Spettroscopi per lo studio della radiazione visibile

Lo spettroscopio a prisma utilizza il fenomeno della dispersione come mezzo di analisi spettrale della luce, traendo spunto dalla celebre esperienza eseguita da Newton.

Disponendo una lente convergente di fronte a una fenditura illuminata da luce monocromatica e collocando un prisma sul cammino dei raggi uscenti da essa, è infatti possibile ottenere (in condizioni di deviazione minima) una immagine reale della fenditura medesima su di uno schermo posizionato a distanza opportuna, immagine che si presenta sotto forma di una riga luminosa (riga spettrale):

Prisma

Nel caso in cui la sorgente sia costituita da luce bianca, sullo schermo si disegnerà invece uno spettro continuo, dovuto alle diverse componenti in frequenza della radiazione luminosa. Nello spettroscopio classico, ovvero nel più antico strumento di questo tipo, dovuto a Kirchhoff e Bunsen, lo schermo lascia il posto a un cannocchiale, che consente di ottenere una maggiore luminosità delle righe spettrali osservate. La lente convergente e la fenditura (situata nel piano focale della lente) di cui sopra sono collocate, nello spettroscopio di Bunsen, agli estremi di un tubo detto collimatore. In questo strumento, dunque, il fascio di raggi paralleli uscenti dalla lente, deviato e scomposto dal prisma, viene poi raccolto dal cannocchiale. Per una corretta risoluzione delle singole righe spettrali, occorre ovviamente che il prisma o il cannocchiale possano ruotare perché possa essere visualizzata di volta in volta la riga che interessa. Nello spettroscopio ideato da Kirchhoff e Bunsen è in genere il secondo a essere dotato di un meccanismo che ne consente il movimento e in alcuni modelli compare anche una scala graduata che consente di misurarne l'angolo di rotazione. Lo strumento è poi in genere corredato di un proiettore, cioè di un terzo tubo, recante a un estremo una lente e all'altro una scala di riferimento per le lunghezze d'onda (generalmente incisa su di una lastrina di vetro) che, opportunamente illuminata, va a sovrapporre la propria immagine a quella dello spettro in esame, consentendo dunque l'esecuzione delle misurazioni.

 

 

Nello spettroscopio, la capacità di distinguere i minimi dettagli di un dato spettro dipende, come è noto, dal potere dispersivo dello strumento, dato dal rapporto fra l'angolo apparente sotto il quale si vede l'intervallo fra due righe spettrali e la distanza fra queste in termini di lunghezze d'onda. Ovviamente, tanto più il potere dispersivo (che dipende dall'ingrandimento del cannocchiale, dal materiale costituente il prisma e dall'angolo di quest'ultimo) è grande, tanto più è possibile distinguere righe diverse dello spettro. Un elevato potere dispersivo risulta tuttavia essere inutile se non è accompagnato da un sufficiente potere risolutivo, qualità dello spettroscopio che non può essere enfatizzata semplicemente aumentando l'ingrandimento del cannocchiale, perché ciò produrrebbe una maggiore separazione delle righe, ma anche un allargamento delle stesse. Tra gli strumenti dedicati allo studio della radiazione visibile presenti nel Museo del Dipartimento, presentiamo qui due spettroscopi di Bunsen e uno spettroscopio "a corona di prismi", di epoche diverse, ma  tutti di costruzione tedesca e provenienti dalla collezione del Regio Istituto Fisico di via Panisperna.

(Silvia Trapanese)

                                  

Spettroscopio di Bunsen di Krüss Spettroscopio di Bunsen di Kohler Spettroscopio a corona di prismi