
Intervista a Vittorio Lingiardi sul libro “Corpo, umano”, vincitore del Premio Bagutta 2025
Il libro “Corpo, umano” di Vittorio Lingiardi (Einaudi, 2024), professore ordinario di Psicologia Dinamica nonché fellow SSAS, ha vinto il Premio Bagutta 2025, il concorso letterario più antico d’Italia.
In questa intervista ripercorriamo insieme all’autore alcuni temi centrali della sua recente pubblicazione, che è disponibile in libreria, in tutti gli store digitali e sul sito della casa editrice Einaudi.
1. Siamo un corpo o abbiamo un corpo? Qual è la risposta più ragionevole a questa domanda, oggi?
Il corpo è un io, ma anche un tu. Quindi siamo un corpo, la nostra vista psichica è tutt’uno con esso. Ma il corpo è anche un’alterità, una relazione. È il vero compagno della nostra vita, possiamo dimenticarcene, ma lui è sempre lì, con le sue richieste, il suo piacere e il suo dolore. Sa consolarci, può esserci nemico. C’è una frase lapidaria di Freud che mi ha sempre interrogato: “l’anatomia è il destino”. Al di là del contesto patriarcale in cui Freud la usa (anatomia come destino del genere femminile), penso che può essere letta non come profezia che sia autoavvera (sarai il corpo che hai), ma come costruzione della propria soggettività (avrai il corpo che sei). Ma quale corpo, poi? I corpi non sono tutti uguali. Corpi giovani e non più giovani; corpi sani e corpi malati, malati per un po’ o malati per sempre; tra questi, quelli trascurati e gli accuditi. Corpi liberi e imprigionati, di pace o di guerra. Reali e virtuali. Potremmo andare avanti per ore, fino all’irripetibilità di ciascun corpo.
2. Virgola, umano. Cosa vuol dire quella virgola?
È una trasgressione grammaticale con cui chiedo di fare una pausa tra due parole su cui dobbiamo soffermarci separatamente prima di unirle in una formula che, altrimenti, pronunciamo in modo scontato. Dov’è, oggi, l’umanità dei corpi? In un epoca spesso segnata dalla loro disumanizzazione (basterebbe la fotografia delle persone in catene deportate da Trump, o una delle tante foto dei corpi migranti che annegano nel Mediterraneo) è necessario ricordare che il corpo chiede ascolto, rispetto e dignità.
3. In che senso questo è un libro autobiografico?
Soprattutto nel modo di scrivere. È il motivo per cui ho scelto di aprirlo con una frase di Ian McEwan: «il poetico, lo scientifico, l’erotico: perché mai la fantasia avrebbe dovuto votarsi al servizio di un unico padrone?». Per raccontare il corpo ho usato molti linguaggi, alcuni più personali: ricordi ed esperienze, i poeti e i registi che amo, i momenti storici che ho vissuto (perché il corpo è sempre figlio del suo tempo), la mia formazione medica, la mia professione di psichiatra e psicoterapeuta. Quindi anche i corpi che ho ascoltato e con cui mi sono confrontato: le braccia tagliate dalla sofferenza borderline, l’osso sporgente dell’anoressia, il panico che simula l’infarto, l’autopalpazione ipocondriaca. Anche per questo il libro è dedicato “a chi cura”.
4. Quali sono i tuoi organi preferiti?
Il libro è diviso in tre parti: il corpo ricordato, il corpo dettagliato, il corpo ritrovato. Nella seconda parte racconto il corpo attraverso i suoi organi: la loro storia, mitologia, letteratura e naturalmente anatomia e fisiologia. È un viaggio che inizia con il cuore e finisce con il cervello, i due organi più celebrati dalla scienza e dalla letteratura. Sono tra i miei preferiti. Però c’è una verità importante pronunciata, come spesso accade, da un semplice, Sancho, lo scudiero di Don Chisciotte: «tripas llevan corazón, que no corazón tripas», a dire che il nobile cuore nulla sarebbe se non vi fossero le viscere a tenerlo in vita. Lasciami divagare ancora un po’ su questo tema delle parti del corpo. Nella Prima lettera ai Corinzi, Paolo ribadisce l’unicità del corpo nella composizione delle parti. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», questo non lo farebbe meno corpo. Se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo sarebbe meno corpo. «Se tutto il corpo fosse occhio», continua Paolo, «dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?» Molte parti, un corpo. È importante che i medici, anche nelle loro sacrosante iper-specializzazioni, non lo dimentichino. E se vogliamo usare il corpo come metafora sociale, è importante che anche i politici lo abbiano ben presente: il corpo sociale è un insieme di cittadinanze, nessuna va trascurata o dimenticata.
5. Ma il tuo capitolo preferito del “corpo dettagliato”?
Forse il capitolo che ho più amato, scrivendolo, è quello sulla pelle: così superficiale, è il più psichico dei nostri organi. Ci protegge, ma ci mette in comunicazione col mondo. È l’organo della relazione e del con-tatto. Il modo in cui siamo stati toccati (o non toccati) da bambini ci accompagna per tutta la vita, si deposita nella memoria fisica che è poi una memoria psichica.
4. Racconti però che da bambino hai avuto anche un incontro “artistico” con la pelle che ha influenzato i tuoi pensieri e forse la tua carriera…
È così. Da bambino, quando mi portavano in Duomo, a Milano, percorrevo la navata fino al transetto per ammirare la statua di Bartolomeo scolpita da Marco d’Agrate, allievo di Leonardo. Il santo scuoiato, la Bibbia in mano, la pelle addosso come un mantello, mi affascinava e intimoriva. Fu lì, forse, che iniziai a sviluppare uno sguardo medico, incuriosito dagli organi sotto la pelle, ma anche psicologico, attratto dalla pelle stessa come confine tra mondo interno e mondo esterno. Come si “stacca”, mi domandavo, l’esperienza psichica da quell’impasto organico?
5. Per chi è scritto questo libro?
L’ho scritto per tutti. Soprattutto per chi crede nel dialogo tra i saperi, per chi pensa sia importante intrecciare le discipline, creare immaginari scientifici e poetici, medici e psicologici. Poi, quando un genitore mi dice: “l’ho regalato a mia figlia che studia medicina”, oppure una collega mi dice: “ogni medico dovrebbe leggerlo, ma anche ogni paziente”, sono proprio contento. Vuol dire che il libro è arrivato. Sicuramente l’ho scritto anche per chi, come me, si interroga, con qualche preoccupazione, sulla torsione a cui i nostri corpi oggi sono sottoposti: da una parte un progressivo svanire nel virtuale, con la conseguente perdita delle relazioni che io chiamo “toccanti”; dall’altra una presenza assillante, ma come oggetti decorativi, più estetistici che estetici. Non faccio crociate contro la vita digitale, ma è evidente che passare dall’analogico al digitale ha implicato una “mutazione antropologica” che implica un’eclissi del corpo. Dobbiamo sforzarci di capire quando il corpo online è una forma di vita in più e quando è invece una fuga dal corpo come relazione, una sospensione della vitalità. È un libro dinamico, sospeso tra nostalgia e trasformazione.
“Corpo, umano” è disponibile in libreria, in tutti gli store digitali e sul sito della casa editrice Einaudi.