Accessori

In questa sezione vengono presentati alcuni accessori, tra i tanti presenti nel museo, di sostegno alle esperienze di elettricità e magnetismo. La suddivisione in categorie è inevitabilmente artificiosa e schematica a causa della  varietà dei dispositivi esistenti che, per altro, a seconda dell'impiego, possono divenire a loro volta, più che accessori, oggetti primari di osservazione e di indagine. Gli esemplari scelti rappresentano tuttavia in modo significativo lo strumentario indispensabile presente nei laboratori ottocenteschi. 

(M. Grazia Ianniello)

 

Bottiglie di Leida

 

 

Bottiglie di Leyda in batteria Bottiglie di Leyda in cassetta

 

Conduttori e isolatori

 

 

Conduttori cilindrici Isolatori Mascart a piatto

 

Reostati

Reostati

 

Commutatori

Commutatori

 

Collezione di magneti

Teatro Fisico della Sapienza di Roma; 1790 ca.

Magnete a ferro di cavallo

In ogni laboratorio ottocentesco erano presenti calamite naturali (magnetite) e artificiali per eseguire esperienze dimostrative sul magnetismo. Le calamite artificiali erano per lo più di acciaio magnetizzato ed erano spesso riunite tra loro in lamine sottili o in sbarre e venivano denominate, in tal caso, magazzini magnetici o batterie o fasci magnetici. La forma dei singoli magneti è a sbarra oppure a ferro di cavallo, con i poli omonimi vicini in modo da potenziare l'effetto magnetico. Per evitare la smagnetizzazione, la calamita viene "chiusa" con una traversa di ferro dolce, detta armatura.

La collezione qui mostrata, già presente nel catalogo del 1794, è costituita da:

  • un magnete naturale a ferro di cavallo, a sbarre sovrapposte, di dimensioni 20x2x0.5;
  • un magnete naturale a ferro di cavallo, di dimensioni 23x2x5;
  • un fascio magnetico costituito da un pacchetto di fogli, di dimensioni 22x3x3;
  • tre magazzini magnetici, composti da 4 sbarre di dimensioni, ciascuna, 40x5x1.5.
  • Magnete grande a ferro di cavallo, su supporto ligneo, di dimensioni 30x10x50.

 

Elettroforo di Volta

Teatro Fisico della Sapienza di Roma, 1810 ca.; scudi, 10x10x16, 12x12x10, 12x12x18; strofinatore (a sinistra), 9x9x11

L'elettroforo, ideato da A. Volta intorno al 1775, rappresenta una prima rudimentale macchina elettrostatica a induzione in grado di accumulare e separare cariche elettriche. È costituito da uno strato di resina (stiacciata o focaccia nel linguaggio dell'epoca) contenuta in un piatto metallico, e da un disco metallico dotato di manico isolante (scudo). Lo strato di resina veniva caricato negativamente per strofinio (in origine con una coda di volpe o con pelle di gatto, successivamente con uno strofinatore, costituito da un disco metallico con il fondo ricoperto di vernice isolante o di stoffa); si poneva poi lo scudo a contatto con lo strato di resina.

 

 

Per induzione lo scudo si carica di segno positivo sulla faccia prospiciente la resina e di segno negativo sulla faccia superiore. Toccando con un dito la faccia superiore, le cariche negative si scaricano a terra e scocca una scintilla. Lo scudo rimane così carico positivamente. Se si solleva lo scudo e si scarica l'elettricità positiva, si può disporre di nuovo lo scudo sullo strato di resina e ripetere le operazioni precedenti senza che la resina debba essere rielettrizzata (in luogo asciutto, la "focaccia" protetta dallo scudo poteva rimanere infatti carica per mesi). Per tale motivo Volta denominò il dispositivo elettroforo perpetuo.

Grazie alla sua semplicità costruttiva e di funzionamento, l'elettroforo di Volta ha goduto di grande popolarità ed è stato realizzato in molte versioni. Presente in tutti i laboratori, viene descritto puntualmente in tutti i manuali dell'epoca con le istruzioni per costruirlo. Nella versione originale, Volta realizzò la stiacciata (oggi per lo più di perspex) con una miscela riscaldata di resina, trementina, colofonio e cera, che veniva poi versata e spianata nel piatto metallico.

Gli esemplari qui mostrati dispongono dei relativi scudi e strofinatori mentre lo strato di resina è andato perduto.

 

Rocchetto di Ruhmkorff a scintilla intensiva

E. Balzarini; Premiato Stabilimento di apparecchi elettromedicochirurgici, Milano; 1910; 38x70x65

Il rocchetto di Ruhmkorff, o "rocchetto di induzione" (1851), appartiene alla famiglia dei trasformatori e ha avuto nella storia dell'elettromagnetismo un ruolo di primo piano come generatore di corrente.

Attorno allo stesso nucleo ferromagnetico sono avvolte due bobine, il circuito primario, alimentato da una batteria, e il secondario, a molte più spire. Il primario comprende un interruttore e, in serie, un sistema a martelletto che interrompe periodicamente il contatto ogni volta che il nucleo ferromagnetico si magnetizza quando passa corrente. Dopo ogni interruzione del contatto, il nucleo ferromagnetico si magnetizza e il martelletto torna nella posizione iniziale chiudendo nuovamente il circuito. In tal modo nel secondario circola corrente continua alternativamente in un verso e nell'altro.

Il rocchetto a induzione è stato per più di mezzo secolo l'unico dispositivo in grado di generare tensioni periodiche elevate, ed è stato determinante per lo sviluppo delle ricerche sulle onde hertziane e sulla scarica nei gas rarefatti. Rappresenta un accessorio fondamentale e indispensabile in tutti i laboratori dell'epoca.

Tra i tanti esemplari presenti nel Museo presentiamo un rocchetto di produzione italiana destinato  ad usi elettromedicali e impiegato nella ricerca in particolare da Corbino. Il nucleo ferromagnetico, cilindrico, è formato da lastre di ferro dolce ed è avvolto dal secondario, i cui capi terminano su due morsetti che sormontano il rocchetto (spinterometro). Il primario, di sezione maggiore, è alimentato mediante 4 morsetti disposti sulle estremità del nucleo del rocchetto. L'apparecchio era in grado di sviluppare tra le sferette dello spinterometro, scintille di brevissima durata, alta intensità e lunghe circa 40 cm.

 

La pila di Volta

Teatro Fisico della Sapienza di Roma, 1810 ca.; 15x15x50

La pila a colonna consiste in una serie di 120 coppie di dischi di zinco e di rame saldati tra loro, e separate, ciascuna, da un disco di panno inumidito con acqua e acido solforico. 

I dischi sono impilati in un'asta centrale di ottone, serrata superiormente da un disco di legno con pomello. La base della pila, che deve essere isolante, è di legno. Sempre isolanti sono le tre astine rivestite di vetro che racchiudono i dischi. All'estremità superiore della pila si trova un disco di rame (polo negativo), a quella inferiore un disco di zinco (polo positivo). Ai poli sono fissati due ganci per il collegamento con i reofori che vanno a chiudere il circuito. L'esemplare proviene dal Teatro fisico della Sapienza ed è registrato, come aggiunta posteriore, nel catalogo del 1794. 

La pila a colonna, realizzata da Volta nel 1799, è soggetta a una rapida polarizzazione e pertanto produce corrente di intensità variabile.

Batteria di pile Pila a secco Pila Grenet

(M. Grazia Ianniello)