DESIDERIO E LUOGHI

Film: CHARLEY THOMPSON di Andrew Haigh, 2017

Ospiti:

VITTORIO LINGIARDI, Psichiatra, Psicoanalista, Docente SSPC

- Un primo spunto è quello del paesaggio: in quasi tutti i momenti di massimo smarrimento di Charley, il grande contenitore dell'esperienza di abbandono e di perdita è stato il paesaggio, la traversata del paesaggio. Sembra che, quando tutto è perduto, esiste una dimensione terrestre e creaturale che può salvarci.

- Il regista in tutti i suoi film tende a raccontare il tema della resistenza, o resilienza, ovvero far vedere che quando tutto è perduto c'è una specie di filo vitale che può salvarci. Il filo di Charley è fatto dalla continua preoccupazione che ha per la cura di un altro (il cavallo); è fatto dalla possibilità di raccontarsi al cavallo e dalla possibilità di essere ascoltato da lui (idea del cavallo-analista); è fatto dalle figure maschili che incontra che non sono troppo cattive, ma non sono neanche troppo “genitori”, sono delle mezze figure con delle storie traumatiche che però hanno anche un ruolo confortante; è fatto dalla possibilità di avere una meta, la zia, che rappresenta l'oggetto idealizzato e in qualche modo calmante; è fatto anche dalla cintura e dal cappello del padre, due brandelli di una identificazione comunque efficace nonostante il padre non sia stato all'altezza.

- La capacità di sopravvivenza, Charley, sembra averla dentro, è un osso duro (“Gli scarafaggi sono tipi tosti” dice l’amante del padre all’inizio del film) e infatti l'atto che lo caratterizza di più è la corsa che rappresenta anche il cavallo ovviamente. E la corsa da una parte è proprio la capacità di non fermarsi, di identificarsi, dall'altra significa anche non elaborare abbastanza, infatti in certi momenti il ragazzo ha queste reazioni di freezing quando gli comunicano che un pezzo se n'è andato.

- Il film è la storia di un adolescente che fa un viaggio per diventare grande senza mai essere stato piccolo, anche se è ancora molto piccolo, e la sua dimensione infantile emerge nella scena finale con la zia. Una zia che ha la capacità di non invadere lo spazio del nipote, molto rispettosa e molto capace di lasciar venire a galla quei traumi e quelle perdite che hanno contraddistinto la sua vita.

- Il film è la storia di un'amicizia: quando Charley dorme sul retro del pick-up e arriva il cavallo, lì avviene l'incontro con l'altro, lì nasce l'amicizia. È molto bello come nel film l'umano e l'animale si incontrino e si allontanino stabilendo un dialogo. C'è un elemento di identificazione che fa avvicinare Charley e il cavallo: è questa situazione di non servire a niente (il cavallo non vince, è malato); è una sorta di condivisione di essere degli scarti.

ANTONELLO CORREALE, Psichiatra, Psicoanalista, Docente SSPC

- Il film può rappresentare la lotta fra la compassione e l'utile. Il ragazzo porta la compassione, l'attaccamento, l'adesione all'oggetto che non ha una finalità, in un mondo dove invece l'attenzione è sull'utile, sui soldi, sulle prestazioni. Da parte di Charley c'è un'adesione alla cosa senza pensare se gli sia utile o no: il cavallo gli piace perché è lui, perché è Pete, perché esiste, perché è vivo.

- Il tema degli animali: perché amiamo gli animali? Cosa hanno gli animali che ci affascina? Un animale possiamo amarlo perché è veloce, perché è buono, perché è bello, perché è fedele, però questo è l'utile di cui tutti abbiamo bisogno. Ma cosa c'è negli animali che ci piace? Negli animali c'è un piacere nell'oggetto che noi non abbiamo: noi abbiamo la coscienza, il pensiero, la bellezza, l'amore, la passione, la nostalgia, ma questa adesione all'oggetto immediata noi non ce l'abbiamo. Gli animali provano più gusto di noi, ad esempio, nel mangiare; anche noi lo proviamo, ma non del tutto. Si può dire che negli animali ci sia più piacere, un'adesione più diretta alla cosa, che potremmo chiamare adesso "surplus di pulsione". Il fatto di essere degli esseri parlanti e coscienti ci ha dato un'enorme ricchezza, ma ci ha tolto anche qualcosa, invece il cavallo aderisce al suo mondo innocentemente perché ha una vita immediata, un collegamento col mondo che noi non riusciamo a stabilire perché limitati dalle nostre cose dalla nostra quotidianità; noi gli oggetti li pieghiamo sempre all'utile. Forse è questa inquietudine di cercare di andare oltre e trovare ciò che ci manca in un movimento lungimirante e che tende all’infinito (che forse si potrebbe chiamare desiderio) che ci rende insoddisfatti e che nello stesso tempo ci spinge in avanti.

- L'animale sta veramente nel mondo, mentre noi ci stiamo ma inseguendo qualcosa che non arriva mai. Dunque, il piacere che prova Charley a parlare col cavallo è nostalgia di uno stato in cui non c'è un utile; il cavallo rappresenta una sorta di condensazione di un piacere di esistere che l'animale ha e che invece l'essere umano insegue senza raggiungerlo del tutto. Riprendendo Freud (Totem e Tabù) la nostra origine è animale e questa si manifesta come una pulsione indifferenziata che solo successivamente diventerà odio, amore, attaccamento, motivazioni. È possibile dunque ipotizzare che esista all'origine di tutto una "pulsione delle pulsioni", un godimento dell'oggetto indipendentemente dall'utile che quell'oggetto ci dà.

- Il film angoscia e anche irrita perché va tutto male a questo ragazzo, ma a volte così va la vita. E questo suo filo vitale che resiste, resiste perché la zia lo prende, cioè resiste quando c'è una relazione affettiva. Dunque è una relazione che permette a questa pulsione delle pulsioni di esprimersi e di non rimanere indifferenziata con il rischio di ripiegarsi su se stessa e diventare negativa e in questo modo diventare nostalgia e dolore