Storia

LE ORIGINI

Il Museo del Vicino Oriente fu fondato da due autorevolissimi maestri della Sapienza, Sabatino Moscati e Sergio Donadoni, all’interno dell’Istituto del Vicino Oriente, la struttura che a partire dai primi anni Sessanta avrebbe raccolto un numero sempre maggiore di specialisti del Vicino Oriente antico e del Mediterraneo nello studio di discipline che spaziavano dalla Filologia semitica alle Lingue e alle Epigrafie semitiche, alla Storia del Vicino Oriente, l’Egittologia, l’Assiriologia, l’Ittitologia, l’Archeologia Orientale, Fenicia e Punica, conducendo ricerche innovative e per molti versi straordinarie in numerosi paesi del Vicino Oriente e del Mediterraneo e annoverando nei decenni successivi studiosi del calibro di Mario Liverani, Paolo Matthiae, Antonia Ciasca, Giovanni Garbini, Piero Bartoloni, Maria Giulia Amadasi1. L’Istituto del Vicino Oriente, sotto la fattiva direzione di Moscati fu, infatti, attivissimo nell’intraprendere missioni archeologiche in moltissimi paesi: Turchia, Siria, Libano, Israele, Cipro, Malta, Libia, Egitto, Sudan, Tunisia, Algeria, Marocco e – ovviamente – nelle due grandi isole italiane, la Sicilia e la Sardegna. Questa intensa attività sul campo, accompagnata da una altrettanto intensa attività di studio e pubblicazione nelle collane (Studi Semitici) e nelle riviste (Vicino Oriente) dell’Istituto, oltre che nelle serie fondate ad hoc per la pubblicazione dei risultati delle ricerche ad esempio a Malta, in Siria o in Sicilia, oltre a produrre straordinari risultati scientifici, condusse alla raccolta di una notevole quantità di reperti che, per diverse ragioni, furono portati a Roma.

Alla fine degli anni Cinquanta, le prime missioni condotte rispettivamente da Donadoni in Egitto (Tamit) e da Moscati in Israele (Ramat Rahel) avevano già raggruppato un numero considerevole di opere e reperti che formarono il primo nucleo significativo del Museo. Una svolta decisiva si ebbe, tuttavia, negli anni Sessanta, quando numerose nuove imprese si aggiunsero alle precedenti in Sicilia (Mozia, Pantelleria), Sardegna (Monte Sirai), Malta (Tas Silġ), Siria (Ebla), Tunisia (Capo Bon, Ras ed-Drek), i primi divenendo cantieri di scavo stabili per i decenni successivi. La politica di queste missioni, anche per via dei loro giovani direttori, era fortemente innovativa e scevra da qualsiasi impronta coloniale. L’interesse eminentemente scientifico e le straordinarie relazioni diplomatiche intessute da Moscati e dai suoi allievi non prevedevano la collezione sistematica di reperti, tuttavia le eccellenti relazioni stabilite con i paesi nei quali venivano svolte le ricerche e circostanze derivanti dal forte impegno nel campo del restauro e della valorizzazione del patrimonio archeologico da parte delle missioni stesse portarono alla raccolta di materiali, concessi per studi archeometrici, per la realizzazione di repliche e, a volte, anche come segno della riconoscenza da parte degli stessi paesi ospiti. In alcuni casi, i reperti furono concessi liberalmente per ragioni di studio.

In parte diversa è la storia della formazione della Collezione Egizia. Essa fu costituita in massima parte da Donadoni durante gli scavi di salvataggio condotti a seguito della realizzazione della Diga di Assuan durante gli anni Sessanta. L’eccezionale recupero della Chiesa di Sonqi Tino, con le sue pitture parietali, gli scavi ad Antinoe, e, successivamente, i lavori di esplorazione e restauro nella Tomba di Sheshonq a Tebe portarono alla raccolta di un considerevole corpus di materiali, datanti dal periodo Protodinastico all’età islamica, che furono concessi dalla Repubblica Araba d’Egitto in virtù dello straordinario impegno profuso dalla Sapienza.

Ragioni simili, ossia derivanti dagli straordinari risultati conseguiti dalla Missione in Siria a Ebla e nei siti vicini di Tell Tuqan e Tell Afis, condotta da Paolo Matthiae, portarono alla realizzazione di una sala interamente dedicata a Ebla, con una cospicua collezione di frammenti ceramici, i modelli in scala del Palazzo degli Archivi e del Tempio di Ishtar sull’Acropoli, e, dopo la grande esposizione a Palazzo Venezia del 1995, del grande plastico della città paleosiriana della prima metà del II millennio a.C. Tra i pezzi più straordinari della collezione eblaita, sono le copie di diversi documenti cuneiformi (tra i quali il trattato tra Ebla e una non identificata città, primo esempio di trattato nella storia). Così composto, nella sua seconda configurazione, il Museo del Vicino Oriente, magistralmente allestito dall’Arch. Carlo Cataldi Tassoni nella sede di Via Palestro, si articolava in due principali sezioni, quella siro-palestinese e quella egizia, cui si aggiungevano la sala di Ebla e una vetrina con i materiali punici di Mozia e di Monte Sirai.

IL NUOVO ALLESTIMENTO

Quando nel luglio del 2014 si è reso necessario lasciare la sede di Via Palestro, dove per trent’anni una parte considerevole del Dipartimento Scienze dell’Antichità (allora Dipartimento di Scienze Storiche, Archeologiche e Antropologiche dell’Antichità), inclusi il Museo del Vicino Oriente e diverse storiche missioni archeologiche, era stata allocata, il Magnifico Rettore Luigi Frati e il Consiglio di Amministrazione della Sapienza hanno identificato nel Palazzo del Rettorato una nuova sede per il Museo nella Sala a Crescente di Marcello Piacentini. Contestualmente, la creazione del Polo Museale Sapienza aveva fornito una rinnovata cornice istituzionale in cui inserire le attività del rinato museo.

Il nuovo allestimento del Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo L’occasione del nuovo allestimento non solo ha consentito di riarticolare in parte le collezioni alla luce di nuove fondamentali acquisizioni (reperti dalla Sicilia, dalla Palestina, dalla Turchia, dalla Giordania e dall’Iraq), ma ha anche permesso di ripensare complessivamente il percorso espositivo, adattandolo alla nuova sede, ma anche conferendogli un taglio più al passo con i tempi, nel tentativo di realizzare una struttura in grado di rivolgersi sia al vasto pubblico, con una particolare attenzione rivolta ai bambini, sia agli studenti universitari. Il trasloco è stato, inoltre, un’occasione unica per riesaminare dettagliatamente le collezioni, monitorare lo stato di conservazione delle opere, verificare la loro inventariazione (provenienza e status giuridico) ed annotarne le innumerevoli potenzialità scientifiche. Mentre le opere venivano imballate e nuovamente inventariate, un gruppo di giovani studiosi le ha potute riesaminare e fotografare. Sulla base di questo prezioso lavoro è stato costruito un nuovo percorso espositivo, suddiviso in trenta unità indipendenti, articolate in dodici temi maggiori, ma leggibili anche in un’unica sequenza che in modo coerente conduce dal Vicino Oriente all’Egitto, passando per l’intero Mediterraneo attraverso i millenni. Con l’eccellente collaborazione dell’ufficio tecnico di Sapienza e di un cospicuo numero di studenti e giovani studiosi è stato realizzato il nuovo allestimento.

La nuova concettualizzazione dell’esposizione, che intende valorizzare tutte le diversità di apporti culturali testimoniati nel Museo e le loro reciproche relazioni, ha portato con sé la nuova denominazione: Museo del Vicino Oriente, Egitto e Mediterraneo.

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