La collezione Fermi

Quando Enrico Fermi fu chiamato a Roma da Orso Mario Corbino sulla cattedra di fisica teorica, i suoi interessi riguardavano quasi esclusivamente la fisica teorica. Ma ben consapevole del ruolo fondamentale anche della fisica sperimentale, Fermi volle con sé Franco Rasetti, valente spettroscopista, suo compagno di studi a Pisa e con il quale aveva collaborato durante il breve periodo trascorso a Firenze. Gli interessi e le competenze di Rasetti ben si armonizzavano con la valida strumentazione spettroscopica già presente nel Regio Istituto Fisico di via Panisperna. Prese così le mosse una attività sperimentale nel settore della spettroscopia ad opera di Fermi e Rasetti, alla quale successivamente si unirono Emilio Segré ed Edoardo Amaldi. Rasetti in seguito ricorderà:
 
"L'attività del gruppo negli anni 1927-31 si svolse quasi interamente nel campo della spettroscopia atomica e molecolare, che fornisce la massima parte delle informazioni sulla struttura di questi sistemi, anche perché ne conoscevamo bene la tecnica e avevamo strumenti adeguati. Fermi partecipava agli esperimenti e all'interpretazione teorica dei risultati".

E Segré affermerà:
 
"A Roma la nostra tradizione sperimentale risaliva in gran parte agli studi di spettroscopia; tutti i nostri successi in fisica sperimentale fino ad allora [1931] erano stati ottenuti in campo spettroscopico, la nostra attrezzatura era spettroscopica e le nostre conoscenze erano soprattutto nel campo della spettroscopia". 

L'attività spettroscopistica del gruppo è documentata nel Museo da due grandi spettrografi Littrow della Hilger, il più grande (lungo tre metri) per il visibile, l'altro (lungo un metro e mezzo) per l'ultravioletto: i cosiddetti "coccodrilli". Sono inoltre conservate in una vetrina le lastre fotografiche degli spettri dei più rilevanti esperimenti condotti da Rasetti, Fermi, Segré e Amaldi.

 

Spettrografo Littrow (il più grande dei due)

 

Dopo aver ottenuto significativi risultati in spettroscopia atomica e molecolare (in particolare nello studio dell'effetto Raman), il gruppo Fermi giunse alla conclusione che la fisica atomica non offriva più un campo d'indagine con grandi prospettive e fu deciso di intraprendere ricerche di fisica nucleare, decisione che, usando le parole di Segré, "richiedeva un cambiamento radicale nei programmi di ricerca del gruppo". Rasetti così descriverà questa scelta del nuovo programma di ricerca:
 
"Verso il 1931, Fermi e anche gli altri del gruppo si avvidero che l'avvenire della spettroscopia, e più in generale della fisica atomica, appariva piuttosto limitato. Fermi previde che l'interesse si sarebbe spostato dalle parti esterne dell'atomo al suo nucleo centrale, centomila volte più piccolo in diametro dell'atomo stesso".

In quegli anni la fisica nucleare era incentrata sullo studio delle interazioni delle particelle energetiche emesse dalle sostanze radioattive, ovvero particelle alfa (nuclei di elio), particelle beta (elettroni), raggi gamma (fotoni). Le tecniche di rivelazione delle particelle erano basate sull'impiego di rivelatori a conduzione elettrica nei gas (camere a ionizzazione, contatori Geiger-Müller) e sulla camera di Wilson. I componenti del gruppo Fermi, anche grazie al soggiorno presso i maggiori centri europei di ricerca sperimentale sulla fisica nucleare, ben presto si impadronirono di queste tecniche e furono realizzate a Roma camere a ionizzazione, contatori Geiger-Müller di varie dimensioni e caratteristiche, due camere di Wilson, la strumentazione di supporto a questi rivelatori e un elettromagnete trocoidale.

Camera a ionizzazione Contatore Geiger-Müller Elettromagnete trocoidale

Nel 1932, poco dopo che i ragazzi di Corbino avevano cominciato ad interessarsi del nucleo, J. Chadwick scoprì il neutrone bombardando con particelle alfa atomi (nuclei) di berillio e di altri elementi leggeri, e subito fu chiaro che i neutroni sono, insieme ai protoni, i costituenti del nucleo (fino ad allora ritenuto costituito da protoni ed elettroni). Fermi, ipotizzando l'instabilità del neutrone e il suo decadimento in un protone, un elettrone e un neutrino, formula nel 1933 la teoria del decadimento beta e scopre che responsabile di questo processo è un nuovo tipo di interazioni (dette in seguito interazioni deboli o fermiane), che prendono così il loro posto accanto alle interazioni gravitazionali, elettromagnetiche, nucleari (responsabili della coesione del nucleo).

All'inizio del 1934 Fermi, avuta notizia della scoperta da parte dei coniugi Joliot-Curie della radioattività artificiale prodotta bombardando nuclei leggeri (non radioattivi) con particelle alfa, decide di provare a provocare la radioattività artificiale usando come proiettili i neutroni, i quali, per l'assenza di carica elettrica, non risentono della repulsione coulombiana dei nuclei contro i quali vengono scagliati e dovrebbero quindi essere molto più efficaci delle particelle alfa (cariche positivamente proprio come i nuclei) a tale scopo. Seguendo un resoconto di Amaldi,
 
"Fermi si fece preparare da G. C. Trabacchi una sorgente di neutroni ottenuta mescolando polvere di berillio con emanazione di radio. Dopo pochi tentativi infruttuosi, l'esperienza diede esito positivo e Fermi poté annunciare nel marzo 1934 la scoperta della radioattività provocata da neutroni. Nell'Istituto di Fisica dell'Università di Roma cominciò subito un lavoro febbrile [nel quale erano impegnati Fermi, Rasetti, Amaldi, Segré e il chimico O. D'Agostino]. Fermi non solo dirigeva il lavoro altrui ma prendeva parte egli stesso a tutti i tipi di misurazioni fisiche e manipolazioni chimiche dedicandosi anche alla esecuzione materiale di pezzi di vetreria e di officina. Nel giro di pochi mesi furono prodotti oltre quaranta nuovi corpi radioattivi; molti di essi furono individuati chimicamente e fu dimostrato quale fosse il corrispondente processo nucleare di produzione".

Il direttore dell'Istituto Fisico di via Panisperna, O. M. Corbino, nel discorso su "Prospettive e risultati della fisica moderna" tenuto nel giugno 1934 presso l'Accademia dei Lincei così riassume le ricerche del gruppo Fermi:
 
"[Recentemente] una nuova scoperta metteva a disposizione dei fisici un corpuscolo di natura singolare. Quando la particella alfa del radio colpisce il berillio, il nucleo di questo, scomponendosi, dà origine a un frammento espulso con grande velocità e che è dotato di massa 1, come il nucleo dell'idrogeno, ma del tutto privo di carica elettrica. E' questo il neutrone [...], uno dei costituenti del nucleo. Il nuovo proiettile, essendo privo di carica, [...] può raggiungere il nucleo senza la repulsione elettrostatica, [anche] nel caso dei nuclei di alto numero atomico dotati della più forte carica positiva. I fisici francesi Joliot e Curie, esaminando gli effetti del bombardamento con raggi alfa [su tre tipi di nuclei leggeri] osservarono che il proiettile, il quale normalmente determina l'esplosione immediata del nucleo colpito, viene talvolta assorbito da questo e solo dopo qualche tempo dall'urto segue l'esplosione. Ciò significa che il nucleo, dopo aver assorbito il proiettile, si comporta come uno di quegli atomi radioattivi naturali che di tempo in tempo esplodono spontaneamente: perciò fu dato al fenomeno il nome di radioattività artificiale. L'esperienza dei due fisici francesi è stata ripresa a Roma dal professor Fermi ricorrendo al bombardamento con neutroni anziché con particelle alfa. E i risultati sono stati di gran lunga più copiosi e brillanti, poiché anziché mostrarsi attivi soltanto tre o quattro elementi, ben 45 su 62 finora cimentati hanno dato risultati positivi; e in particolare si è potuto mettere in evidenza l'azione esercitata sugli elementi pesanti, che avevano resistito finora ad ogni tentativo di [attivazione] artificiale, dimostrandosi vulnerabile perfino l'uranio che rappresenta l'estremo della serie degli elementi conosciuti. Le reazioni nucleari che producono gli effetti osservati dal Fermi sono naturalmente diverse per i vari elementi studiati, e alcune non sono ancora definitivamente chiarite, nonostante l'intenso lavoro svolto in così breve tempo da lui e dai suoi valorosi collaboratori Rasetti, Segré, Amaldi, D'Agostino".

Nell'ottobre del 1934 Fermi e i suoi collaboratori, ai quali si era unito il neolaureato Bruno Pontecorvo, scoprirono un altro importante fenomeno. L'intensità della radioattività provocata dai neutroni nel medesimo campione variava in alcuni casi sensibilmente al variare dei materiali posti in prossimità della sorgente di neutroni e del campione. Ben presto ci si rese conto che la radioattività veniva in questi casi grandemente esaltata semplicemente circondando la sorgente e il corpo da irradiare con una sostanza idrogenata come la paraffina o l'acqua. Amaldi ricorda che:

"Poche ore dopo la scoperta del fenomeno, Enrico Fermi ne aveva dato una chiara interpretazione e aveva scritto alcune delle formule fondamentali che lo regolano. L'effetto delle sostanze idrogenate, come fu allora chiamato, coinvolge la scoperta di due fenomeni: l'uno è il fatto che per urti successivi contro gli atomi di idrogeno [o comunque contro atomi leggeri, ovvero che abbiano massa confrontabile con quella del neutrone] i neutroni possono rapidamente perdere la loro energia fino a ridursi a neutroni lenti; l'altro è che questi neutroni lenti sono estremamente più efficaci di quelli veloci nel produrre certi processi nucleari. Questa scoperta apriva la via a uno studio delle proprietà dei neutroni lenti, studio che veniva svolto da Fermi e collaboratori nel periodo che va dalla fine del 1934 alla metà del 1936".

Le scoperte del gruppo Fermi sono magistralmente esposte e analizzate in un lungo articolo di Edoardo Amaldi, From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission (Physics Reports 111, 1 (1984)).

La collezione Fermi

Nella saletta che ospita la Collezione Fermi, sono esposti vari contenitori con i materiali utilizzati dal gruppo per realizzare i campioni da irradiare come anche vari accessori. Ai campioni veniva data la forma di tubetti cilindrici (modellando direttamente il materiale, come per es. nel caso dell'argento o di altri metalli, o riducendolo in polvere e ponendolo in una guaina non attivabile alla quale veniva poi data la forma voluta) in modo da poter porre al loro interno la sorgente di neutroni radon-berillio. Questa (costituita da radon, gassoso, e da polvere di berillio) era contenuta in una piccola provetta di vetro, sigillata alla fiamma, posta all'estremità di un tubo di vetro lungo circa quaranta centimetri che veniva impugnato all'altra estremità dallo sperimentatore quando doveva essere introdotta in uno dei cilindretti da irradiare. Dopo un un certo intervallo di tempo (che veniva variato nelle diverse prove) il campione così irradiato veniva prelevato, portato in un altro laboratorio nel quale non erano presenti sorgenti radioattive e posto in contatto con un piccolo contatore Geiger-Müller i cui impulsi venivano contati da un contatore telefonico. Quando l'intensità della radiazione emessa dal campione attivato era troppo alta per poter essere misurata mediante il conteggio degli impulsi del geiger, il gruppo Fermi utilizzava per misurarla una camera a ionizzazione connessa con un elettrometro di Edelmann. Un secondo esemplare di camera a ionizzazione  con i vari accessori (chiamato scherzosamente dal gruppo "Segno Romano") è esposto nell'atrio dell'edificio "Marconi" del Dipartimento.

Tra i vari strumenti e dispositivi utilizzati dal gruppo Fermi e interamente realizzati in casa, sono tra gli altri esposti un voltmetro elettrostatico "a farfalla" e un elettromagnete trocoidale.

La caratteristica che più colpisce nella strumentazione del gruppo Fermi è la sua estrema semplicità, tanto più straordinaria se posta in relazione alla enorme portata dei risultati con essa conseguiti che costituiscono una pietra miliare nella genesi della fisica del neutrone e nello sviluppo della fisica del nucleo. In proposito, vale forse ricordare quanto da C. H. Schönbein affermava in occasione di una visita al laboratorio di M. Faraday:

"Chi sa bene interrogare la natura sa anche ottenere le risposte con semplici mezzi, mentre chi non ha questa attitudine non riuscirà mai a trovare nulla, anche se fornito di tutti gli strumenti che possa desiderare".

Semplicità che non vuol dire rinuncia a strumentazione d'avanguardia, come attesta la realizzazione nel 1936 da parte di Amaldi, Fermi e Rasetti di un piccolo acceleratore elettrostatico (la prima macchina acceleratrice italiana) per deutoni da 200 keV (del quale si conserva una delle valvole raddrizzatrici, parte dell'alimentazione) con il quale ottenere una sorgente di neutroni più intensa di quelle impieganti preparati radioattivi.

 

Acceleratore elettrostatico

 

Con la promulgazione delle cosiddette leggi razziali, la breve storia dei ragazzi di via Panisperna si conclude e Fermi, dopo aver ricevuto il premio Nobel per i fondamentali contributi alla fisica nucleare, lascia l'Italia per gli Stati Uniti. Dopo la partenza di Fermi sarà Edoardo Amaldi a guidare la fisica italiana.

Negli anni Trenta in Italia si erano sviluppate anche importanti ricerche sui raggi cosmici, iniziate a Firenze dal gruppo, patrocinato da A. Garbasso, guidato da Bruno Rossi e comprendente tra gli altri Giuseppe Occhialini e Gilberto Bernardini. In questo filone si inserisce il fondamentale esperimento, eseguito nel 1945 a Roma da Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni, allievi di Gilberto Bernardini, con il quale fu scoperto che particelle penetranti instabili dei raggi cosmici (allora note come "mesotroni", oggi dette "muoni") non potevano essere, come allora universalmente ritenuto, i mediatori delle forze nucleari perché interagivano solo debolmente con il nucleo. Nella saletta Fermi è esposto un modellino dell'apparato sperimentale utilizzato per questo esperimento e le due lenti magnetiche.

Lenti magnetiche

(F. Sebastiani, D. Rebuzzi)