Dall'edificio al Museo di Chimica "Primo Levi"
Così scriveva l’architetto Marcello Piacentini nella rivista “Architettura” nel 1935 ed in particolare nel numero speciale dedicato alla Città Universitaria di Roma:” Questo edificio ospita gli Istituti di Chimica Generale, di Chimica Inorganica, di Geochimica e di Chimica Fisica. È a ossatura di cemento armato, ed è rivestito parte in litoceramica, parte in intonaco. Esso copre ben 5.300 mq. Con una cubatura complessiva di 80.600 mc. ed è uno dei più grandi; conta 271 ambienti, e fra questi si trovano dei laboratori vastissimi per le esercitazioni collettive e capaci nel complesso di circa 1000 posti”.
La realizzazione dell’edificio di Chimica è affidata all’architetto Pietro Aschieri. Il progetto iniziale prevede uno sviluppo volumetrico differente da quello attuale: una composizione con corpi a quattro piani sormontati da una torre a C per i laboratori. L’edificio risulta però troppo imponente e diverso dagli altri, soprattutto da quelli che si affacciano sul viale principale d’accesso alla Città Universitaria, in particolare quello di Fisica di Giuseppe Pagano. D’altra parte Marcello Piacentini, architetto capo, stabilisce delle linee guida generali per la stesura dei progetti affinché presentino dei caratteri comuni, pur nella loro specifica diversità.
La composizione volumetrica viene ridotta nella versione del 1935, ma questo non è l’unico cambiamento. La prevista realizzazione dell’Istituto di Chimica Farmaceutica nella zona retrostante, non avverrà per le difficoltà sorte tra Aschieri e l’ufficio tecnico. L’Istituto sarà così integrato nell’edificio di Botanica di Giuseppe Capponi, altro progetto segnato da numerose vicissitudini. A seguito di questi contrasti, l’architetto di fatto non seguirà più la progettazione di Chimica, anche se ne risulterà l’autore.
Al 31 ottobre 1935, data dell’inaugurazione della Città Universitaria, a causa delle diverse problematiche sorte in corso d’opera, l’edificio è completato per la parte esterna, ma mancano le finiture interne e gli arredamenti. La costruzione sarà terminata solo nel 1938, ma la sua “storia” continuerà. Alle successive trasformazioni, infatti, si aggiungeranno i danni provocati dal bombardamento di San Lorenzo nel luglio 1943.
Negli anni seguenti, sarà oggetto di alcune soprelevazioni, generalmente già previste dai progettisti, finché negli anni ’70 verrà costruito il Nuovo Edificio di Chimica.
Gli spazi destinati al Museo di Chimica secondo il progetto del 1935 sono distribuiti al primo piano dell’edificio come documentano le piante dell’epoca, pubblicate sul numero speciale di Architettura, già citato. Nel 1986, quando il Museo di Chimica sarà realizzato, esso troverà invece spazio al piano terreno del vecchio edificio.
I primi oggetti confluiti al museo sono state vecchie apparecchiature, strumenti e prodotti chimici ceduti dal Dipartimento al Museo tra cui termometri al centesimo di grado della ditta Goulaz di Parigi datati 1882 – 87, periodo durante il quale si determinarono i pesi atomici degli elementi con il metodo proposto dal prof. Stanislao Cannizzaro.
Dalla precedente sede di via Panisperna provengono numerosi strumenti sperimentali quali densitometri, stufe, muffole, gasometri e bilance.
Poi arrivarono crioscopi, ebullioscopi e apparecchi per la determinazione della densità dei gas e per la determinazione della composizione centesimale delle molecole, oltre alla determinazione dei pesi molecolari e dei pesi atomici. Ed è sorprendente che con queste attrezzature rudimentali, alcune tenute insieme da tappi di sughero e sigillate con cera d'api, possano essere state prese misure così sofisticate.
Gli scantinati del vecchio edificio hanno poi restituito attrezzature didattiche provenienti dall’Istituto Chimico di via Panisperna, tra cui 40 tavole didattiche rappresentanti impianti industriali chimici del XIX secolo opera di G. Schroeder. Il museo possiede la prima edizione stampata a Lipsia e risalente agli anni 1884 – 87.
Tappa fondamentale nella storia del museo di chimica, dopo la sua fonfazione nel 1986, per iniziativa del prof. G. Di Maio, è stata la sua intitolazione a Primo Levi, su input del prof. L. Campanella. L’evento si svolse il 25 marzo 2010 alla presenza delle più alte cariche accademiche della Sapienza. Primo Levi testimone dell’Olocausto, divulgatore scientifico, ma soprattutto chimico, professione che gli salverà la vita nel campo di sterminio di Auschwitz.
“…per me la chimica rappresentava una nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere volute lacerate da bagliori di fuoco, simile a quelle che occultava il monte Sinai. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo…”
Primo Levi, Il sistema periodico – Idrogeno, Einaudi Editore, ed. 2014, Torino
“… vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi: e che quindi il Sistema periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime!”
Primo Levi, Il sistema periodico – Ferro, Einaudi Editore, ed. 2014, Torino
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