Chi siamo
Il Dipartimento "Istituto Italiano di Studi Orientali - ISO", istituito con decreto rettorale del 10 giugno 2010, è erede istituzionale, all'interno di Sapienza Università di Roma, della Scuola Orientale, del Dipartimento di Studi Orientali e della Facoltà di Studi Orientali, quale centro deputato alla promozione della ricerca scientifica e dell'alta formazione nei settori scientifico-disciplinari relativi alla civiltà, alla cultura e alle lingue dei Paesi dell'Asia e dell'Africa, dall'antichità al periodo contemporaneo.
La Facoltà di Studi Orientali, istituita con decreto rettorale il 7 marzo 2001, è l’erede di una lunga tradizione di studi orientalistici, iniziata con l’attivazione di singoli insegnamenti (i più antichi di cui rimanga documentazione sono Ebraico nel 1842, e Arabo nel 1575). In tempi più recenti i diversi insegnamenti orientalistici via via istituiti si riunirono in Istituti (Vicino Oriente Antico, Studi Islamici, Studi dell’India e Asia Orientale) costitutivi di una Scuola Orientale, poi, assieme a quest’ultima , disciolti e in massima parte confluiti nel Dipartimento Studi Orientali, e infine nel Corso di laurea in Lingue e Civiltà Orientali attivato nel 1994. Quest’ultimo è stato disattivato dalle leggi della Riforma universitaria; al suo posto, all’interno della Facoltà di Studi Orientali, è stato attivato un nuovo Corso di laurea (triennale) in Lingue e Civiltà Orientali, seguito da un omonimo Corso di laurea Magistrale (biennale).
La creazione della Facoltà di Studi Orientali costituiva una risposta alla diffusa domanda di sapere su “l’Oriente” manifestatasi negli ultimi anni con un progressivo e stabile aumento del numero delle iscrizioni al Corso di laurea in Lingue e Civiltà Orientali che ha registrato un notevole incremento, in particolare, negli insegnamenti di Lingua e letteratura giapponese, Lingua e letteratura cinese, e Lingua e letteratura araba.
La Facoltà di Studi Orientali raggruppava 40 discipline in cinque distinte aree: linguistica, filologica, archeologica e storico-artistica, filosofico-religiosa e storica, ciascuna a sua volta suddivisa secondo le seguenti aree geografico-culturali: Vicino Oriente antico, Islam, Asia meridionale e sud-orientale, Estremo Oriente.
La Scuola di Studi Orientali è semplicemente una denominazione di comodo, che raccoglie numerosi e separati insegnamenti, ciascuno dei quali ha la sua storia, tradizione e successione spirituale, sovente da maestro a discepolo. Queste mie parole (vi avverto subito) saranno poco più che un elenco di discipline e di professori. Molti di questi li ho conosciuti di persona, altri (e sono i più) solo di fama.
La tradizione degli insegnamenti orientalistici a Roma è, ovviamente, antichissima, anche se ristretta all'Ebraico, all'Arabo ed al Siriaco, tutte lingue importantissime per l'esegesi biblica, la storia religiosa e l'antica letteratura del Cristianesimo. Questi insegnamenti, impartiti dal XIV secolo fino al 1870, sono stati recentemente oggetto di un dottissimo studio del mio amico e collega Paolo Daffinà (che tra l'altro ringrazio per le numerose notizie che mi ha fornito anche sull'assetto più recente della Scuola Orientale) e quindi mi astengo dal parlarne. Mi basti qui ricordare che all'arrivo dei Piemontesi nel 1870, gli insegnamenti orientalistici erano tre: quello di Ebraico, impartito da Luigi Vincenzi, quello di Siriaco, da Paolo Scapaticci, e quello di Arabo, da Johannes Bollig, che poi insegnò per qualche tempo anche Sanscrito.
Di una vera e propria Scuola Orientalistica non più confinata al Vicino Oriente Antico e resa indipendente ormai da esigenze e sollecitazioni religiose si può parlare solo nei decenni successivi al 1870, quando accanto all'Arabo ed all'Ebraico, vennero attivati gli insegnamenti di Cinese, di Giapponese, col prof. Carlo Valenziani, di Iranico col prof. Giacomo Lignana.
Fino ai primi del '900 non esisteva tuttavia una Scuola Orientale o Istituto di Studi Orientali a se stante e gli insegnamenti erano semplicemente impartiti nell'ambito della Facoltà di Lettere, senza essere raggruppati insieme. La Scuola Orientale dell'Università di Roma (leggo in una nota del 1974 pubblicata nella RSO |Rivista degli Studi Orientali| per cura di A. Bausani) sorse nel 1903 "per iniziativa spontanea di cinque professori di materie Orientali della Facoltà di Lettere e Filosofia (De Gubernatis, Guidi, Labanca, Nocentini e Schiaparelli) i quali si sono volontariamente raggruppati insieme in base all'Articolo 23 del Regolamento speciale della Facoltà di Lettere e Filosofia". Nonostante lo schema di regolamento di una Scuola Orientale da essi proposto fosse approvato dalla Facoltà stessa, dal Consiglio Superiore di P:I. e quindi dal Ministero, la Scuola Orientale non ebbe mai una base giuridica ben individuata, ma conservò sempre il carattere di aggregazione di materie orientalistiche sul solo piano burocratico-amministrativo. Le sue attività fondamentali restarono la gestione della biblioteca e la pubblicazione della Rivista di Studi Orientali che fondata nel 1907 è arrivata oggi al n. LXVIll. Gli insegnamenti della Scuola furono ripartiti nel 1960 in tre gruppi, cioè nell'Istituto del Vicino Oriente Antico, l'Istituto di Studi Islamici e l'Istituto di Studi dell'India e dell'Asia Orientale. La Scuola restò con il compito di costituire un elemento unificatore dei vari Istituti, in base alla considerazione che una certa connessione fra di essi in vista soprattutto della biblioteca e della RSO restava pur sempre opportuna: "al di sotto dell'ufficiale etichetta ogni settore ha seguito una strada distinta e conosciuto una sorte diversa". Così il Bausani.
Nel 1982 i tre Istituti della Scuola si costituirono in Dipartimento di Studi Orientali. Non tutti i professori di discipline orientalistiche tuttavia entrarono a farvi parte, anche se ad esso pur sempre legati dalla biblioteca e dalla Rivista.
Percorriamo adesso brevemente queste strade e vediamo come, variamente ramificandosi, siano pervenute fino ai giorni nostri. E comincio innanzitutto dall'Arabo e dall'Ebraico.
La prima figura che ci si presenta davanti è quella del piemontese Celestino Schiaparelli (1841-1919) che, allievo insieme con Ignazio Guidi, di Michele Amari fu chiamato nel 1875 alla Cattedra Romana. Il prof. Francesco Gabrieli, ricordandolo (ma sono anche per lui ricordi lontani) ne parla come di un vecchio taciturno e ringhioso come il Dyskolos di Menandro. La sua opera scientifica, di carattere prevalentemente letterario, fu tuttavia d'alto scrupolo e precisione, nata, dice sempre il Gabrieli, nel solco del grande Amari, ma condotta con una filologica acribia superiore certo a quella dell'illustre storico siciliano. Lo Schiaparelli tenne la cattedra fino al 1916.
Già qualche anno prima, per effetto della guerra di Libia e quindi per soddisfare alle esigenze oltre che della scienza, anche dei nuovi interessi economici, coloniali e politici del paese, fu fondata a Roma una nuova cattedra, quella di Storia ed Istituzioni musulmane (dal 1954 Islamistica), alla quale fu chiamato nel 1913 Carlo Alfonso Nallino, uno dei nostri maggiori rappresentanti degli studi arabo-islamici che, con giovanile energia, si dedicò, più che alla letteratura, allo studio della religione, della storia, delle istituzioni e delle scienze della civiltà musulmana. "Scrutatore (dice il Gabrieli) dei campi più astrusi e tecnicamente ardui di quella civiltà (la teologia, il diritto, la mistica, la matematica ed astronomia), egli profondeva la sua dottrina dalla cattedra (su cui anche fisicamente saliva, magari davanti ad un solo uditore) con quella fredda e limpida precisione che era insieme la sua forza ed il suo limite".
Nel 1919 la cattedra di Arabo fu occupata da Michelangelo Guidi, figlio di Ignazio, di cui parleremo tra poco, a proposito di Ebraico. Michelangelo Guidi (cito sempre il Gabrieli) "succedendo a Schiaparelli portò un'apertura mentale e metodica ben più moderna di quanto era stato nell'ottocentesco discepolo di Amari". Michelangelo Guidi, discepolo di Nallino, fu il Maestro di Francesco Gabrieli, che tutti ci onoriamo di conoscere, non meno grande (mi sia qui consentito di dirlo) dei tre grandi, come egli stesso li chiama, cioè Nallino, Michelangelo Guidi e Giorgio Levi della Vida, cui accennerò tra breve. Ma Francesco Gabrieli è vivente e la vita vuole il silenzio, in questo caso per altro inutile, perché la sua opera di studioso e divulgatore è ben nota anche fuori dalla cerchia degli arabisti di stretta osservanza. A Gabrieli successe nella cattedra di Arabo per breve tempo Paolo Minganti e quindi Renato Traini.
Passiamo adesso all'Ebraico. Ad insegnare questa disciplina troviamo, dal 1876 al 1919 Ignazio Guidi, uno dei padri e maestri dell'orientalismo italiano, che oltre l'Ebraico, dominava il Greco, l'Arabo, il Siriaco (scrisse composizioni in versi in queste lingue), i dialetti aramici, l'antico etiopico e l'amarico. La sua opera famosa sulla sede primitiva dei popoli semitici, le numerosissime monografie di carattere filologico, le edizioni di testi, le sue molte note storico-letterarie testimoniano un senso della lingua, un acume critico ed una sensibilità storica straordinari.
A Ignazio Guidi successe nel 1919 Giorgio Levi della Vida, suo discepolo, che anch'io di persona conobbi. Lo andai due o tre volte a trovare nella sua casa di via Pò di cui rammento la grande profusione di tavoli, tutti ingombri da opere in divenire, che egli manovrava e perfezionava come uno stratega. Ma Giorgio Levi della Vida non fu soltanto un ebraista (ne occupò la cattedra dal 1919 al 1931 ) ma anche un grande arabista ed islamista. "Alla solidità e precisione di Nallino (così il Gabrieli) egli univa l'apertura mentale e problematica di Michelangelo Guidi, suo fraterno amico di giovinezza; e agli interessi storico-religiosi di questo, aggiungeva quelli più propriamente storici (la storia etico-politica di Amari e Caetani) al Guidi meno congeniali". Giorgio Levi della Vida, nel 1932 dispensato dal servizio per aver rifiutato il giuramento fascista, si rifugiò in America, per essere reintegrato nell'insegnamento nel 1944. Continuò ad insegnare fino al 1956. La cattedra da lui rioccupata dopo i11944 non fu più Ebraico, ma Storia ed Istituzioni musulmane (dopo il 1954 Islamistica). La severità dei suoi studi fu inoltre temperata da un non comune gusto ed interesse letterario, che non limitato al campo arabo, si estendeva alla cultura classica e moderna. Ricordo qui a questo proposito due suoi volumi di eccezionale garbo e freschezza, cioè Aneddoti e svaghi arabi e non arabi del 1959 e Fantasmi ritrovati del 1966. Giorgio Levi della Vida morì nel 1967. Suo allievo e successore alla Sapienza prima e nella Seconda Università dopo fu Sabatino Moscati.
L'insegnamento di Ebraico fu impartito dopo Levi Vida da Eugenio Zolli e presentemente da Jan Albert Soggin. L'insegnamento di Filologia Semitica è tenuto presentemente dal prof. Giovanni Garbini.
Restando sempre nel campo dell'Islamistica, una delle figure più straordinarie della nostra scuola fu Alessandro Bausani, che la insegnò dal 1963 al 1985. Alessandro Bausani fu uomo di una grande curiosità intellettuale per i più vari aspetti della cultura e dotato di una incredibile disposizione ad apprendere le lingue ed a parlarle con singolare scioltezza. I suoi interessi furono soprattutto religiosi. La sua traduzione del Corano è di gran lunga la migliore apparsa in lingua italiana. All'Islam, anche a quello moderno, soprattutto indiano, si avvicinò con una partecipazione e simpatia sconosciute a molti studiosi occidentali, e ben nota è la sua traduzione del poeta Iqbal.
Come sovente accade per i grandi amori non gli furono risparmiate, proprio dalla parte dell'Islam, delusioni ed amarezze. Alessandro Bausani era di fede Baha'i, la cui persecuzione, cominciata già ai tempi dei Qajar, si inasprì sotto il regime degli Ayatollà, tanto che non poté più tornare nella Persia che tanto amava.
Bausani fu anche studioso di astronomia ed astrologia e matematico eccellente, si da essere prescelto, in un esame di matematica, come membro della commissione. Alessandro Bausani, per ragioni egoistiche (ma ovviamente non solo per quelle) è uno degli amici di cui più rimpiango la morte e ogni volta che mi trovo davanti ad un problema specialmente difficile mi dico: Se ci fosse ancora Bausani! L'insegnamento di Islamistica è tenuto presentemente da Biancamaria Scarcia Amoretti.
L'insegnamento del Turco entrò nella nostra Università nel '39 e colui che fu chiamato ad insegnarlo fu Ettore Rossi, che turcologo autodidatta dominava come pochi le tre lingue letterarie musulmane (arabo, persiano e turco). I suoi interessi non erano limitati alla lingua e letteratura turca ma si estendevano anche all'arabo. Dopo la sua prematura scomparsa nel 1959 l'insegnamento di turco fu tenuto per incarico da Alessio Bombaci e, dopo la morte di questi da Anna Masala, che ne occupa la cattedra.
Ma passiamo adesso all'assiriologia ed archeologia orientale. Questa fu insegnata alla Sapienza da Giulio Cesare Teloni prima e Giuseppe Furlani poi, che vagamente ricordo quando, giovane studente, leggevo i suoi libri di sintesi sulla religione babilonese-assira e quella degli hittiti. Giuseppe Furlani non si dedicò soltanto alla civiltà mesopotamica, alla sua lingua ed ai suoi culti, ma molto si occupò della filosofia e teologia dei siri, degli influssi aristotelici e neoplatonici che la pervadono, di Giovanni Filopono e Barhebreo. Come Nallino, come Levi della Vida, egli si interessò a campi diversi, quali la letteratura ebraica ed etiopica, la geografia araba, i Yezidi, i Mandei, le speculazioni astrologiche e divinatorie. La cattedra di assiriologia fu dopo di lui tenuta per incarico da Raffaele Castellino, che per la sua attività filologica e di traduttore di testi sumerici ed accadici fu insignito del premio internazionale per la Semitistica, Lidzbarski. La cattedra è tenuta adesso da Giovanni Pettinato. Altri insegnamenti riguardanti il Vicino Oriente Antico sono quelli di Assiriologia e Storia dell'Arte del Vicino Oriente Antico (Matthiae), Storia del Vicino Oriente Antico (Liverani), Epigrafia Semitica (Guzzo Amadasi), Antichità puniche (Ciasca), Hittitologia (Archi), Religioni del Vicino oriente Antico (Verger).
L'insegnamento di Iranistica dopo Giacomo Lignana (1886-1981) non fu nella nostra Università uno dei più fortunati e fu sempre impartito per incarico. Dal 1927 al 1944 incaricato di questa disciplina fu tuttavia uno dei più grandi glottologi e linguisti Italiani, Antonio Pagliaro (di cui altri ha parlato e su di cui quindi qui non mi soffermo) e dopo di lui dal 1944 al 1951, Giuseppe Messina, che si occupò in special modo della antica religione iranica e poi anche della prima diffusione del cristianesimo in quelle regioni (Nestoriani, etc.). Lo scorso anno è stata istituita una nuova cattedra, che in qualche modo supplisce a questo vuoto della nostra scuola, cioè Religioni e Filosofie dell'Iran e dell'Asia Orientale, cui è stato chiamato Gherardo Gnoli. La cattedra di lingua e letteratura persiana è tenuta da Angelo Piemontese.
Nonostante il centro degli studi egittologici in Italia sia stato sempre per tradizione Torino, pure l'Egittologia fu coltivata anche a Roma sin dal 1923, insegnata per incarico da Giulio Farina. Dopo gli anni '50 la cattedra fu occupata da Giuseppe Botti prima e da Sergio Donadoni poi, che tutti ben conosciamo. Per merito soprattutto di quest'ultimo, v'è adesso nella Sapienza un centro importante di studi egittologici, presente anche in Egitto con scavi e campagne archeologiche.
La lingua e letteratura copta fu insegnata per incarico da Michelangelo Guidi e da Sergio Bosticco. La cattedra è tenuta presentemente da Tito Orlandi.
Ma passiamo adesso all'India ed all'Estremo Oriente. Nel 1932 entrò a far parte della nostra Università, come insegnante di Religioni e Filosofie dell'India e dell'Estremo oriente, uno dei professori che più l'illustrarono, cioè Giuseppe Tucci. Nato nel 1894 (esattamente cent'anni fa) Tucci fu essenzialmente un autodidatta. Già conoscitore del sanscrito (durante la guerra del 14-18 leggeva in trincea la Rajatarangini di Kalhana), durante i cinque anni da lui trascorsi in India, dal 1925 al 1930, ebbe agio di impadronirsi in modo eccezionale di quella lingua, tanto da poterla scrivere e parlare correntemente. Ma gli interessi del Tucci non erano solo confinati alle molteplici scuole filosofiche e religiose dell'India, di cui fu studioso profondo e precursore: basti qui pensare ai suoi studi sul materialismo indiano, sull'antica logica buddhista, sul tantrismo specialmente buddhista (ancor oggi in un libro recentemente stampato in India, gli editori hanno trascritto di sana pianta uno studio di Tucci), sui grandi pensatori buddhisti, su quelli scivaiti. Prima ancora che all'India, egli si interessò anche alla Cina, di cui conosceva la lingua, scrivendo la sua Storia della Filosofia Cinese antica, pubblicata nel 1922. Ben presto Giuseppe Tucci capì che per lo studio del Buddhismo, il sanscrito era insufficiente. Molte opere in origine scritte in sanscrito sono fino a noi pervenute solo in traduzioni cinesi e tibetane e di qui la necessità di conoscere quelle lingue. Giuseppe Tucci apprese così il Tibetano, tanto da diventare il maggior conoscitore occidentale di questa lingua. Né la conoscenza della lingua e cultura tibetana fu per lui questione solo libresca, ma integrata attraverso otto spedizioni nel Tibet, regione quanto mai impervia ed allora inaccessibile agli stranieri. Nacquero così i volumi di Indo-Tibetica, dedicati al resoconto scientifico di viaggi, durante i quali poté raccogliere o fotografare una mole straordinaria di documenti letterari ed artistici. Ma Tucci fu anche un altissimo divulgatore e queste avventurose spedizioni furono da lui raccontate ad un più vasto pubblico in numerosi volumi (Tra Santi e Briganti nel Tibet Ignoto, a Lhasa ed oltre, etc.). Venne quindi la guerra ed il tempo occupato dall'immane disastro fu da lui meglio impiegato nella composizione dei tre volumi di Tibetan Painted Scrolls, che, nonostante il titolo riduttivo, sono una vera e propria enciclopedia della cultura e religione Tibetana.
Dopo la guerra e numerose conseguenti amarezze, Tucci si fece archeologo o meglio promotore di scavi archeologici, creando nell'Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (lsMEO) (da lui e Giovanni Gentile fondato nel lontano 1934) il Centro Scavi. La sua attività come storico ed archeologo fu diretta prima al Nepal, poi allo Swat e quindi all'Afghanistan ed Iran Orientale. per una sua iniziativa fu creato a Roma il Museo Nazionale d'Arte orientale. La cattedra che fu sua è adesso occupata da Corrado Pensa.
Queste scarne parole (ma questo vale per tutti i maestri che qui ho così brevemente ricordato) danno solo una pallida idea dell'opera di Giuseppe Tucci. Egli (caso rarissimo) seppe essere, oltre che scienziato, organizzatore incomparabile, nell'interesse della scienza e dei suoi discepoli, che seguì sempre affettuosamente e paternamente. Il sapere in lui come in nuce raccolto si differenziò per suo impulso, lui ancora vivente, in numerosi insegnamenti particolari.
Accenniamone in breve. Nel 1953 fu attivato a Roma l'insegnamento di Storia dell'Arte del Medio ed Estremo Oriente, che si scisse di lì a poco nei due insegnamenti di Storia dell'Arte dell'India e dell'Asia centrale e Storia dell'Arte dell'Estremo Oriente, inizialmente tenuti entrambi da Mario Bussagli, allievo di Tucci.
Mario Bussagli, mio carissimo amico, seppe come pochi unire al rigore della ricerca scientifica un raro garbo di divulgatore. Senese di origine, la parlata toscana gli prestò un innata facilità di parola e di scrittura, che rendono le sue opere, anche quelle più astruse, di lettura facile e piacevole. I suoi interessi spaziarono dall'arte dei Kusana, dell'India e della Cina fino alla natia Siena, nella cui arte e cultura seppe individuare influssi e motivi di origine orientale, rimasti finora inosservati. L'entusiasmo che Mario Bussagli seppe sempre infondere ai suoi discepoli, non rimase senza frutto e non pochi sono i suoi allievi e allieve che continuano, in cattedra, la tradizione da lui iniziata.
Nel 1968 si attivò alla Sapienza una nuova cattedra, Storia dell'Arte Musulmana, cui fu chiamato un altro allievo di Tucci, Umberto Scerrato. L'insegnamento di Storia e Geografia dell'Asia Orientale, preesistente a Giuseppe Tucci e tenuto dal sinologo Giovanni Vacca sin dal 1923 passò nel 1948 a Luciano Petech, che allievo di Tucci, lo tenne fino al 1984. La Storia e Geografia dell'Asia Orientale fu poi divisa nei due insegnamenti di Storia dell'Asia Orientale e Storia dell'India e dell'Asia Occidentale, tenuti presentemente dai prof. Piero Corradini e Paolo Daffinà.
L'insegnamento di Sanscrito (chiamato poi Indologia) risale, nella nostra università al 1870, tenuto da Johannes Bollig, che insegnava anche l'Arabo. Seguirono a lui Giacomo Lignana e a questi Angelo de Gubernatis (1891-1909). Angelo de Gubernatis, discepolo a Berlino del famoso Weber, fu uomo di grande erudizione, non solamente in campo orientalistico. Di lui ricordo qui i suoi studi sui Veda, sulla mitologia comparata, sull'archeologia indiana e sul Buddhismo. Grande viaggiatore, uomo attivo ed entusiastico, egli si mise ad un certo punto in mente che la Regina Margherita, che aveva forse incautamente mostrato troppo interesse per i suoi studi e per l'India, dovesse apprendere il sanscrito e molto insisté in proposito. La cosa non ebbe seguito.
Successe ad Angelo de Gubernatis Carlo Formichi, che tenne la cattedra di sanscrito dal 1931 al 1941. Anche l'attività scientifica del Formichi riguarda molteplici aspetti dell'lndologia, dai Veda al pensiero religioso e filosofico dell'India, dal Buddhismo alla scienza politica di Kautilya. Conoscitore ottimo del sanscrito non solo tradusse da quella lingua in italiano episodi dal Mahabharata e poemi interi, quali il Raghuvamsa ed il Buddhacarita, ma voltò dall'Italiano in sanscrito alcuni passi della Divina Commedia. Dopo Formichi l'insegnamento del sanscrito fu tenuto fino al 1949 da Ambrogio Ballini, e poi per incarico da Giuseppe Tucci e quindi da Alfonsa Ferrari, colla quale, allieva di Tucci e buona conoscitrice anche del Tibetano io mossi, per dir così, i primi passi.
Tra gli insegnamenti di Cinese e Giapponese, dal 1910 fino a tempi recenti, tenuto sempre per incarico, la figura di maggior spicco fu il gesuita padre Pasquale D'Elia, che si occupò prevalentemente delle missioni cattoliche in Cina e di Matteo Ricci, di cui curò l'edizione delle opere. La cattedra di Cinese è presentemente occupata da Federico Masini e quella di Giapponese da Matilde Mastrangelo.
Sono giunto al termine della mia esposizione. Molti di voi avranno notato che ho messo sempre in rilievo la successione tra maestro e discepolo. Di là della trasmissione della dottrina e del metodo e l'impostazione particolare della ricerca, il vivo rapporto tra maestro e discepoli è fonte di una successione di pensieri, di idee, di sentimenti, di impressioni che formano una comunità spirituale, un legame come di famiglia basato non sul sangue ma sulla conoscenza. Questo legame persiste sempre, anche quando le ricerche ed i risultati divergono, sopravvive anche ad eventuali minori differenze e discrepanze, e solo per esso si può parlare di scuola. In questo senso l'esistenza della scuola orientalistica romana, anche se, come abbiamo visto, non ha mai avuto uno statuto preciso e molte siano le strade in cui s'è ramificata, è una realtà effettiva, di cui siamo giustamente orgogliosi.
(Raniero Gnoli - La scuola Orientale)