sapienza sparita

La città universitaria sparita

 

I documenti del Fondo C.E.R.U.R. (Consorzio per l’assetto Edilizio della Regia Università di Roma), conservato nell’Archivio Storico dell’Università La Sapienza, sono una fonte unica per ricostruire la storia della Città Universitaria, soprattutto per le architetture e le opere d’arte andate perse. 

Il programma edilizio universitario (1932-1935) prevedeva undici edifici destinati agli Istituti e alle Facoltà: Botanica (Giuseppe Capponi); Chimica (Pietro Aschieri); Fisica (Giuseppe Pagano); Giurisprudenza e Scienze Politiche, Lettere e Filosofia (Gaetano Rapisardi); Igiene, Ortopedia (Arnaldo Foschini); Matematica (Gio Ponti); Mineralogia e Geologia, Fisiologia generale, Psicologia e Antropologia (Giovanni Michelucci); Rettorato (Marcello Piacentini). A questi si aggiungevano l’ingresso monumentale (propilei) e gli edifici adibiti ai servizi generali collocati in posizioni più decentrate: il Dopolavoro e Circolo del Littorio, la Casermetta della Milizia Universitaria e, fuori le mura, la Casa dello Studente. Infine il Quadriportico, in seguito demolito insieme alla Casermetta per la necessità di nuove aree edificabili, ma anche per il venir meno delle ragioni storiche come per la Casermetta, sede della IV Legione universitaria “Benito Mussolini”. 

Gli interventi artistici interessavano gli edifici situati lungo l’asse principale, dai propilei d’entrata al piazzale centrale, e quelli che si affacciavano sull’incrocio delle ortogonali. 

La statua della “Minerva” di Arturo Martini e il murale L’Italia fra le Arti e le Scienze di Mario Sironi per l’Aula Magna del Rettorato sono oggi le grandi opere della Città Universitaria che, insieme ad altri lavori di artisti della prima metà del Novecento, costituiscono il patrimonio artistico della Sapienza che possiamo ammirare all’interno di alcuni edifici e passeggiando tra i viali. 

Si pensi ai Dioscuri di Corrado Vigni sulle facciate di Giurisprudenza e Scienze Politiche e di Lettere e Filosofia, ai suoi bassorilievi inscritti nel disegno geometrico della balaustra sul lato sinistro della scalinata esterna di Fisica e al gruppo scultoreo con scene di animali in lotta per il cortile interno dello stesso edificio. Ma anche alle sculture di Igea e Panacea con i crocifissi di Alfredo Biagini per Igiene e Ortopedia, un progetto decorativo per lo più identico per le aule principali, se si esclude il bassorilievo in bronzo per l’atrio di Ortopedia, originariamente inserito in una cornice di bronzo con fasci littori e scritta in greco; al medaglione di Mirko Basaldella raffigurante la testa della Minerva e la grande lampada a soffitto di Pietro Chiesa per il vestibolo del Rettorato; al crocifisso ligneo di Othmar Winkler nell’aula I di Giurisprudenza e infine, al gruppo scultoreo Ai caduti in guerra (1920) di Amleto Cataldi che però non rientrava nel programma artistico della Città Universitaria, così come La Vedetta (1935) di Giovanni Nicolini, successivamente rimossa. Un patrimonio artistico che all’epoca si presentava ancor più ricco nell’intento di realizzare un’opera collettiva dove le arti dialogassero tra loro. 

Diverse le cause che hanno determinato la perdita di alcuni lavori: eventi bellici, come per la grande vetrata su disegno di Gio Ponti per la facciata di Matematica, distrutta nel bombardamento di San Lorenzo del 1943; ragioni ideologiche (damnatio memoriae) nel caso della rimozione delle raffigurazioni del Re Vittorio Emanuele III e del Duce, tra cui si possono enumerare le grandi teste in ceramica di Fausto Melotti per l’aula grande di Fisica e quelle in bronzo di Biagini per Igiene e Ortopedia, i busti di Quirino Ruggeri per l’Aula Magna del Rettorato e gli altorilievi di Antonio Biggi per l’ingresso di Chimica, entrambi in bronzo, le foto artistiche di Ghitta Carell per le aule di vari edifici (174 ritratti); interventi di ristrutturazione che, a seguito di nuove esigenze, negli anni hanno modificato lo spazio interno come avvenuto per il Dopolavoro e la Casa dello Studente causando la perdita dei dipinti murali di Giulio Rosso nel primo caso, di Giorgio Quaroni, e quelli successivi di Mino Delle Site, nel secondo.                                                                          

Le opere, nonostante non siano più fruibili, sono parte integrante del patrimonio storico della Città Universitaria e contribuiscono ancora oggi a sottolineare il valore architettonico e artistico della Sapienza come “museo a cielo aperto".

 

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