Apparecchi dimostrativi
In questa sezione vengono mostrati alcuni dispositivi non inquadrabili né nella categoria degli strumenti né in quella degli accessori. I dispositivi scelti servono a riprodurre in laboratorio particolari fenomenologie o a illustrare applicazioni tecniche assai diffuse nella seconda metà dell'Ottocento, come la telegrafia.
Apparecchio di De La Rive per la produzione dell'aurora polare
Societé Genevoise, Plainpalais; 1868-1872; 50x130x85 |
L' apparecchio è stato realizzato per riprodurre in laboratorio le aurore polari in base a una teoria proposta intorno al 1850 dal fisico svizzero A. De La Rive. Secondo De La Rive "l'aurora si forma nell'atmosfera a grandissime altezze, e consiste nella produzione di un anello luminoso con centro nel polo magnetico... Le aurore sono prodotte da scariche elettriche che avvengono nelle regioni polari tra l'elettricità negativa della Terra e l'elettricità positiva dell'atmosfera. Tutti i fenomeni elettromagnetici che accompagnano l'aurora boreale dimostrano l'esistenza di queste scariche e delle correnti elettriche che ne derivano. Del resto, si producono nell'uovo elettrico apparizioni identiche giovandosi della luce d'induzione posta sotto l'influenza di una calamita".
In base alla teoria di De La Rive, l'aurora era dunque un fenomeno elettroatmosferico dovuto alla neutralizzazione, in prossimità dei poli terrestri, dell'elettricità positiva dell'atmosfera con quella negativa della Terra e in cui il magnetismo terrestre giocava un ruolo fondamentale.
I capisaldi su cui poggia la teoria si basavano sulle osservazioni che l'aurora polare compariva nell'emisfero boreale e australe pressoché simultaneamente e che il fenomeno era accompagnato da forti perturbazioni magnetiche (variazione nell'inclinazione e nella declinazione dell'ago magnetico) ed elettriche (correnti derivate nei fili telegrafici).
La teoria di De La Rive, benché puramente descrittiva e qualitativa, e quindi intrinsecamente debole, si impose per qualche anno grazie alla semplicità del modello esplicativo ma andò incontro a forti obiezioni da parte degli studiosi che ritenevano che la sede del fenomeno fosse extraatmosferica.
E' superfluo sottolineare quanto l'interpretazione del fisico svizzero fosse erronea ma del resto la teoria di De La Rive non poteva essere corretta: le proprietà elettromagnetiche del sistema Terra-atmosfera erano infatti a quel tempo ancora sconosciute, non si sospettava l'esistenza della ionosfera, ipotizzata solo nel 1902 dopo le osservazioni di Marconi sulla propagazione delle onde radio, né si immaginava che alla formazione delle aurore contribuissero fenomeni esterni all'atmosfera, legati in particolare all'interazione del vento solare con l'atmosfera terrestre.
Un primo esemplare dell'apparecchio venne fatto costruire da De La Rive intorno al 1860 dall'Atelier per la costruzione di "strumenti filosofici" di Ginevra. L'apparecchio qui mostrato, uno dei pochi esemplari in Europa, è stato costruito tra il 1868 e il 1872 dalla Societé Genevoise di Ginevra, probabilmente lo stesso Atelier a cui si riferisce l'autore, e che nel 1900 riportava nei suoi cataloghi il nome Societé Genevoise pour la construction des Instruments de Physique et de mecanique, Geneve 5, Chemin Gourgas.
Nell'apparecchio romano, una sfera di legno suddivisa in due emisferi incernierati tra loro, rappresenta la Terra. Nella sfera è alloggiato un elettromagnete (che riproduce il campo geomagnetico) le cui espansioni polari terminano all'interno di due campane di vetro, del diametro di 25 cm e di lunghezza di 24 cm, disposte in corrispondenza dei poli terrestri, chiuse alla base da un disco di ottone internamente isolato con vetro e ceralacca e forato al centro per permettere l'attraversamento del fusto di ferro dolce. In ciascuna campana, provvista di rubinetto per il collegamento alla pompa da vuoto, è fissato un elettrodo ad anello con asse coincidente con quello dei poli del magnete.
La sfera di legno veniva ricoperta con due strati di carta assorbente imbevuti di una soluzione salina al fine di riprodurre l'effetto dei vapori provenienti dal mare, mentre una serie di lamine di rame simulava la distribuzione dei fili telegrafici e consentiva di controllare gli effetti che avvenivano in concomitanza del verificarsi del fenomeno luminoso. Sulle lamine, che decorrono su un meridiano inferiore della sfera, sono avvitate a uguali distanze 6 placche di ottone. Tra le placche si possono stabilire dei contatti metallici mediante il filo di un galvanometro posto a distanza per non subire l'influenza della elettrocalamita. Si bagnano poi con acqua salata le strisce di carta assorbente, che si mantengono umide facendone immergere le estremità nella soluzione salina contenuta in una piccola capsula metallica (ora mancante) posta nella parte inferiore del globo. Quindi si mette in contatto la capsula metallica con l'elettrodo negativo di un rocchetto di Ruhmkorff e gli elettrodi ad anello con l'elettrodo positivo del rocchetto. Tra il ferro dolce e l'elettrodo ad anello si osserva allora una scarica luminosa che compare alternativamente nelle due campane. Non appena si aziona l'elettrocalamita, la scarica luminosa ruota per effetto della forza di Lorentz. Se si carica negativamente il ferro dolce e positivamente l'elettrodo circolare, si osserva la scarica assumere la forma di un anello dai colori rosati, e ruotare con regolarità intorno al nucleo di ferro dolce dal quale si dipartono raggi luminosi secondari, che si dirigono verso l'elettrodo circolare.
L'apparecchio, restaurato e funzionante, non è riportato nel Registro Inventariale mentre se ne fa menzione negli Inventari vecchi degli strumenti acquisisti dal Gabinetto Fisico della Sapienza provenienti da altre collezioni. Negli Inventari vecchi, tra gli strumenti e le macchine acquisite tra il 1868 e il 1872 si legge accanto al numero 1017 "gran apparato per dimostrare l'aurora boreale con accessori sotto vetrina di De La Rive".
(M. Grazia Ianniello)
Uovo elettrico
Browning, Londra; 1886; 15 x 15 x 60 |
L'uovo elettrico, o "uovo di De La Rive", è costituito da un recipiente di vetro a forma d'uovo, all'interno del quale sono inserite due aste di ottone terminanti con due sferette. Le aste possono essere collegate rispettivamente al polo positivo e negativo di un rocchetto di induzione, tramite 2 morsetti. Nella parte inferiore dell'apparecchio, un rubinetto consente di collegare il recipiente a una pompa da vuoto. Tra i supporti di ottone e il vetro vi è una base isolante in ceralacca.
L'apparecchio serviva a studiare la scarica elettrica nei gas rarefatti al variare della pressione e della natura del gas. Questi studi, iniziati alla fine del Settecento, ricevettero nuovo impulso dopo la scoperta della pompa a mercurio di Geissler (1855) e proseguirono per tutto l'Ottocento quando si scoprì, con J.J. Thomson nel 1897, che la "materia radiante" ipotizzata da Faraday (1816) e studiata in particolare da W. Crookes che la assunse a quarto stato della materia, altro non è che un fascetto di elettroni.
L'esemplare mostrato è stato acquistato dall'Istituto di Fisica nel 1886 per lire sterline 18,6, come si legge nella nota numero 748 del Registro delle fatture e bilancio.
A sinistra viene mostrata una variante dell'uovo elettrico; all' interno è fissato un magnete per osservare l'effetto di un campo magnetico sulla scarica.
(M. Grazia Ianniello)
Apparecchio per lo studio delle correnti di Foucault
H. Ruhmkorff; 1878; Larghezza 380, profondità 35,7 cm, altezza 41,8 cm; diametro dei dischi: 77 mm |
Questo apparato fu inventato da Léon Foucault nel 1878. La sua descrizione si trova in una memoria dello scienziato intitolata "Chaleur produit par l'influence de l'aimant". L'apparato in possesso del museo è stato costruito da H. Ruhmkorff, come attestato dalla targhetta posta sul supporto.
Girando la manovella si pone in rapida rotazione un disco di rame situato tra le espansioni polari di un elettromagnete. Quando si chiude un interruttore, facendo circolare corrente nelle bobine, il campo magnetico induce correnti nel disco di rame in movimento che producono un campo magnetico opposto a quello inducente, frenando sensibilmente la rotazione del disco.
Per la sua realizzazione Ruhmkorff utilizzò il disegno di un dispositivo da egli stesso costruito per Faoucault che servira per studiare il moto dei giroscopi. Il dispositivo per mettere in moto il disco di rame è infatti identico a quello usato per il giroscopio. A questo Ruhmkorff aggiunse le due bobine collegate all'interruttore e due espansioni polari in ferro che permettevano di convogliare il campo nella zona nella quale si trova il disco conduttore.
L'apparato è in perfette condizioni ed è funzionante. Dispone di un accessorio consistente di un disco a forma di stella a molte punte: sostituendo al disco di rame questo accessorio l'effetto di frenamento non si verifica poiché, data la forma, non possono circolare correnti in esso.
(G. Organtini)
Telegrafo di Hughes
Dumoulin-Froment, Paris; 1876 ca.; 53 x 75 x 116 |
Il telegrafo di Hughes è un perfezionamento del telegrafo di Morse. D. E. Hughes apportò modifiche all'apparato Morse nel 1855, elevando la velocità di trasmissione a più di 1500 parole all'ora.
Il telegrafo qui mostrato riunisce sia la parte trasmittente, a tastiera, sia la parte ricevente e costituisce il prototipo della telescrivente. Nella parte ricevente, il sistema a ingranaggi, azionato dal peso sottostante, di 50 kg di massa e dotato di un dispositivo di bloccaggio a pedale, consente al nastro di carta di scorrere a velocità costante.
Il sistema a orologeria mette in moto contemporaneamente una ruota, sulla cui periferia sono riportati gli stessi caratteri tipografici della tastiera. Un impulso elettrico in arrivo, mediante un opportuno sistema di bobine, leve e contatti, fa sì che la ruota si blocchi in corrispondenza del carattere richiesto, che viene impresso sulla carta.
Nella parte trasmittente, la tastiera invia segnali elettrici associati ai caratteri di ciascun tasto.
(M. Grazia Ianniello)
Cronografo a secco elettromagnetico, tipo Morse-Digney
Matthaeus Hipp, Neuchatel, Svizzera; 1876; 31 x 51 x 135 |
La scoperta della pila di Volta, l'esperienza di Oersted e la realizzazione di uno strumento come il galvanometro moltiplicatore di Schweigger furono la premessa per la invenzione dei telegrafi elettromagnetici.
Tra i primi progetti di telegrafo, figurano quello di P. Schilling, del 1835: il trasmettitore era costituito da una tastiera collegata tramite fili elettrici al ricevitore, formato da un sistema di 6 galvanometri ad ago, ciascuno inserito in un suo circuito e in collegamento tra loro. A seconda del verso della corrente, ciascun ago poteva deviare a destra o a sinistra, insistendo su due settori laterali a codice che permettevano la decodifica della lettera trasmessa. Un altro modello di telegrafo elettromagnetico a un ago, entrato in funzione in via sperimentale a Gottinga nel 1833, si deve a C. F. Gauss e a W. Weber.
Il telegrafo di S. F. B. Morse si affermò negli USA intorno al 1837. Il ricevitore era formato da una penna che scorreva su un rullo di carta che si srotolava a velocità costante grazie a un sistema meccanico simile a quello degli orologi. La penna veniva messa in moto da un elettromagnete e lasciava un segno più o meno lungo a seconda della durata dell'impulso inviato dal trasmettitore. Nel modello del 1846 vengono introdotti il relè, che permetteva di ritrasmettere i messaggi estendendo il campo di trasmissione, e il famoso codice di segnalazione a linee e punti.
Il telegrafo elettromagnetico, con le sue numerose varianti, si diffuse in Italia verso la metà dell'Ottocento: l'inaugurazione della prima linea telegrafica tra Pisa e Livorno, avvenne nel 1847.
Dopo l'entrata in funzione della linea telegrafica Londra-Dover, nel 1846, per estendere la rete di comunicazione dall'altra parte della costa si realizzò il primo collegamento mediante la posa di un cavo sottomarino nel Canale della Manica nel 1851. Il primo cavo sottomarino che collegava l'Europa all'America venne steso nel 1858, ed entrò in regolare esercizio solo nel 1866. Molti dei galvanometri progettati da Kelvin, e presenti nel Museo, furono realizzati per eseguire misure elettriche sui cavi.
L'apparato qui mostrato, propriamente un cronografo a secco elettromagnetico a contrappeso, è simile per principio di funzionamento al ricevitore di un telegrafo Morse-Digney. Veniva impiegato negli osservatori come accessorio di uno "strumento dei passaggi" (o circolo meridiano) per determinare l'istante di transito al meridiano di un astro, in una versione in cui la trasmissione del segnale è di tipo telegrafico. Il cronografo poteva essere collegato elettricamente a un pendolo che segnava il tempo siderale e a un circuito che poteva essere chiuso mediante un tasto. Al passaggio dell'astro l'operatore azionava il tasto mettendo così in funzione il ricevitore telegrafico che registrava su strisce di carta il tempo siderale dell'istante del passaggio dell'astro al meridiano.
Il sistema a orologeria è alloggiato all'interno della scatola di ottone e i suoi movimenti sono regolati da una serie di pesi sottostanti. Una manovella consente, dall'esterno della scatola, di regolare la tensione del nastro di carta proveniente dal rullo inserito nella ruota ad asse orizzontale. Sulla base di legno sono disposti i morsetti che servono ad alimentare le bobine dell'elettrocalamita.
L'apparato, di cui non è stato possibile ricostruire la provenienza, rappresenta per le sue funzioni un'anomalia nelle attività prevalenti del Regio Istituto Fisico: è forse legittimo ipotizzare che, acquistato dall'anziano Volpicelli per qualche osservazione mirata, venisse poi utilizzato per illustrare particolari applicazioni dei telegrafi elettromagnetici. L'apparato fu acquistato nel 1876 per 600 franchi, come si legge nella nota numero 193 del Registro delle fatture dell'Istituto di Fisica.
(M. Grazia Ianniello)