Spettroscopia

Sebbene la prima osservazione sulla decomposizione della luce solare al passaggio attraverso un prisma sia legata al nome di Newton, e dunque risalga al 1670 circa,  i problemi di ordine teorico legati alla scoperta di questo fenomeno vennero risolti oltre due secoli dopo. Tali difficoltà, nonostante la larga diffusione dello spettroscopio come strumento di indagine chimica, impedirono dunque lo svilupparsi di indagini scientifiche sulla natura degli spettri (così Newton aveva denominato l'immagine derivante dalla decomposizione della luce bianca nei vari colori).

Il primo studio accurato sullo spettro solare risale all'inizio dell'Ottocento e, come spesso accade nella storia della scienza, fu il frutto di un caso fortuito. Fu infatti il fisico W. H. Wollaston, nel corso di un esperimento sulla dispersione e rifrazione nel vetro (1802), a notare la presenza di righe nere entro lo spettro prodotto da un fascio di luce solare proveniente da una fenditura sottile, quando attraversava un prisma. La corretta interpretazione del fenomeno è però dovuta a J. Fraunhofer (1814), che per primo ipotizzò l'esistenza di un collegamento fra la doppia linea scura presente nella zona giallo-arancione dello spettro solare e le linee luminose visibili invece nello spettro di emissione del sodio.

Certamente un peso notevole nella comprensione della natura degli spettri ebbe la scoperta  della presenza di radiazioni invisibili ai limiti estremi dello spettro solare, al di là del violetto (J. Ritter, 1801) ed al di qua del rosso (F. W. Herschel, 1800). John Frederick Herschel, figlio di Friedrich Wilhelm, seguendo la linea interpretativa inaugurata da Fraunhofer, nel 1827 ipotizzò inoltre che le righe scure presenti negli spettri del Sole e delle stelle fossero dovute all'assorbimento della luce da parte di ben precisi elementi chimici, presenti all'interno di questi corpi celesti.

Le ricerche di J. F. Herschel (come poi quelle di Foucault) determinarono un fiorire di studi sulla luce stellare e, conseguentemente, una ricca produzione di spettroscopi a prisma dedicati a questo genere di indagine, come lo spettroscopio di Bunsen.

Alcuni di questi strumenti avevano dimensioni notevolissime e facevano uso di un gran numero di prismi, allo scopo di accrescere la dispersione della luce (come nello spettroscopio a sei prismi). Il difetto di tali spettroscopi era però quello di non consentire delle accurate misurazioni di lunghezze d'onda, cosicché essi furono ben presto sostituiti da quelli basati sull'uso del reticolo di diffrazione ideato dal tedesco F. A. Nobert e perfezionato dal fisico H. A. Rowland, che per primo pensò di ideare reticoli servendosi di superfici concave di metallo, ottenendo in tal modo una migliore messa a fuoco delle linee spettrali, che consentì di utilizzare questo tipo di strumenti anche per le indagini nel campo dell'ultravioletto e dell'infrarosso.

(Silvia Trapanese)

 

Spettroscopio per lo studio della luce visibile Spettroscopio per l'ultravioletto