Chi siamo
La storia dell'insegnamento superiore della fisica a Roma, almeno fino al 1870, è strettamente intrecciata con la storia dei papi e della loro politica culturale.
Per iniziare a parlare di fisica come disciplina bisogna aspettare Paolo III Farnese (1534-1549), studioso di astronomia e matematica e, successivamente, il clima favorevole alle scienze sperimentali come riflesso della diffusione, anche negli ambienti culturali romani soprattutto attraverso l'Accademia dei Lincei, del metodo galileiano.
Con la riforma promossa da Benedetto XIV (1740-1758), vennero stanziati fondi per le attrezzature scientifiche dai redditi di dogana e concessi al rettore dell'archiginnasio 480 scudi per le ostensioni anatomiche, la cura dell'orto botanico e il compenso per il "macchinista" addetto alla manutenzione delle macchine destinate agli esperimenti di fisica.
In questo periodo ricoprirono la prima cattedra di Fisica sperimentale alla Sapienza il matematico padre Francesco Jacquier dei Minimi e, in seguito, il padre scolopio Girolamo Fonda.
Le notizie documentarie sulle attività del Teatro fisico sono scarse, ma qualche informazione la ricaviamo da ricostruzioni successive (P. Cacchiatelli e G. Cleter, Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, vol.3, Roma 1865). Sappiamo così che il Gabinetto di Fisica nel 1747 aveva ricevuto in dotazione dal papa 6 macchine, tra cui una pompa pneumatica, e che nel 1751 era stato sistemato al piano superiore della Sapienza e aperto per le prime dimostrazioni pubbliche due sabati al mese.
Le vicende legate all'occupazione francese a Roma portarono a un temporaneo declino il Teatro fisico, risollevato in parte dai disegni 'innovatori' di Pio VII (1800-1823), tesi a riabilitare le scienze in chiave religiosa. Si ispirò a questa esigenza l'istituzione nel 1816 della cattedra di Fisica Sacra, assegnata all'astronomo e fisico abate Feliciano Scarpellini, che costituirà un suo personale Gabinetto di Fisica, sistemato al Campidoglio, e ceduto in seguito all'Università di Roma.
Il Catalogo del 1828 "delle macchine e altri istromenti esistenti nel Gabinetto fisico della Sapienza", conservato presso il Museo, ci informa sulla consistenza delle collezioni. Al nucleo iniziale di circa 200 strumenti se ne aggiunsero altri per iniziativa di Saverio Barlocci (1744-1845), professore di Fisica succeduto a Gandolfi e autore, tra l'altro, di un manuale di Fisica Sperimentale dove sono descritti molti degli strumenti conservati nel Museo.
Nel 1857 il Nuovo Museo di Fisica della Sapienza venne sistemato negli ampi locali dell'ultimo piano del palazzo della Sapienza per volere di Pio IX il quale, come riportano le cronache del tempo, visiterà personalmente la nuova sede ("I nuovi musei nell'Università di Roma", L'Album di Roma, 20 Febbraio 1858). Il Museo, diretto da Volpicelli coadiuvato dal macchinista Giacomo Luswergh, disponeva di vasti spazi e di un anfiteatro per le pubbliche dimostrazioni. Dal 1859, assistente di Volpicelli a titolo privato sarà Filippo Keller (1830-1903), poi assistente di Blaserna.
Nel 1881 il Gabinetto Fisicomatematico venne sistemato in alcuni locali della palazzina di via Panisperna e per l'occasione fu effettuato un importante acquisto di strumenti. E ancora, con l'istituzione dell'Ufficio Centrale del Corista Uniforme, che inizierà a funzionare nel 1887, venne ulteriormente arricchita la dotazione di strumenti di acustica, conservata nell'attuale Museo.
Nel 1937 l'Istituto di Fisica venne trasferito nella sua attuale sede, alla Città degli Studi. Le ricerche di Fermi e collaboratori proseguiranno ma per breve tempo. Nello stesso anno Corbino moriva e alla direzione gli succedette Lo Surdo. Anche a causa delle leggi razziali che colpirono sua moglie, Fermi lascerà l'Italia nel 1938 subito dopo il conferimento del premio Nobel. Emilio Segrè, che nel 1935 aveva vinto la cattedra di Fisica sperimentale a Palermo, abbandonerà il paese nello stesso anno. Pontecorvo, che si trovava a Parigi, non rientrerà in Italia. Rasetti partirà nel 1939.
Dopo il trasferimento dell'Istituto alla Città Universitaria, la strumentazione non impiegata nella ricerca fu alloggiata in alcune stanze del piano seminterrato, non senza perdite gravi dovute alla eliminazione di materiali per esigenze di spazio e alla "cannibalizzazione" di parti di strumenti, particolarmente negli anni della guerra, in un periodo in cui la povertà di mezzi non poteva certo alimentare la sensibilità verso i 'beni culturali scientifici'.