioni per una vera soluzione politica del conflitto, i paesi della regione vedono in Assad un interlocutore necessario per ridisegnare le loro sfere d’influenza. Anche la Turchia “In un periodo in cui gli Stati Uniti […] si sottraggono ad alcune delle loro responsabilità  [e] le potenze regionali cercano una maggiore libertà di manovra nel loro vicinato” rimodella la sua azione diplomatica. Ultima fonte di attrito con (e tra) Europa e Stati Uniti è il problema di cosa fare dei jihadisti europei catturati. La Turchia, considerando solo i curdi iracheni di Barzani come controparte, rifiuta, al contrario dell’Europa, di riconoscere nella questione un ruolo di interlocutore ai curdi delle YPG ai quali Assad ricorda che solo l’esercito siriano potrà proteggerli dalla minaccia turca. Nell’autoproclamata regione autonoma curda del Rojava sono cacciati migliaia di arabi che insieme altre minoranze denunciano quotidiane intimidazioni, arresti ingiustificati, chiusura delle loro scuole. Erdoğan entra in collisione anche con la Cina chiedendo a Pechino la chiusura dei campi di internamento degli Uiguri. Sul perché il premier turco si sia lanciato in questo scontro diplomatico le opinioni sono molteplici. C’è chi pensa che in vista delle elezioni locali, il presidente voglia di rintuzzare gli attacchi della Askener e nel contempo accontentare i gruppi conservatori islamici.  Altri, dal momento che l’esito delle elezioni sembra dipendere soprattutto dalle preoccupazioni economiche, pensano che Erdoğan cerchi di migliorare le relazioni con i partner europei ridimensionando gli sforzi per costruire legami commerciali con la Cina.

 

  • marzo viene pubblicata la Relazione sullo stato di attuazione dell’agenda europea sulla migrazione (en) – Com(2019)126. La relazione conferma la diminuzione generale degli arrivi ma che i problemi fondamentali, restano irrisolti. Per quanto riguarda la frontiera greco-turca nel 2018 si segnala invece un aumento del 30% degli arrivi irregolari dato anche dal fatto che molti cittadini turchi sono entrati nell'UE attraverso la frontiera terrestre. I pochi rimpatri verso la Turchia pongono una continua pressione sulle isole dell'Egeo, le misere condizioni in cui vivono i rifugiati sono oggetto di una lettera inviata ai leader europei Oxfam e altre 23 ONG critica dell’accordo UE-Turchia. Il PE nella risoluzione Relazione 2018 concernente la Turchia (en) - P8_TA (2019)0200 – prende atto che la legislazione in vigore di fatto ha reso permanente lo stato di emergenza. A riprova di ciò l’aumento esponenziale delle domande di asilo presentate da cittadini turchi (per numero al quinto posto del totale); che i dissidenti vengono colpiti non solo in patria ma anche all’estero con azioni di sorveglianza e rapimento; che, in seguito al fallimento del processo di risoluzione della questione curda e dopo il tentato golpe, molti sindaci curdi sono stati sostituiti da funzionari governativi (il PE auspica che le elezioni comunali riportino sindaci eletti a capo delle amministrazioni) e che, in opposizione alla sentenza CEDU, il leader curdo Selahattin Demirtaş è ancora in carcere. Infine, ricordando che, oltre a molta legislazione mancante in vari settori, la Commissione di Venezia ha valutato negativamente le modifiche costituzionali relative all'introduzione del sistema presidenziale “raccomanda […] di sospendere formalmente i negoziati di adesione con la Turchia”. B. Bayraktar, fedele al nuovo corso di Hurryet, dopo aver passato in rassegna i luoghi comuni cari ad Erdoğan sullo spirito colonialista anti-ottomano europeo e il doppio standard con cui si trattano alcune situazioni (Cipro, Al-Sisi), pensa che la decisione sia stata presa da politici che nulla sanno di politica internazionale e della risoluzione salva il suggerimento di cercare un nuovo modello di partnership. Più equilibrato S. Demirtas ricorda che il position document elaborato dall'UE per la conferenza sulla Siria e per il 54° Consiglio di Associazione UE-Turchia (riunito dopo 4 anni) ribadisce l’impegno a mantenere un dialogo aperto e franco con la Turchia, prendendo atto dell'impegno dichiarato dal governo turco in merito all'adesione all'UE. Infatti al Consiglio di Associazione nella conferenza stampa al termine dei lavori l’AR Mogherini getta acqua sul fuoco e, non accennando alla risoluzione del PE, parla di un meeting  fruttuoso e molto positivo anche se dal comunicato stampa traspare qualcuno dei motivi definiti nella relazione del PE. Le relazioni tra Ue e Turchia sembrano stabilizzarsi in una “cooperazione conflittuale” che “accetta il conflitto come una caratteristica endemica delle relazioni, ma cerca di attenuarlo approfondendo la cooperazione” (Saatçioğlu… et al.) L’attenzione di Erdoğan è tutta concentrata sulle elezioni municipali di fine mese. Per la prima volta il leader arriva ad una tornata elettorale in mezzo a grandi difficoltà. La decisione di Trump di non rinnovare il Sistema di Preferenze Generalizzate con la Turchia in ritorsione all’acquisto dei missili russi potrebbe contribuire ad aggravare una situazione economica che vede il 2018 chiudersi con una crescita con un misero 2,6%, il crollo dei consumi, il reddito pro capite tornato sotto i 10mila dollari e una svalutazione della lira del 30%. Grandi città industriali come Bursa potrebbero passare all’opposizione. Come già notato la pressione del Dyanet non ha aumentato la pratica religiosa e l’onda lunga degli scontri di Gezi (per alcuni l’unica vera sconfitta di Erdoğan) torna alla ribalta con il processo fissato per giugno: tra i 16 accusati anche Osman Kavala. Nella Turchia sud-orientale si vota senza sapere se i candidati curdi eletti potranno esercitare il mandato. Mentre il presidente invade i canali televisivi, all’apertura delle urne si registrano violenze ed intimidazioni. Nel frattempo Bruxelles ospita la terza (la settima della serie) conferenza “Supporting the future of Syria and the region”. Alla conferenza partecipano anche i garanti del processo di Astana ai quali l’AR Mogherini chiede di sostenere la creazione del comitato costituzionale e di misure atte a rafforzare la fiducia tra le parti. Complessivamente i donatori si impegnano per 7 mld di dollari per il 2019 e, tramite le istituzioni finanziarie internazionali, accorderanno prestiti a condizioni privilegiate. Alla conferenza hanno partecipato, nei Days of Dialogue, più di 400 ONG e OSC che hanno fatto il punto sulla situazione umanitaria. Un altro gruppo di organizzazioni (delle quali non si specifica il tipo) si sono riunite a porte chiuse per uno scambio di vedute sul futuro della Siria e sul ruolo di Assad, è chiaro che, preservando la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale, solo una nuova costituzione potrà dare tutti (anche agli espatriati) la possibilità di partecipare a libere elezioni.. Nella dichiarazione finale (fr) dopo aver ringraziato i paesi che accolgono i rifugiati, si elencano i risultati e le azioni da portare avanti. Nella conferenza stampa con l’inviato ONU Pedersen, l’AR Mogherini ribadisce che nessun membro della UE finanzierà alcun progetto di ricostruzione senza che sia avviato un processo politico credibile.

 

  • aprile alle elezioni municipali, cui ha partecipato l’84% degli elettori, la coalizione guidata dall'AKP vince per numero di voti ma perde le più importanti città in favore di quella guidata dal CHP. Imamoğlu batte in rimonta l’ex premier Binali Yildrim  a Istanbul  mentre ad Ankara Mansur Yavaş  si impone su Mehmet Ozhaseki, anche lui ex ministro. La cittadina di Tunceli elegge un sindaco comunista. Si conferma la divisione sociale, etnica e geografica: zone rurali (AKP), fascia costiera (CHP)  e zona curda (HDP), ma si intravvedono movimenti di frattura e la possibilità della nascita di nuovi partiti. Andrew Dawson, capo della missione di osservazione elettorale del Consiglio d’Europa, nota che “the elections were conducted in an orderly way” ma la massiccia presenza di gendarmi armati e il clima generale che si respirava non hanno creato un “free and fair electoral environment which is necessary for genuinely democratic elections”. La crisi economica, la repressione senza fine del dissenso e rapporti internazionali sempre tesi tra le cause della battuta di arresto. Per le opposizioni la sconfitta di Erdoğan è fonte di cauto ottimismo, si apre una nuova era con una nuova generazione politica. Mentre Imamoğlu viene acclamato dalla folla, Erdoğan denuncia brogli e chiede di ripetere le elezioni cittadine. Il risultato elettorale, non dimentichiamo che le maggiori città  producono circa il 70% del PIL turco, crea fratture all’interno dell’AKP e dell’alleanza con i nazionalisti del MHP di cui il tentativo di linciaggio del capo del CHP, Kiliçdaroğlu, potrebbe essere un segnale. Parlare di una vittoria della democrazia turca è ancora prematuro ma la centralità del voto curdo per la vittoria delle opposizioni e la personalità di Imamoğlu “a tough nut to crack under the disguise of a soft-mannered man” lasciano aperti spiragli di ottimismo. Una delle cause della sconfitta è che la crisi turca non si è stabilizzata: i disoccupati sono saliti di due milioni in un anno, le ultime controverse misure della Banca centrale non hanno portato benefici a livello finanziario, l’attacco alla lira, anche per i continui dissapori con Trump, non si arresta. La politica economica della Turchia è intrappolata nel braccio di ferro tra i dirigenti del AKP e i tecnici del Ministero delle Finanze e della Banca Centrale. Nel documento UE Economic Reform Programm of Turkey (2019-2020). Commission Assessmment – SWR(2019)164 si conferma che la Turchia a fine 2018 è entrata in recessione, si spera in un miglioramento nella seconda metà del 2019. Però l’austerità fiscale, che dovrebbe sorreggere un miglioramento del saldo primario del PIL tra il 2018 e il 2021, è messa in dubbio dall’allentamento delle finanze pubbliche e le pressioni della spesa che stanno emergendo mettono a rischio i piani di bilancio. Si individuano alcune sfide: promuovere il risparmio interno, far diventare più trasparente la politica di bilancio, ridurre le importanti incertezze nel clima degli investimenti e nell'economia nel suo insieme, far emergere l’economia nascosta. I commentatori turchi però sottolineano la confusione che regna a Bruxelles e spingono la UE a “depoliticizzare il processo di modernizzazione dell'Unione doganale e farlo funzionare” nonché a non sottovalutare il messaggio anti-populista che viene dalla Turchia. La crisi siriana si avvicina all’epilogo, mentre nella Terza relazione annuale sullo strumento per i rifugiati in Turchia (en) - COM(2019)174 si individuano diligentemente i risultati ottenuti, Al Assad ha ormai riallacciato rapporti con molti paesi arabi. Restano da sciogliere i nodi di Idlib e della zona curda di Afrin. dove la Turchia, che la occupa militarmente, pare stia costruendo un muro di separazione dal resto del territorio siriano (preludio ad una annessione?). In Libia la Turchia, appoggiando fin dall’inizio l’islam politico dei Fratelli musulmani, è impegnata contro il generale Haftar (e i suoi sostenitori).

 

  • maggio nel nord ovest della Siria l’offensiva contro le ultime roccaforti dei jihadisti e dei curdi provoca un altro disastro umanitario. L’AR Mogherini si appella a Turchia e Russia, in quanto garanti dell’accordo di Sochi, affinché non siano colpiti i civili. Ma la situazione sul terreno e gli interessi sempre più divergenti dei firmatari rendono l’accordo sempre più fragile. Nello studio del PE Women’s role in peace processes viene rimarcato il ruolo delle donne nel processo di pace in Siria. Viene pubblicato lo Human rights and democracy in the world: EU annual report 2018. In occasione della giornata mondiale della libertà di stampa la UE emana una Dichiarazione sottoscritta anche dalla Turchia. Nello stesso giorno i giornalisti Ahmet Altan et Nazli Ilicak sono condannati all’ergastolo mentre pochi giorni dopo Yavuz Selim Demirag redattore di Yeniçağ viene aggredito a colpi di mazza da baseball. Gli attacchi ai giornalisti (e ai leader politici) si intensificano ogni volta che c’è un passaggio cruciale nella vita politica turca. E questo è uno di quei momenti. Infatti, dopo una serie di indagini su più di cento membri dei seggi elettorali, l’AKP vince per sette voti a quattro,  il ricorso all’Alta Commissione Elettorale per cui il risultato delle amministrative ad Istanbul viene annullato (la Commissione vieta anche ai sindaci eletti nelle zone curde di prendere possesso della carica). Si rivoterà il 23 giugno, nel frattempo la città è affidata al prefetto Ali  Yerlikaya. L’opposizione equipara la decisione ad un colpo di stato ma non boicotterà le elezioni forte anche della protesta della popolazione di Istanbul. Le strategie dei due blocchi sono chiare: Imamoğlu continuerà a spendersi per la difesa dello stato di diritto, ancora una volta calpestato da Erdoğan. Al contrario il presidente turco, forte del totale controllo della macchina mediatica e dell’apparato amministrativo, punterà a demonizzare gli avversari nel frattempo lusingando gli elettori curdi magari facendo balenare la possibilità di una riapertura del dialogo di pace. Il voto di Istanbul (e delle altre città perse dall’AKP) ha già aperto una nuova fase della politica turca. Voci interne all’AKP danno come probabile la nascita di due nuovi partiti   con a capo Davutoğlu e Babacan. Viene pubblicato il Progress Report on the Action Plan on Economic, Monetary and Financial Statistics for Candidate Countries 2019 - ecfin.cef.cpe(2019)2600386 – che conferma i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi del piano d'azione ma nota anche l’incompletezza dei dati tramessi. Il rapporto è alla base delle discussioni del Dialogo Economico e Finanziario tra la UE e i paesi dei Balcani occidentali e la Turchia. Nelle conclusioni (en) - 9474/19 - al termine dei lavori si ricorda a tutti i paesi candidati che gli elementi delle linee guida 2018 non ancora pienamente attuati rimangono validi e devono essere affrontati dai responsabili delle politiche. Per quanto riguarda Ankara si nota che l'ultimo trimestre del 2018 si è chiuso in recessione e che l'inflazione elevata rischia di ostacolare la ripresa prevista per il 2019. Per uscire dall’impasse alla Turchia vengono proposte sei azioni da intraprendere. Eppure in una prospettiva regionale la Turchia è ancora un gigante economico e guardando ai precedenti periodi di crisi dai quali ha saputo uscire più forte, non mancano i motivi per essere ottimisti. Anche la Communication on EU Enlargement Policy – Com(2019)260, pubblicata a fine mese è critica con la Turchia. Il Turkey 2019 report - SWD(2019)220 -  conferma che, pur continuando il dialogo ai massimi livelli e nonostante un'efficace cooperazione in materia di migrazione e sostegno ai rifugiati, Ankara continua ad allontanarsi dall'UE mostrando un notevole arretramento per quanto riguarda lo stato di diritto dovuto anche all'indebolimento del sistema di bilanciamento dei poteri provocato dall'entrata in vigore della riforma costituzionale. Il rapporto conclude che i fatti che nel 2018 hanno portato a constatare che non si poteva prendere in considerazione l'apertura o la chiusura di nuovi capitoli restano immutati. Il rapporto con la UE inserito nello scenario delle nuove elezioni di Istanbul può essere strumentalizzato da molte parti. Non c’è quindi una via maestra, c’è chi propone di rivitalizzare lo spirito di Helsinki, altri vorrebbero invece che la UE facesse la voce grossa, in questo caso il problema è che si finirebbe per punire  il popolo turco non Erdoğan.

 

  • giugno il Consiglio su "Allargamento e processo di stabilizzazione e di associazione“ (en) – 10446/19 riscontra cheolo alcuni partner hanno compiuto passi avanti nel settore dello stato di diritto e nota tendenze al boicottaggio da parte dei parlamenti nazionali. Solo in materia di migrazione si hanno risultati evidenti tanto che vengono conclusi accordi che consentiranno l'invio della guardia di frontiera e costiera europea. Per quanto riguarda la Turchia il Consiglio conferma la priorità della gestione rafforzata delle frontiere comuni con l'UE. Osserva che anche dopo la revoca dello stato di emergenza, nella pratica, restano in vigore le misure attuate dopo il fallito golpe. Ciò comporta una continua regressione riguardo allo Stato di diritto che ha avuto ulteriore conferma nelle decisioni del Consiglio elettorale supremo (annullamento delle elezioni municipali di Istanbul). Il Consiglio condanna le azioni illegali (ma vedi)) della Turchia nel Mediterraneo orientale e nel mar Egeo comprese le attività di trivellazione nel Mediterraneo orientale. Non avendo avuto risposta agli inviti a cessare tali attività, la UE è pronta a reagire in piena solidarietà con Cipro. I negoziati di adesione della Turchia sono giunti a un punto morto per cui non si può prendere in considerazione l'apertura o la chiusura di altri capitoli, né sono prevedibili ulteriori lavori intesi alla modernizzazione dell'unione doganale UE-Turchia. Queste conclusioni sono ribadite in sede di Consiglio europeo (en) – EUCO 9/19 che chiude la legislatura e delinea l’azione futura delle istituzioni che nasceranno dopo le ultime elezioni europee. Alla viglia della ripetizione delle elezioni municipali di Istanbul finiscono nel mirino dei tribunali alcuni tra i maggiori scrittori turchi definiti come pervertiti. Abdullah Şevki, autore di un romanzo che racconta una storia di abusi su bambini viene arrestato per oltraggio. Finiscono sotto inchiesta anche Elif Shafak e Ayşe Kulin. Dopo pochi giorni diciassette alti ufficiali vengono condannati all’ergastolo per il tentato golpe del 2016. Con una decisione azzardata, i vertici dell’AKP decidono di indire un dibattito tra i due candidati a sindaco. Il dibattito, “a rare occasion when a journalist asked daring questions to two politicians without fearing he might pay a heavy price”, non si risolve positivamente per Yildirim, sempre sulla difensiva. Forse per questo, due giorni prima delle elezioni  Erdoğan convoca un incontro con la stampa in cui parla di tutto. Non contento degli attriti riguardo l’acquisto del sistema russo di difesa antiaerea S-400, accusa Trump di essere guidato  dalla burocrazia; attacca l’Egitto e l’occidente (da cui non si leva alcuna parola di condanna) per la morte dell’ex presidente Morsi in tribunale; definisce İmamoğlu bugiardo e incompetente dicendosi sicuro della vittoria di Yildirim. Ma il leader del filo curdo HDP, Selahattin Demirtas, invitando a votare per il candidato dell’opposizione rende molto più debole la posizione dell’ex ministro. È chiaro che con le elezioni di Istanbul Erdoğan si gioca molto di più che la guida della città conscio che, come da lui stesso più volte affermato, chi ha Istanbul ha (anche per l’enorme peso economico della città) la Turchia. Il risultato delle elezioni conferma, con un maggiore distacco, la vittoria di İmamoğlu,  divenuto in pochi mesi leader a livello nazionale, e il logoramento che fin dal referendum costituzionale del 2017 erode il presidente e il suo partito. Risultano evidenti, col senno di poi, gli errori compiuti nei mesi antecedenti. Dall’anticipo delle elezioni di più di un anno, alla gestione dell’economia; dal rapporto con i suoi elettori alla capacità di lettura della nuova fase politica. È forse questo il dato più allarmante per Erdoğan, l’aver sbagliato strategia e previsioni. Il presidente non è morto politicamente ma saprà affrontare le sfide in politica interna ed estera? Si apre il processo agli indagati per le manifestazioni di Gezi park. Le detenzioni preventive (di anni) e l’uso dei finanziamenti leciti come prove a carico spingono la UE ad una nota di protesta

 

  • luglio da parte turca dopo le elezioni europee si spera che le relazioni con l’UE tornino ad essere “fair and balanced” ma a seguito delle attività di trivellazione nelle acque intorno a Cipro il Consiglio, nella riunione (en) di metà mese, decide, tra l’altro, di sospendere i negoziati sull'accordo globale sul trasporto aereo, di non svolgere il consiglio di associazione e di ridurre l'assistenza di preadesione per il 2020. Sul piano pratico le sanzioni non hanno un gran valore ma dimostrano, ancora una volta, lo sbilanciamento della UE in favore dei greco ciprioti. Così il leader del CHP Kemal Kılıçdaroğlu si trova sulle stesse posizioni del ministro degli esteri Çavuşoğlu il quale, rivendicando i diritti turchi, minaccia l’invio di un’ulteriore nave di trivellazione (naturalmente le navi sono accompagnate da vascelli militari). La disputa sui giacimenti di gas mina non solo le relazioni tra Europa e Turchia ma anche, ulteriormente, gli equilibri regionali. Per alcuni commentatori lo “European club” è colpevole di spingere la questione cipriota nel calderone delle crisi mediorientali in buona compagnia del senato USA che con l’approvazione dell’East Med Act  disegna la nuova strategia americana. Al consiglio tiene banco la situazione dell’accordo nucleare con l’Iran  che si rivela sempre più precario. La difficoltà di far partire lo strumento commerciale europeo INSTEX, necessario a Teheran per superare le sanzioni USA, spinge le autorità iraniane a violare l’accordo. “L’objectif de cette posture plus agressive est double: montrer aux États-Unis que leur politique a un coût et que la passivité de l’UE ne peut plus durer”. L’Iran è comunque meno isolato di quello che vuol far credere Trump e ha guadagnato di credibilità avendo rispettato l’accordo fin quando è stato possibile e, ancora oggi, non rigettandolo. Dal canto suo l’Europa ha ancora qualche possibilità di impedirne la fine facilitando l’interscambio commerciale e sostenendo con forza iniziative diplomatiche. Ad Idlib l’attacco finale alle roccaforti jihadiste si tramuta in un massacro di civili. Viene convocata una riunione del tavolo di Astana (la città intanto ha cambiato nome in Nursultan), allargata questa volta ad altri paesi della regione. È volontà della Russia far partire un Comitato costituzionale che delinei il futuro politico della Siria. Mentre la Turchia ribadisce la sua volontà di attaccare i curdi i quali, oltre che alla minaccia militare, si trovano di fronte a d enormi problemi di ricostruzione e gestione dei prigionieri jihadisti. L’alleanza con la Russia ha un’ulteriore conferma con la consegna dei primi apparati del sistema missilistico S-400. Per reazione gli USA  bloccano la vendita dei caccia F-35 in un confronto che indebolisce entrambi i contendenti. Dopo le elezioni perse ad Istanbul all’interno dell’AKP cresce il malcontento. Ali Babacan lascia il partito forse per fondare, come intende fare Davutoğlu, una sua propria formazione. Quale potrebbe essere l’impatto di questi nuovi partiti non è chiaro ma sicuramente renderebbero il panorama politico turco meno permeabile all’autoritarismo. Le elezioni segnano anche il distacco dell’HDP dalle posizioni del PKK avendo l’elettorato curdo disatteso l’invito di Öcalan a disertare i seggi. Intanto dopo un anno di sistema presidenziale si tirano le prime somme. Un’immediata analisi rivela che “the governance architecture could not be fully set and there is still a big confusion on the decision-making process”. Per i più critici “The new political system is subject to neither legal, nor political oversight, and therefore not only violates the principle of the rule of law, but will lead to problems in the future”. Al momento grazie ai suoi poteri quasi assoluti Erdoğan destituisce il capo della Banca centrale reo di non aver tagliato il costo del denaro, il risultato è un immediato crollo della lira turca e un abbassamento del rating. Tensioni geopolitiche e l’erosione dei poteri di controllo tecnici sull’economia fanno temere un peggioramento per il futuro. Episodi sempre più frequenti di aggressioni nei confronti dei rifugiati siriani segnalano che la guerra tra poveri è già iniziata. Nel terzo anniversario del fallito colpo di stato le narrazioni di quei giorni sono ancora distanti.  

 

  • agosto la sospensione dei sindaci di Diyarbakir, Van and Mardin, eletti alle elezioni municipali, conferma che nonostante le sconfitte Erdoğan non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il suo potere uscendo anche dai confini della legge. La divulgazione della lettera del ministero degli interni segnala però che non ha più il totale controllo della burocrazia. Come suo costume il presidente turco di fronte alle molte impasse cui si trova di fronte forza la mano. Inizia una deportazione silenziosa di cittadini siriani, irregolari secondo il ministero, che vengono caricati su autobus e riportati in patria in piena zona di guerra. Con gli USA invece, viene sancita una collaborazione per creare una “zona sicura” al confine con la Siria. Naturalmente il significato di “zona sicura” è molto differente per turchi, americani o curdi. Per Erdoğan significa eliminare i curdi delle YPG e avere un posto dove trasferire circa due milioni di rifugiati ospitati sul suolo turco. La dichiarazione presentata dalla UE al dibattito ONU sulla situazione in Medio oriente è un elenco purtroppo incompleto di una caotica situazione sul campo che non lascia presagire niente di buono per il futuro.

 

  • settembre all’ONU si giunge finalmente all’accordo per la formazione di un Comitato Costituzionale che inizi la pacificazione della Siria. Il Consiglio saluta con favore l'annuncio e ricorda che la UE parteciperà alla ricostruzione solo con un processo politico di transizione in atto. All’accordo si è giunti dopo che al quinto summit del processo di Astana è stato dato il via libera alla composizione del Comitato. Nella riunione però non si fanno passi avanti concreti per trovare una soluzione che permetta una via di fuga ai civili intrappolati nella zona di idlib. Di fronte all’avanzata dell’esercito siriano Erdoğan, temendo una nuova ondata migratoria, avverte l’Europa che terrà aperti i confini. Unico modo per evitarlo è creare la famosa zona di sicurezza, anche senza l’approvazione USA, nel territorio siriano controllato dai curdi (nella riunione definiti terroristi anche da Iran e Russia). Fattori di politica estera, come le sanzioni UE per i trivellamenti al largo di Cipro (dove la tensione torna a salire) o l’indebolimento dell’accordo del 2016 con la mancata liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, e interna, una delle ragioni della sconfitta ad Istanbul è da ricercare nell’insofferenza (cavalcata anche da Imamoğlu) dei cittadini per il grande numero di siriani presenti, spingono Erdoğan ad una nuova fuga in avanti. Così il cerchio si chiude, l’Europa difenderà chi ha sconfitto l’Isis sul campo o sceglierà ancora una volta di non prendersi le proprie responsabilità preferendo (come recita il titolo del nuovo commissario alle politiche migratorie) la “protezione dello stile di vita europeo”? “Turkey is doing a great service to Europe by stopping the influx of around 4 million people (with presumably highly un-European ways of life) into the old continent. Of course, hosting such quantities of non-European life makes Turkey less European, and thus less suited to be a member itself. Working with Europe, in this case, places us further away from joining the economic and political bloc. (Güven Sak). Intanto, come a dar corpo alle minacce, si registra un deciso aumento degli arrivi in Egeo. Le nuove esternazioni guerrafondaie, tra cui quella di dotarsi di armi nucleari, del presidente turco hanno lo scopo principale di coprire la grave crisi che si è aperta all’interno del suo partito e con l’elettorato. Dopo Babacan anche l’ex premier Davutoğlu preferisce dimettersi prima di essere espulso. Quanto queste, ed altre, defezioni metteranno a rischio la maggioranza parlamentare dell’AKP è presto per dirlo intanto però danno la misura di quanto Erdoğan (e l’insistenza del termine “umma” per definire più prosaicamente l’elettorato lo conferma) abbia definitivamente abbracciato  valori lontani da quelli originari del suo stesso partito. In Turchia si apre una nuova stagione politica in cui l’autoritarismo vendicativo di Erdoğan, Canan Kaftancioğlu, braccio destro del sindaco di Istanbul Imamoğlu viene condannata a quasi dieci anni di prigione, gli scontri politici, il primo sarà sulla riforma della giustizia, e l’uso interno delle dinamiche internazionali, la faranno da padrone.

 

  • ottobre a seguito del ritiro americano la Turchia invade la zona di confine con la Siria con lo scopo, come sperimentato ad Afrin, di eliminare la presenza curda. L’AR Mogherini in una prima dichiarazione e poi riferendo al PE condanna l’operazione militare perché potrebbe ridare forza all’ISIS, mettere a rischio l’inizio dei lavori della Commissione costituzionale appena creata e provocare un’altra emergenza umanitaria. A tal proposito si oppone, come già detto da Junker, al ventilato progetto di trasferire nella zona conquistata i profughi siriani ospitati sul territorio turco. Tusk in visita a Cipro respinge la minaccia di Erdoğan di aprire i confini ai rifugiati siriani rinnovando al contempo al presidente Anastasiades l’appoggio UE contro le trivellazioni turche al largo dell’isola. La dichiarazione UE ribadisce che l’integrità territoriale siriana va salvaguardata. Al Consiglio Affari esteri non si riesce a trovare una posizione comune e l'embargo alla vendita di armi, deciso da singoli stati membri, non fa paura alla Turchia. Al contrario il Consiglio difende in maniera compatta i propri interessi e quelli di Cipro,  decidendo per la messa a punto di un “regime quadro di misure restrittive” che colpisca i responsabili delle attività di trivellazione invitando “l'Alto Rappresentante e la Commissione a presentare rapidamente proposte”. Nella conferenza stampa al termine dei lavori l’AR Mogherini ricorda realisticamente che le relazioni con la Turchia riguardano molti altri campi e non possono essere bloccate. A dirla tutta Ankara pare più preoccupata degli effetti di una Brexit senza accordo che di eventuali ritorsioni UE. L’ultimo Consiglio europeo della legislatura (EUCO 23/19) prende atto dell'annuncio reso da Stati Uniti e Turchia che, dopo settimane di durissimi scontri, arrivano ad un accordo per un cessate il fuoco di 5 giorni durante i quali la fascia di sicurezza dovrà essere liberata. Il PE pubblica una risoluzione - P9 TA(2019)49 – in cui prende le distanze da un accordo che legittima “l'occupazione turca della zona di sicurezza nel nord-est della Siria” e che prevedendo “lo sfollamento… di curdi, yazidi, assiri, turkmeni, armeni, arabi e altre minoranze […] in zone a maggioranza araba [creerà] nuove tensioni e minacce per la sicurezza delle popolazioni civili”. Ma la strada, la proposta tedesca di una zona di sicurezza gestita da truppe internazionali arriva ampiamente fuori tempo, è segnata in questa direzione. Il ritiro americano (una “sconfitta morale e strategica”), lascia spazio alla Russia che sigla con la Turchia un nuovo accordo che di fatto segna la fine dell’esperienza del Rojava. I 10 punti dell’intesa prevedono, oltre al pattugliamento russo-turco della fascia conquistata dai turchi, la riconsegna del controllo della frontiera, e della popolazione curda, alle forze di Assad. L’uccisione di Al-Baghdadi ad Idlib e le minacce di Erdogan riaprono il problema del ritorno in patria dei combattenti europei affiliati all’ISIS fatti prigionieri.  L’operazione militare e le tensioni a livello internazionale, sono usate da Erdoğan come colla “for cracks in Turkish society”. É probabile che la stessa idea di trasferire i rifugiati siriani nella zona appena conquistata sia un bluff, “une idée vendue à son opinion pour justifier son offensive contre les Kurdes au moment où la crise économique fait monter le ressentiment des Turcs à l’égard des Syriens en Turquie”. Il primi risultati ottenuti da Erdoğan sono la messa in ombra delle nuove formazioni create da Babacan e Davutoğlu, la fuoriuscita dalla coalizione vincitrice delle elezioni municipali del Buon Partito (İYİ) che pare abbia “reached to join the ruling coalition with the far-right Nationalist Movement Party (MHP) in January” e la messa in crisi del rapporto dell’HDP con i suoi elettori. Le critiche del presidente di Cipro Nord Akinci, l’aumento della miseria e gli scontri con gli USA ( Mehmet Hakan Atilla, già condannato per aver violato l’embargo all’Iran viene nominato  direttore della borsa di Istanbul) sono piccoli danni collaterali. (stampa).

 

  • novembre in Iraq il governo reprime violentemente moti di piazza e ritira licenze di trasmissione a molti media di opposizione. Seppur differenti le proteste che travolgono il Medio Oriente hanno una causa comune nella contrapposizione settaria tra le varie correnti religiose e politiche. Il Kurdistan è il punto dove si focalizzano le tensioni. Paradossalmente proprio nella repressione che Iraq, Iran e Turchia attuano nei loro confronti i curdi potrebbero trovare quella unità di intenti finora mancata. I pattugliamenti congiunti con i russo-turchi e la presenza delle truppe USA nel nord est, più che altro a protezione dei campi petroliferi, non impediscono, con la complicità degli alleati jihadisti e la quiescenza di Assad, all’esercito turco di attuare una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei curdi e dei cristiani armeni e siriaci. Nella zona di Idlib Ingiustificabili bombardamenti sui campi profughi mettono in evidenza come la minaccia jihadista sia ancora temuta. Al Consiglio Affari esteri i ministri “hanno approfondito” le discussioni sulla Siria e “hanno ricordato” l’impegno a bloccare le esportazioni di armi alla Turchia nei cui confronti vengono adottate misure restrittive “in risposta alle attività di trivellazione non autorizzate” al largo di Cipro. Il quadro sanzionatorio, come specificato dall’AR Mogherini nella conferenza stampa alla fine dei lavori, dovrà avvalersi di un elenco mediante il quale identificare i responsabili delle violazioni “ciò sarà affrontato a livello dei pertinenti gruppi di lavoro del Consiglio e possibilmente dal Consiglio stesso”. Riferendo al PE conferma che come sempre le misure colpiscono persone o entità specifiche coinvolte nelle trivellazioni e si augura che vengano ripresi i colloqui per la riunificazione dell’isola. Per tutta risposta la Turchia, come riportano fonti vicine al governo, sigla un accordo con la Libia che, se attuato, renderà i due paesi vicini marittimi e permetterà alla Turchia di estendere la sua zona economica esclusiva (ZEE), attraverso un'area a sud-est dell'isola greca di Creta, fino a circondare Cipro. I contrasti con l’UE si acuiscono anche nei Balcani dove l’irrigidirsi della politica di allargamento lascia ulteriore spazio allinfluenza turca nella regione. Le sanzioni europee, e i contrasti con Trump (anche se nella visita di Erdogan negli USA i toni sono stati cordiali), non faranno che spingere ulteriormente Ankara nelle braccia della Russia. Si sospetta addirittura che la morte Edward Le Mesurier, ex spia britannica e fondatore dei Caschi Bianchi, possa essere “da quando la Turchia accusa l'Europa, l'Occidente e la stessa Nato” […] “un favore fatto dai servizi turchi a quelli russi”. Ultimo fronte di scontro è l’inizio del rimpatrio anche in Europa dei foreign fighters nei rispettivi paesi che dopo anni di disinteresse sono ora costretti a trovare soluzioni in fretta. Sembra ormai chiaro che per Erdogan l’appartenza al campo occidentale non sia più una priorità, il dividendo di consensi che questo tipo di atteggiamento in politica estera produce in patria riesce a rattoppare le falle sul fronte politico interno. La Turchia si trova a fronteggiare una crisi economica così profonda da spingere al suicidio intere famiglie. Disoccupazione e alto costo della vita fanno esplodere la crisi sociale in tutta la sua gravità e per il prossimo anno è probabile anche una diminuzione degli aiuti europei ai rifugiati siriani previsti dall’accordo UE-Turchia. Mentre le società che hanno legami con l’AKP sono in grado di farsi ristrutturare o cancellare ogni debito con lo Stato, il governo blocca quasi 4 milioni di stipendi e conti bancari per debiti non pagati da ottobre e le banche statali non versano alle municipalità di Istanbul e Ankara i fondi ordinari tanto che İmamoğlu è costretto ad un tour di raccolta fondi nelle capitali europee per trovare 3,5 miliardi di dollari per finanziare progetti metropolitani in stallo. La repressione del dissenso raggiunge toni ridicoli nel caso di Ahmet Altan. In prigione per tre anni al momento del rilascio non mostrandosi, come testimonia una sua intervista, né pentito né scoraggiato viene di nuovo arrestato. “Vedere la legge così arbitrariamente disprezzata, le sentenze di un alto tribunale sfidate con tanta disinvoltura, è inaccettabile” dice Pamuk. Ad intorbidare ancor di più le acque della politica turca la notizia, smentita dagli interessati, di un incontro segreto tra Erdoğan e Muharrem İnce personaggio di spicco all’interno del CHP.

 

  • dicembre il nuovo AR per la politica estera Joseph Borrell presiede il suo primo Consiglio Affari esteri. I ministri discutono degli ultimi sviluppi concernenti il memorandum d'intesa Turchia-Libia sulla delimitazione della giurisdizione marittima e sulla cooperazione militare poi della situazione politica in Libia. La UE, lamentando come il memorandum non sia stato reso pubblico, diffida ancora una volta la Turchia ad intraprendere ulteriori azioni nel Mediterraneo orientale. Ai margini del 26° Consiglio ministeriale OSCE, l’AR Borrell incontra il ministro degli esteri turco Cavuşoğlu. Alla Turchia la difesa del governo di Tripoli serve sia per contrastare gli accordi che Grecia, Cipro greca, Egitto e Israele hanno stipulato per lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo che, nella difesa dei propri interessi economici, per ribadire il ruolo storico nel paese africano. Ad aumentare la tensione nella zona il Congresso USA toglie l’embargo alla vendita di armi a Nicosia mentre Ankara decide l’invio di armi e soldati a Serraj. L’Europa di fatto viene politicamente marginalizzata sia nel Mediterrano orientale che in Libia dove l’internazionalizzazione del conflitto annulla la speranza di un futuro di pace. Come in Siria si delinea una nuova guerra per procura dove si affrontano i principali attori presenti in Medio oriente. Appoggiato dai russi, l’esercito di Damasco lancia l’ultima sanguinosa offensiva contro la regione di Idlib provocando la reazione di Erdoğan che accusa i russi di non aver liberato la fascia di sicurezza (intanto 600 soldati americani mantengono il controllo dei pozzi petroliferi nel territorio ancora controllato dai curdi). La narrazione retorica di Erdoğan, che ora non si avvale solo di fatti (come la presentazione dell’auto elettrica di stato o il mai completamente abbandonato progetto di un nuovo canale che tagli il Bosforo) ma anche di un universo di supereroi nazionali cerca di coprire la continua nascita di voci di dissenso. La Corte costituzionale dichiara illegittimo il blocco di Wikipedia mentre in parlamento deputate dell’opposizione attaccano rumorosamente il ministro dell’interno dopo la repressione violenta di una marcia femminista da parte della polizia. L’ex primo ministro Ahmet Davutoğlu fonda il “Partito del futuro”, con lo scopo di intercettare gli elettori delusi dalla deriva autoritaria dell’AKP. La reazione del capo dell’AKP non si fa attendere: accusa l’ex alleato di aver frodato Halkbank tra il 2014 e il 2016. Anche se la Corte europea dei diritti dell’Uomo richiede l’immediato rilascio di Osman Kavala e Ahmet Altan rimanga in prigione, sembrerebbe che la nuova Commissione europea non dispiaccia alla Turchia la quale anche se ha deviato “ from the track of liberal democracy. But this is temporary, and Turkey has no other option than to get back on that track”.