EU-Turkey relations 2024
- Dicembre viene pubblicata la Relazione annuale 2024 sull'attuazione degli strumenti per il finanziamento dell'azione esterna dell'Unione nel 2023 – COM(2024)548. Il PE pubblica lo studio New Approaches to Labour Market Integration of Migrants and Refugees – PE754.232. Ad inizio dicembre una fulminea avanzata delle forze jihadiste ribelli provoca la caduta del regime di Assad. La nuova AR Kaia Kallas si esprime a favore di una transizione pacifica che rispetti le minoranze accennando anche al ricco patrimonio culturale. Il G7 rimarca il sostegno alla forza militare ONU (UNDOF), che monitora le alture del Golan tra Israele e Siria. Il nuovo presidente Antonio Costa presiede il suo primo Consiglio allargamento. Nelle conclusioni si sottolinea l'importanza dell'allargamento quale priorità contro le influenze russe. Si ribadisce anche l’impegno a favore dell’adesione dell'Ucraina, della Moldova e dei Balcani occidentali. Le relazioni di buon vicinato, elementi fondamentali del un processo di stabilizzazione della regione, faticano però a decollare viste le tensioni tra Serbia e Kosovo e all’interno della Bosnia. Le necessità e le sfide necessarie per completare il processo di allargamento sono riassunte nella Dichiarazione di Bruxelles. Nelle conclusioni – EUCO 50/24 del successivo Consiglio europeo, (cui partecipa anche Zelensky) per la Siria si perora una governance non settaria e la protezione dei membri delle minoranze religiose, etniche e delle donne. Se ne sostiene anche la sovranità e l’integrità territoriale. Nelle osservazioni finali Costa conferma che bisogna “rafforzare l'Ucraina perché sia pronta a tutti gli scenari”, quindi anche a quello di una possibile pace. La EIB e l’Autorità palestinese si accordano per un aiuto di 28 milioni di euro nell’ambito della Palestine Financial Sustainability. Ad inizio mese l’ambasciatore UE all’ONU, Hedda Samson, ricapitola la disastrosa situazione a Gaza e ricorda “the need to fully implement the International Court of Justice orders”. La repentina svolta in Siria porta Russia, Iran e Turchia su strade divergenti. La Russia trasloca armi e mezzi militari in Libia, l’Iran si trova senza più alleati forti nella regione, la Turchia invece sembra invece il maggior beneficiario della caduta di Assad. Però anche se “in Western perception, Erdoğan is currently viewed as the architect behind Assad’s overthrow through HTS”, il cauto ottimismo del presidente turco e le esortazioni di Fidan a non vendicarsi segnalano solo una mancanza “of full control over HTS or does it also stem from doubts about Jolani?” Non dimentichiamoci che il “moderate Islamist archetype frequently constructed by Western strategists” ha poi mostrato la sua vera natura in molteplici occasioni. Per ora il nuovo assetto geopolitico sembra favorire una nuova spartizione di cui beneficiano Turchia e Israele. Tel Aviv vuole la sua fascia di sicurezza e invade le alture del Golan con l’intenzione, stando alle dichiarazioni di esponenti del governo, di annetterle. Commentatori vicini ad Erdoğan sottolineano la matrice espansionista delle operazioni militari israeliane e il carattere destabilizzante delle aperture verso i curdi e i drusi. Anche Ankara vuole ampliare la sua fascia di sicurezza bersagliando i curdi del Rojava. Tra gli altri guadagni turchi occorre segnalare la conquista di “un accesso privilegiato alla costa siriana [che blinda] la posizione internazionale di Cipro Nord e [che] potrà far pesare l’incremento della presenza turca nell’area in eventuali negoziati con la Repubblica di Cipro” e nella negoziazione del passaggio di nuovi, alcuni già progettati, gasdotti e oleodotti. Dove arriva l’autorità dell’ex terrorista, ora definito pragmatico, al-Sharaa (al-Jolani) sarà tutto da vedere. Nell’incontro con il ministro degli esteri turco Fidan, oltre a manifestare la volontà di redigere una nuova costituzione, al-Sharaa assicura che non consentirà la presenza di alcun gruppo armato, comprese le Forze Democratiche Siriane guidate dai curdi dell’YPG. Gli europei ora devono decidere come trattare con il nuovo potere. Per ora HTS (Hayat Tahrir al-Sham) sembra dar prova di moderazione ma se da un lato si impegna a preservare le istituzioni statali e a rispettare la diversità della sua popolazione, dall'altro ha l’intenzione di monopolizzare il potere statale, stabilendo “a regime that grants the Turks a new strategic foothold in the Middle East”. Tempestivamente von der Leyen si reca ad Ankara per incontrare Erdoğan. Nella conferenza stampa a fine incontro, oltre a ricordare che per il 2024 è in arrivo un ulteriore miliardo di euro per il sostegno ai rifugiati siriani, si impegna a rafforzare l’aiuto a Damasco per una ripresa dei servizi di base e delle infrastrutture aumentando anche la cifra degli aiuti umanitari. La riduzione delle sanzioni avverrà solo in seguito ad una transizione pacifica sul campo. Per alcuni commentatori gli europei dovrebbero essere cauti nello stanziare fondi perché ciò porterebbe alla continuazione dell’economia di guerra e dei conflitti ad essa colllegati. Dovrebbero invece premere sulla Turchia perché spinga i ribelli ad un approccio inclusivo che possa dare ai curdi siriani un percorso politico verso l'integrazione all'interno di nuove strutture statali. I curdi siriani, nonostante le loro divergenze, chiedono però “che la futura Siria sia uno stato civile, democratico e decentralizzato […], uno stato federale dove le autonomie saranno tutelate”. Il crollo del regime di Assad non è automaticamente un segnale di pace e stabilità per il paese chiamato a confrontarsi con le lotte di potere tra le fazioni, la ricostruzione delle infrastrutture, gli sforzi per raggiungere un consenso politico e le ingerenze di attori internazionali. Sarà fondamentale istituire un esercito unificato. “This is not merely a military project—it requires profound political and social consensus to build a structure where diverse armed groups and ethnic and religious communities can coexist. Intanto alla frontiera con l’Iraq le milizie filo turche mettono in atto una vasta pulizia etnica espellendo i curdi. Così come in Siria, anche in Turchia dovrà essere trovata una soluzione alla “sempiternelle” questione curda. Ci sono segnali contraddittori. Bahçeli, a sorpresa, si pronuncia a favore di un intervento di Öcalan in parlamento volto ad annunciare la fine della lotta armata; in Parlamento si sono accettati scambi di battute in curdo ma poi nello stesso tempo un’ondata di arresti colpisce i sindaci curdi per i loro presunti legami col PKK. Lo stesso PKK è quasi sicuramente attraversato da disaccordi tra i radicali e quelli che invece si presterebbero al dialogo. Ad una delegazione del partito curdo DEM viene dato il permesso di incontrare il leader del PKK. Nel messaggio in sette punti riportato dalla delegazione, Öcalan si dice pronto a dare il suo contributo per una soluzione politica al conflitto, rimane da vedere se dopo 25 anni di prigionia la sua voce sarà ancora ascoltata. Ankara cerca azioni concrete per credere che queste dichiarazioni non siano un inganno. Sarebbe però pronta ad accettare la ventilata smilitarizzazione delle SDF, con il conseguente trasferimento del controllo del confine al nuovo esercito siriano sotto la guida di HTS, e quindi impedire alle milizie sostenute dalla Turchia o all'esercito turco di entrare a Kobane? Se ciò accadesse forse l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del Nord-Est (Daanes) potrebbe partecipare alla costruzione della nuova Siria. La volatilità del nuovo corso rende incerti anche i rifugiati siriani in Turchia. Il rientro nel proprio paese, al centro delle ultime campagne elettorali turche, non è quella migrazione di massa che ci si aspettava. Analogalmente da parte turca si teme che la partenza di migliaia di lavoratori, precari e ricattabili, potrebbe colpire duramente alcuni settori dell’economia, in primis agricoltura e costruzioni.
- Novembre la Corte penale internazionale emana un mandato di cattura per Netanyahu e Gallant. Parlando a Nicosia in un meeting sulla Palestina, Borrell ricorda che la decisione “is not a political one” e che la Corte è stata creata con il pieno sostegno dei paesi membri dell’UE. Ne consegue che chi applaudiva per il mandato di arresto a carico di Putin, ora, se si vogliono rispettare i valori europei, non può essere silente. Così come non rimane silenziosa quella parte della società israeliana che non approva l’operato del premier e che non smette di denunciare quante “many invisible things are happening” nei territori occupati. L’isterica accusa di antisemitismo che i vertici israeliani sparano a vanvera ogni volta che si criticano le azioni del governo e dell’esercito, raccolta da larga parte della tribù occidentale, è segno di una “irrational and totalising conception of identity” usata come arma per difendere persone accusate dei peggiori crimini. Viene raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra Libano e Israele. Alla seconda riunione della “Global Alliance for the Implementation of the Two-State Solution” Borrell prende atto dell’accordo sperando che ci sia qualcosa di simile per Gaza. Il discorso dell’AR, pur chiedendosi come a Gaza sia possibile non vedere quanto “the basic humanitarian laws are being violated systematically”, è un atto di impotenza nei confronti della determinazione israeliana e dell’incapacità europea di prendere misure che vadano oltre la persuasione. Per Borrell, che ha deciso di chiudere il suo mandato a Beirut perché ciò che vi accade “is putting the international community at a test if we are really willing and able to make peace”, la società israeliana è “colonised from the inside by extremism and violent people”, le stesse persone che votano in parlamento la legge per mettere al bando l’UNRWA. Ciò significa che nel territorio palestinese occupato milioni di persone saranno private di servizi essenziali come scuole e ospedali. Rispondendo alle domande dei giornalisti al termine del Consiglio Affari esteri (e difesa) centrato, sulla revisione strategica della PESCO - 14375/24 e sull’Ucraina, Borrell ricorda che i rimborsi EPF per le armi inviate a Kiev sono bloccati per colpa dell’Ungheria e che non si registra unità d’intenti nemmeno nel continuare il sostegno. Alla domanda di un giornalista sull’umiliante inutilità della carica di Alto Rappresentante, Borrell risponde che comunque l’AR e il Presidente del Consiglio europeo sono gli unici che rappresentano l’UE nel campo della politica estera, sicurezza e difesa altrimenti delegata ai singoli stati. Al Consiglio i ministri discutono la proposta dell'AR di sospendere il dialogo politico tra l'UE e Israele nel quadro dell'accordo di associazione. Tutte queste problematiche si intrecciano con quello che farà l’amministrazione Trump a livello di politica economica e a livello geopolitico in particolare in Ucraina e Medio oriente. Il fallimento del summit sul clima e del G20, dove non si registrano risultati concreti, dimostrano la totale paralisi della politica internazionale. Pretendere di salutare la tregua tra Israele e Libano come un successo della diplomazia significa nascondere il fatto che il mondo è ostaggio di “guerre nate male e cresciute peggio, orfane di padri che non vogliono riconoscerle, lasciate marcire in un orfanotrofio geopolitico gestito da potenze incapaci”. Come i più avveduti avevano previsto, in Siria le forze jihadiste riemergono dal torpore e, complici i bombardamenti israeliani sulle postazioni di Hezbollah e di Assad, con una offensiva fulminea prendono Aleppo e poi anche Damasco. La destabilizzazione della Siria serve a Netanyahu per colpire l’Iran. “Questa è la parte più importante del suo piano che sottoporrà Trump”. Dal canto suo Erdoğan, dando il via libera ai jihadisti, ha l’obiettivo di impadronirsi di altri pezzi della Siria del Nord per tenere sotto “controllo i curdi e poi magari usare questi territori per liberarsi di milioni di profughi siriani”. Le forze Jihadiste operano in uniformi standardizzate e disciplina militare, sono ben equipaggiate e, per la prima volta, impiegano droni. La Turchia dichiara di non essere coinvolta ma gli osservatori credono ampiamente che l'operazione sarebbe impossibile senza il supporto turco. A parole Erdoğan condanna anche Israele ma nei fatti continua a rifornire Tel Aviv di acciaio, petrolio, droni. Mentre di nascosto il governo turco continua ad alimentare la macchina bellica israeliana, a livello interno spaccia la bugia delle relazioni interrotte. Se da un lato tende la mano all’UE dall’altro non ferma le attività di trivellazione vicino Cipro non cessando di legittimare a livello internazionale la Repubblica di Cipro nord offrendogli lo stato di osservatore nell’Organizzazione degli Stati Turchi, nell’ambito di quella “Axis of Türkiye” che Erdoğan sta cercando di costruire. La situazione sull’isola e in Egeo, nonostante le belle parole, continua a prendere una piega poco chiara. A margine del Consiglio europeo di Budapest i leader di Grecia, Cipro, Albania e Turchia discutono di Mediterraneo orientale mentre mettono in atto ambiziosi piani di riarmo. La presenza del premier albanese Edi Rama ci porta nei Balcani dove anche la Serbia “sta investendo molte risorse nel riarmo delle sue forze armate [per diventare] nel breve periodo la più grande forza militare nei Balcani occidentali” con i droni prodotti in collaborazione con la Turchia. L’intenzione di Rama di fare della confraternita dei Bektashi (nata in Turchia ha la base in Albania da quando Atatürk la scacciò) uno stato sovrano è simile a ciò che succede in Anatolia dove le confraternite, soprattutto quelle leali al potere, quelle i cui appartenenti hanno riempito il vuoto lasciato dalla confraternita di Gülen, hanno di nuovo un potere enorme e occupano posti importanti nell’apparato statale. Così come l’Europa anche la Turchia si interroga su quello che accadrà con Trump. Per alcuni commentatori il secondo Trump (come il primo) non cambierà la politica americana in Medio Oriente caratterizzata da tre fattori principali: unilateralismo, mai si è chiesta l'opinione di alcun paese della regione; militarismo, sempre più aggressivo spinto dalla perdita di egemonia globale, e imperialismo sociale mediante il quale i gruppi di interesse al potere traggono grandi benefici come “The pro-Israel lobby, the Christian Zionists, the oil lobby and the arms lobby shape American foreign policy toward the Middle East”. Altri invece vedono possibilità di accordi perché dalla scoppio delle crisi in Ucraina e medio oriente ad oggi l'importanza della Turchia è saltata agli occhi. Gli USA però al momento non hanno intenzione di interrompere la cooperazione militare con i curdi di Siria, necessaria per la sicurezza di Israele e come cuscinetto contro l'Iran. Durante il ritiro da Aleppo, le forze di Assad hanno trasferito il controllo di risorse strategiche (aeroporto, depositi di armi, impianti di trattamento delle acque) alle unità YPG che, abbandonato l’aeroporto, hanno consolidato alcune posizioni. Emerge una domanda critica: la rivolta contro Assad si evolverà in un conflitto diretto con le YPG? Intanto in patria Erdoğan afferma di voler tendere la mano ai fratelli curdi mentre si susseguono, con l’accusa di terrorismo, le destituzioni dei sindaci da loro eletti. Infuria anche la polemica sulla legge contro lo “spionaggio di influenza” proposta dal governo che nella vaghezza della definizione, rischia di colpire “il cuore della libera espressione, dello stato di diritto, della trasparenza e della separazione dei poteri” mentre lo sciopero dei minatori porta alla ribalta il programma di privatizzazione delle miniere che se attuato come previsto, senza ammortizzatori sociali, porterà alla rovina di centinaia lavoratori e delle loro famiglie.
- Ottobre ad un anno dalla strage del 7 ottobre la mancanza di rispetto dei confini di stati sovrani e il disprezzo per la vita dei civili da parte di Israele approfondiscono i rischi di una guerra totale e di un disastro umanitario ancora maggiore. Netanyahu vede la possibilità di rimodellare il Medio Oriente a suo piacimento e, cogliendo al volo il desiderio USA di uscire dalla regione, “a 25 anni dalla scadenza degli accordi di Oslo [sancisce] il diritto esclusivo alla terra per il popolo ebreo” mentre l’occidente, pur richiamando al rispetto dell’ordine internazionale, si aggroviglia nei propri doppi standard, “tra quello che giustamente applichiamo nei confronti di Putin e quello che incomprensibilmente non applichiamo nei confronti di Tel Aviv” la quale non si astiene dall’attaccare anche la forza ONU schierata in Libano (“non dimentichiamoci che nella guerra del ’78 gli israeliani fecero diversi morti tra le truppe Unifil, se ne parlò poco perché erano di Samoa e delle isole del Pacifico”). Neanche la morte di Sinwar ferma la macchina bellica israeliana ma “più il conflitto proseguirà, più Israele sarà costretta ad adattare la propria struttura economica all’economia di guerra, mettendo sempre più a repentaglio le prospettive di crescita future”. L’Europa si limita a condanne e aiuti umanitari, sta a guardare quando invece il prolungarsi della situazione attuale o la deflagrazione di una guerra tra Iran e Israele, la colpirebbe in pieno. Si svolge il primo summit EU-GCC, Borrell è soddisfatto dei risultati raggiunti. Anche se la cooperazione economica rimane l’elemento centrale del partenariato, è stato molto apprezzato il lancio congiunto della Global Alliance for the Implementation of the Two-State Solution. Di ritorno dal summit l’AR ribadisce al Consiglio affari esteri quello che conferma poi al Consiglio europeo. “I hope that the [European] Council will take seriously the situation of the United Nations. The United Nations have been attacked on all fronts by the Israeli government. All the United Nations system is being attacked. We cannot approve [this]”. Nelle conclusioni – EUCO 25/24 del Consiglio europeo però si rimane sulle solite posizioni. È Michel, nella conferenza stampa al termine dei lavori, che rivela ciò che non è riportato nel documento finale e cioè che alcuni leader europei hanno sollevato la discussione su questo punto mettendola in relazione all’all'Accordo di associazione UE-Israele e come quindi sia iniziato un dibattito a livello di ministri degli esteri sull'argomento. La crisi dell’ordine internazionale scatenata dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente è cavalcata dai “grandi Paesi in ascesa [i quali] estranei al tradizionale nucleo egemonico occidentale [e] meno dipendenti da qualcuno dei due schieramenti [manifestano] un rifiuto ancora più comprensivo delle logiche e delle retoriche bipolari […] in virtù della sensibilità sempre più accentuata per le rispettive dinamiche regionali”. Tutto ciò fa presagire che il futuro della “politica internazionale potrebbe essere la relazione competitiva dei grandi spazi tra loro, attraverso il ruolo egemonico o imperiale delle potenze al vertice”. Il vertice dei BRICS, ospitato dalla Russia, si inquadra in questo contesto. Da un lato è evidente la sfida all’ordine mondiale occidentale ma nel contempo emergono dubbi sulla compattezza del blocco i cui membri sono più orientati a seguire dinamiche regionali. Per alcuni aspetti Ankara si muove in questa duplice dimensione, se da un lato attua una politica estera “qui vise principalement à assurer une autonomie stratégique en tant que puissance régionale”, cercando sponde non occidentali in un momento in cui anche l’economia mondiale volge verso l’Asia, dall’altro “le point de référence géostratégique et normatif de la Turquie reste l'Occident” anche perché la sua economia è ancora dipendente dagli investimenti occidentali. “L'approche d'Ankara est de considérer les BRICS+ comme un partenaire complémentaire, et non comme un substitut à ses partenaires occidentaux”. Bisogna però sottolineare come la riduzione di riserve di moneta pregiata, dovuta all’aumento delle importazioni, alla svalutazione della lira rispetto al dollaro (il 60% tra 2021 e 2023) e alla bassa attrattività per gli investitori internazionali, sia stata tamponata non solo dai finanziamenti di Qatar e Arabia Saudita ma anche della Cina. I rapporti economici con Pechino potrebbero portare la Turchia a rafforzare l’utilizzo della valuta cinese come riserva e mezzo di pagamento, aiutando a perseguire il principale obiettivo dei BRICS, la de-dollarizzazione. Le relazioni UE-Turchia, nonostante alcuni tentativi di disgelo rimangono freddi. Molteplici disaccordi, dalla questione di Cipro ai crescenti contrasti in politica estera, dove i legami sempre più profondi con Cina e Russia sono visti come un problema (proprio con Mosca viene firmato un accordo sulla Siria). Altro punto preoccupante è il continuo regresso democratico. Il caso di Bülent Mumay, coordinatore dell'ufficio di Istanbul della redazione turca di Deutsche Welle, condannato a 20 mesi di carcere per aver portato alla luce l’appropriazione, da parte di una società filogovernativa, di fondi del comune di Istanbul, la chiusura di Açik Radyo, una stazione che in 30 anni è diventata una voce di consapevolezza sociale e libertà e infine l’arresto del sindaco del distretto Esenyurt di Istanbul Ahmet Özer, con l’accusa di terrorismo, confermano ancora una volta che la volontà repressiva di Erdoğan è intatta. La pubblicazione del Türkiye 2024 Report – SWD(2024)696 nell’ambito della più ampia “2024 Communication on EU enlargement policy” – Com(2024)690 conferma lo stallo del processo di adesione. Come al solito è la dichiarazione UE-Turchia del 2016 che si conferma essenziale in materia di migrazione e per il funzionamento di quella che molti definiscono “macchina di deportazione”. In risposta alla relazione la parte turca, rigetta “the unfair assessments” sui criteri politici e sulle dinamiche politiche interne ed evidenzia il ruolo costruttivo svolto nel Mediterraneo orientale, il miglioramento delle relazioni con la Grecia e il rafforzamento della cooperazione commerciale con l'UE. Critica l’appiattimento della UE sulle “unrealistic, unlawful and maximalist views” della Grecia e della parte greco-cipriota, che ignorano le preoccupazioni della Turchia e della Repubblica turca di Cipro del Nord. Ribadendo la volontà di migliorare le relazioni con l’UE la Turchia si attende che i progressi nel processo di adesione siano accelerati perseguendo un approccio costruttivo come delineato nella comunicazione del novembre 2023 “without any further delays or additional preconditions.” La morte di Fethullah Gülen potrebbe essere l’opportunità di voltare pagina dopo la repressione della confraternita accusata di aver partecipato al colpo di stato del 2016 poiché “Gulen’s death is one of the rare moments in contemporary Turkish politics where most people find common ground”. Se questa morte possa contribuire a rasserenare il clima politico e favorire il dialogo per la modifica della costituzione lo si vedrà. Per ora nonostante gli sforzi dei funzionari del partito di governo la proposta per una nuova costituzione non guadagna terreno tra l'opinione pubblica perché la volontà esplicitata da alcuni alleati del presidente di modificare i primi quattro articoli della Costituzione (che sanciscono i principi del repubblicanesimo, del secolarismo, dello stato unitario e dello stato di diritto) è quella di trasformare la Turchia “into a religious-political structure they call ‘New Turkey’ e fare di Erdoğan the “ruler of Muslims.” Se questa è la, non dichiarata, volontà di Erdoğan è ancora da decifrare come l'opposizione, nel caso andasse al governo, guiderà il paese in un contesto così ricco di tensioni.
- Settembre alla Palestina, dove massacro continua, si aggiunge ora il Libano più volte colpito dai raid israeliani che uccidono, disintegrando 6 palazzi, Nasrallah, il leader di Hezbollah. A seguito dei bombardamenti migliaia di persone fuggono in Siria. La guerra continua anche se una larga fetta della società israeliana si oppone alla “barbaric glee” di quanti stanno con Netanyahu. Questa divisione tra Ebrei, in Israele come nel resto del mondo, è già un successo per Hamas. Dalla UE una flebile ramanzina sulla nuova violazione dei confini di uno stato sovrano. Si preferisce soffermarsi sul sostegno umanitario e su una fantomatica soluzione diplomatica. Questa posizione, mentre Gaza è ormai “a place where life is no longer possible”, è ribadita anche al meeting del Consiglio di sicurezza ONU. La continua richiesta di un cessate il fuoco da parte degli occidentali, mentre continuano il loro appoggio ad Israele, non è che una cinica farsa. La stessa votazione ONU a favore di un immediato abbandono dei territori occupati da parte di Israele, visto il numero di quanti si sono astenuti, non costituisce una vittoria. Dopo che la Corte internazionale di giustizia ha votato, a luglio, contro l’occupazione “voting against and abstaining from voting on the UNGA resolution cannot be dismissed as mere political neutrality” ma come un attacco alle disposizioni del diritto internazionale. Al Madrid for meeting on the implementation of the Two State solution, presenti il primo ministro palestinese e tutti membri del Gruppo di contatto arabo-islamico per Gaza, tra cui la Turchia, partecipa anche Borrell. Il ministro degli Esteri israeliano Katz lo accusa di antisemitismo. Da New York commentando il rapporto Draghi Borrell riconosce che per vincere le sfide attuali occorre modificare il Trattato UE. L'approccio dicotomico tra politica commerciale e politica estera va superato. La protezione dell’economia europea non deve però diventare protezionismo altrimenti c’è il rischio che il Sud del mondo diventi ostile. Per quanto riguarda il rafforzamento delle capacità militari e dell'industria della difesa l’AR è scettico perché le questioni legate al quadro istituzionale non sono state risolte. In un successivo intervento al Council on Foreign Relations Borrell riconosce che la capacità dell’Europa di modellare il corso degli eventi è diminuita perché l'interdipendenza economica del progetto europeo, costruito “against the idea of power” si scontra con rivalità geostrategiche che impongono maggiore determinazione, come in Ucraina dove gli europei hanno dato una risposta comune. Borrell riconosce che questa unità non si è avuta per Gaza e ciò, nell'attuale contesto tripolare (Nuovo Occidente, Nuovo Oriente e Sud globale), può innescare una forma di rivolta del Sud del mondo contro l'Occidente. Per alcuni analisti molte affermazioni dell’AR su Russia e Israele non fanno che creare danno. Per altri invece, gli europei, poiché nessun grande partito politico israeliano sostiene la soluzione a due stati o la fine degli insediamenti illegali, dovrebbero rivedere, senza arrivare alla rottura delle relazioni, l'accordo di associazione UE-Israele (come chiesto da Irlanda e Spagna). Una volta tagliato l'accesso a tariffe commerciali preferenziali e altri strumenti di finanziamento UE, la popolazione israeliana sentirà il costo di una realtà di occupazione e il conflitto potrà finire. Gli interventi di Borrell sono in concomitanza con l’UN Summit of the Future e con l’Assemblea generale dell’ONU. L’obiettivo del Summit è quello di riformare la governance mondiale adeguandola ai nuovi contesti. Il testo su cui concordare è un "Patto per il futuro” le cui negoziazioni però confermano l'entità delle divisioni e il divario di fiducia tra Nord e Sud. Unica nota positiva è che la maggior parte dei paesi rimane impegnata nel multilateralismo. Nonostante l'esito tutt'altro che rivoluzionario del Summit, resta la speranza di un cambiamento tanto necessario. Michel nel suo discorso al Summit si sofferma sulla necessità di una nuova architettura finanziaria globale che liberi i paesi poveri dal peso del debito mentre nel discorso all’Assemblea generale auspica una riforma del Consiglio di sicurezza per uscire dalla paralisi cui ha portato il diritto di veto nella sua forma attuale. Michel continua a sostenere un’immagine dell’UE che non corrisponde ai fatti. “European Union resembles a Barbieland: a place prone to regard itself as more perfect than it really is – and harbouring some notable blind spots”. All’ONU vanno in scena una serie di sproloqui a partire da quelli di Netanyahu, che definisce l’Assemblea ‘palude di bile antisemita’ e di Erdoğan che richiama un’alleanza dell’umanità contro Netanyahu, il nuovo Hitler. “Mais il est tout simplement ridicule qu’une telle demande émane du principal responsable d’un État se trouvant depuis des années au banc des accusés de la Cour européenne des droits de l’homme, et contre lequel une action a été intentée il y a à peine un an devant la Cour pénale internationale pour les crimes qu’il a commis”. La parte più interessante del discorso di Erdogan è quella in cui afferma di star lavorando alla creazione di un sistema di alleanze alternativo quello che ruota attorno all’Occidente, non stupisce quindi la formale domanda di adesione ai BRICS. La Turchia potrebbe essere il primo paese della Nato a entrare a far parte del gruppo che ospita le potenze in cerca di un'alternativa all'ordine occidentale, sia politico che commerciale. Per Ankara l'adesione ai BRICS avrebbe un doppio risultato, creare opportunità commerciali e rinnovare l’attenzione dell’UE alle esidenze turche. Europei e americani dovrebbero smetterla sottovalutare i BRICS. Sebbene l'organizzazione non abbia ora forti strutture comuni potrebbe averle in futuro. L’attivismo di Erdoğan in politica estera si manifesta anche nelle prove di riavvicinamento con l’Egitto e con la Siria. Con questo paese rimane aperto il contenzioso sull’occupazione turca di parte del territorio siriano, nonché quello sull’appoggio ai gruppi anti Assad. Non va dimenticato che sia la Turchia che la Siria sono impegnate ad attaccare da una parte di curdi, e dall’altra l’opposizione siriana. Il problema curdo tra l’altro si lega con quello dell’immigrazione clandestina in Europa e con l’efficacia del Patto sulla migrazione. Le indiscrezioni sull’ingresso nei Brics, arrivano nello stesso giorno in cui l’istituto di statistica nazionale segnala una frenata nella crescita economica del paese. Nel secondo trimestre 2024, l’economia turca è cresciuta del 2,5% su base annua segnando un calo rispetto alla crescita registrata nel primo trimestre (5,7%). I problemi economici si intersecano con quelli politici. Analisti a favore del presidente spingono per una riforma della costituzione ricordando che, nonostante 19 modifiche, è ancora quella golpista del 1982. Rinfacciano al CHP, il cui programma principale fino alle elezioni era il cambiamento costituzionale, di non voler più discutere di tale cambiamento. Sembra infatti che il leader del CHP Özel abbia aperto alla possibilità di una ulteriore candidatura di Erdoğan. Di fatto legittimando la violazione della candidatura del 2023 e scegliendo di non sostenere la Costituzione. “This is because the oligarchic political elite in both the government and the opposition can form unconstitutional agreements among themselves through passive inaction that disregards Constitutional provisions”. Özel si lancia anche a promettere un ritorno al sistema parlamentare, quando sa bene che sarebbe necessario modificare la Costituzione. Per raggiungere questo obiettivo, sarebbe innanzitutto necessario vincere le prossime elezioni ottenendo i due terzi dei deputati e ciò, al momento, è impossibile.
- Luglio agosto viene nominato, tra gli atri, il nuovo rappresentante speciale per la Bosnia, l’italiano Luigi Soreca. Avrà molto da fare. Se da un lato il consiglio cerca di allentare le tensioni dando via libera all’esenzione del visto per i serbi in Kosovo, dall’altro un attentato da parte di un fondamentalista islamico a Belgrado è il segnale che l’UE ha tralasciato il ruolo di mediatore tra musulmani e governo di Belgrado. In questo vuoto si inseriscono Turchia e Arabia Saudita, interessate ad estendere la loro influenza nella regione. Lo stesso vale per l’Albania cui la Turchia da anni fornisce sostegno. In Libia la situazione continua a deteriorarsi. Dbeibah viene sfiduciato. La competizione per il controllo di petrolio e gas provoca subito movimenti di truppe. Il consiglio presidenziale di Tripoli rimuove Sadiq al-Kabir governatore della Banca Centrale, l’istituzione che gestisce le entrate petrolifere e le riserve estere. La sostituzione, non riconosciuta dallo stesso al-Kabir e da Haftar, cui erano stati concessi pagamenti in precedenza bloccati, e i contrasti per la chiusura del più grande giacimento petrolifero, se non saranno superati politicamente, potrebbero portare a nuovi scontri armati. La UE cerca di mettere una pezza alla sua impotenza (voluta?) firmando con l'Autorità palestinese una lettera d'intenti che definisce una strategia per affrontare la critica situazione economico-finanziaria palestinese. Vengono approvate sanzioni nei confronti dei responsabili degli attacchi agli insediamenti palestinesi in Cisgiordania. I rappresentanti di vari paesi in una visita al villaggio di Um al Kheir, si rendono conto del disastro provocato dalle operazioni di demolizione israeliane. Intervenendo al consiglio di sicurezza ONU il Rappresentante UE Koopmans per l’ennesima volta parla di affronto all'umanità e al diritto internazionale, condanna l’espansione degli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata, così come il terrorismo islamico. Invoca ancora la soluzione a due stati perché nessun’altra è più credibile. Dopo dieci mesi di guerra è chiaro che Israele non è in grado di sradicare Hamas, la guerra si dimostra sempre più un disastro strategico. É stata cancellata ogni possibilità di accordo e se “due mesi dopo l’inizio della guerra, solo il 36% dei gazawi era favorevole ad Hamas [dopo] tre mesi di bombardamenti […] il consenso è salito al 50%”. L’uccisione del negoziatore Haniyeh a Teheran nel momento in cui si insedia il nuovo moderato presidente Pezeshkian favorisce le ali estreme sia di Hamas che iraniane. Netanyahu è disposto a tutto per mantenere il suo potere anche ad indebolire il sistema democratico israeliano. La conflittualità con l’Iran e i suoi alleati serve per portare avanti il progetto di espansione a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Nonostante la Corte Internazionale di Giustizia abbia stabilito che la presenza di Israele nell'intero territorio palestinese sia illegale e che sia stato creato un regime di apartheid di cui Europa e USA si rendono complici. Il tradimento occidentale ai suoi principi lascia spazio ad altri attori. A Pechino viene firmato un accordo di riconciliazione tra le fazioni palestinesi. A differenza dei precedenti, tutti non rispettati, questo contiene principi politici (come la soluzione a due stati) di cui Hamas non voleva sentir parlare. La Turchia si unisce al procedimento del Sud Africa contro Israele, le aziende turche però continuano a fare affari con Tel Aviv. Dopo il voto amministrativo sembra essersi aperta una nuova fase di dialogo tra l’AKP e l’opposizione, uscita vincitrice dalle urne. La riforma della Costituzione, la difficile situazione economica e lo stato diritto sono i temi principali al centro delle discussioni. Oggi l’Akp e il sui alleati non hanno la maggioranza dei due terzi necessaria per proporre modifiche costituzionali. Per Erdoğan una riforma costituzionale che abolisca il limite dei due mandati è necessaria per candidarsi ad un terzo mandato che gli consentirebbe di designare un suo successore all’interno del partito in lento ma costante declino. Il nuovo corso di politica economico monetaria intrapreso dal ministro delle finanze sembra dare qualche frutto, l’inflazione cala al 61% e gli investitori internazionali ritornano in Turchia. Come al solito le misure di austerità colpiscono principalmente le classi medio-basse. Secondo un’indagine la soglia della fame ha raggiunto la cifra di 20.776 lire, mentre la soglia della povertà è salita a 62.302 lire sebbene il salario minimo sia di 17.002 lire. Non va meglio per i pensionati, al contrario il 27% di quasi tremila grandi contribuenti è sotto inchiesta per evasione fiscale. La riforma fiscale voluta dal governo non funziona “While large companies master the art of tax evasion, small businesses and salaried employees struggle with high taxes”. Senza contare la corruzione con cui le grandi aziende legate al potere si accaparrano i principali appalti. Nonostante il risultato elettorale non c’è stata però inversione di tendenza riguardo le politiche repressive. Magistratura e polizia continuano a colpire curdi e attivisti politici. Anche contro i rifugiati siriani si scatenano dei veri e propri pogrom esito finale di una campagna razzista che va avanti da tempo. Di rimando in Siria, nei territori occupati da Ankara, contromanifestazioni provocano la morte di 7 persone. Una simile reazione, portata avanti dai gruppi finanziati da Ankara, è il segnale che “both intervention in the civil war and refugee policy have reached an unsustainable point”. Anche la relazione “The Facility for Refugees in Turkey Beneficial for refugees and host communities, but impact and sustainability not yet ensured” – Special report 6/2024 (ISBN 9789284918638), seppur in un contesto di efficienza, indica alcune criticità come l’impossibilità da parte della Commissione di controllare il reale impatto dei finanziamenti dello strumento sui beneficiari. La Siria, con la sua posizione strategica e le sue risorse, diventa essenziale per il tentativo di Erdogan di costruire un blocco regionale, con Russia (il principale sponsor del riavvicinamento turco-siriano), Iran e altre potenze emergenti. Erdoğan lo immagina come contrappeso al duopolio sino-americano e garante della pace in Medio Oriente (perseguita con un ambizioso piano di riarmo). Anche con la UE si gioca su due tavoli. Paradossalmente la presidenza ungherese, osteggiata dagli altri Stati membri, potrebbe offrire nuove opportunità per far progredire le relazioni UE-Turchia soprattutto sull'aggiornamento dell'Unione doganale e l'adozione di misure per la liberalizzazione dei visti. D’altro canto, pochi giorni dopo la decisione di Bruxelles di imporre tariffe provvisorie aggiuntive sui veicoli elettrici cinesi, Ankara firma un accordo con Pechino per l’apertura di uno stabilimento di produzione di auto elettriche e ibride (che darà lavoro a circa 5.000 persone).
- giugno viene trasmessa al Consiglio la “Settima relazione sui progressi compiuti nell'attuazione della strategia dell'UE per l'Unione della sicurezza” - COM(2024)198. Il mese si apre con le solite manfrine sulla Palestina. Amman ospita una conferenza sugli aiuti umanitari a Gaza (37.000 morti, 85.000 feriti, il territorio completamente distrutto, nessuna autorità politica). G7, Consiglio di Sicurezza dell’ONU e UE sostengono l’accordo proposto da Biden. Come se non sapessero che Netanyahu non accetterà mai un accordo proposto da un presidente che a novembre potrebbe essere sconfitto, meglio attendere il suo amico Trump continuando i massacri a Gaza e la colonizzazione in Cisgiordania. Intanto alla knesset viene votato in prima lettura un disegno di legge che se approvato in via definitiva, designerebbe l’UNRWA come organizzazione terroristica. In quel caso per quasi sei milioni di rifugiati palestinesi in tutto il Medio Oriente non ci sarebbe più alcun aiuto umanitario. Eppure il rapporto finale dell’indagine ONU non evidenzia irregolarità, sottolinea invece come le accuse israeliane non siano ancora suffragate da prove. L’inconfutabile realtà del massacro in corso spinge la stessa ONU ad aggiungere Tel Aviv alla lista nera dei paesi che danneggiano i bambini, i fascisti all’interno della società israeliana e dei media chiedono la pena di morte per quanti, con le loro critiche, possano minare il morale dei soldati. Il gattopardesco consiglio europeo - EUCO 15/24 – di fine mese elegge Antonio Costa presidente del Consiglio, ripropone Ursula von der Leyen come presidente della CE e Kaja Kallas come A.R. per la PESC. I leader confermano il supporto all’Ucraina usando i beni russi congelati e “attendono con interesse la prima erogazione di tali entrate” senza preoccuparsi che la “Weaponisation” del denaro aumenti il rischio di una frammentazione finanziaria globale costituendo “un importante precedente che avrà implicazioni per un futuro mondo multipolare”. Su Israele invece solo parole di condanna, un invito al Consiglio a proseguire i lavori su ulteriori sanzioni nei confronti dei coloni estremisti e l’insistenza su una soluzione a due stati per una “Palestina indipendente, democratica, territorialmente continua, sovrana e vitale”. Quanto siano vuote queste parole è lo stesso A.R. Borrell a dircelo: il piano di Biden “is not being implemented. Neither one side, nor the other has been willing to implement this plan, despite the fact that there was a [UN] Security Council resolution backing this plan”. Naturalmente non sono previste misure restrittive contro Israele. Sarà il Consiglio di associazione “the occasion for the Member States to discuss with the Israeli counterparts about what is going on in Gaza”. Solo contro tutti, senza un piano per il dopoguerra, il presidente israeliano minaccia (e prepara) un’offensiva in Libano magari già pensando di annetterlo come Daniella Weiss la “madrina dei coloni” che “immagina un territorio tutto ebraico che va dall'Egitto all'Iraq, dal Nilo all'Eufrate”. Nel paese dei cedri l’UE si affanna con un sostegno finanziario che minerà ogni speranza del popolo libanese di liberarsi da un’élite politica corrotta e “will encourage the criminalisation of people on the move and undoubtedly result in more suffering for refugees, especially Syrians” già oggetto di attacchi in Turchia e cacciati dall’Iraq. Quello che sta accadendo nel Mediterraneo (Saied si avvicina all’Iran, Haftar apre il porto di Tobruk alle navi russe) e a Gaza esemplifica “the EU political, geostrategic and moral failure […] Since October 7, 2023, the EU has displayed a cacophony of official positions, profound divisions between its member states and a pitiful irrelevance”. Le sue aspirazioni ad essere un attore globale sono state cancellate. La pronta risposta all’aggressione russa e l’aiuto dato ai profughi ucraini (cui viene rinnovata la protezione temporanea) stridono con l’inazione in Medio oriente. La guerra di Palestina tracima dal Libano a Cipro, da tempo alleata con Israele e Grecia, fatta oggetto di minacce da parte di Hezbollah e di avvertimenti da parte del ministro degli esteri turco Fidan che accusa i ciprioti di usare le basi per gli aiuti umanitari come copertura della loro funzione militare. Eppure Fidan ha di che nascondere. Nonostante le roboanti dichiarazioni a favore dei palestinesi il governo turco permette al petrolio armeno destinato all’aviazione israeliana, di arrivare sul suo territorio e di partire dai suoi porti. Il doppio gioco di Erdogan, “difende il diritto dei palestinesi ad autodeterminarsi solo in teoria, e intanto bombarda i curdi”, e le minacce turche di un intervento militare unite alla contrarietà USA, spingono le autorità dell’Amministrazione Democratica Autonoma della Siria del Nord e dell’Est (DAANES), a guida curda, a rinviare (per la seconda volta) le elezioni locali. La questione curda e quella di Cipro, con l’avanzare anche lì di una soluzione a due stati, hanno le loro radici nella politica interna turca. Dopo la sconfitta alle amministrative è chiaro che la strategia comunicativa fin qui adottata dal Presidente non è più valida. Il coro dei “Channels and newspapers, all running at a loss but sustained by advertising funds from public banks and companies, constantly attacked opposition parties” e delle “fake celebrities” che hanno riempito la televisione di stato non è più in grado contrastare un’opposizione sempre più decisa. Erdoğan, che pure non rinuncia alle politiche repressive e all’attacco alla laicità dello stato, soprattutto a livello di curriculum scolastici, è costretto a cercare un confronto. Di fronte alla destituzione, dei sindaci curdi democraticamente eletti il leader del CHP Özel si schiera dalla parte curda. Per Özel se Erdoğan traccia linee rosse “to disobey the constitution, not to recognize the Constitutional Court, to seize the will of the people with trustee policies, to usurp assembly and demonstration marches, and to further oppress ignored segments of society, neither détente nor normalization can be talked about there”. Özel si spinge anche a chiedere, velatamente, elezioni anticipate cosa che per situazione economica in corso e per le promesse fatte agli investitori internazionali dal ministro delle finanze può mettere in difficoltà Erdoğan e il suo governo soggetto ad un mini rimpasto.
- maggio viene annunciato un pacchetto finanziario di 1 mld di euro per il Libano a favore di istruzione, protezione sociale, riforme economico finanziarie, forze armate, gestione delle frontiere e lotta al traffico di migranti. I nuovi regolamenti della Banca Centrale del Kosovo sulle operazioni in contanti spingono l’UE ad ospitare incontri tra le delegazioni di Kosovo e Serbia. Nonostante gli sforzi le parti non sono state in grado di trovare una soluzione di compromesso. Anche in Macedonia la situazione si deteriora la nuova presidente, Siljanovska, nella cerimonia di giuramento non usa il nome costituzionale uscito dagli accordi con la Grecia. Bruxelles ospita l’ottava Brussels Conference on ‘Supporting the future of Syria and the region’. Per Borrell la situazione in Siria non è mai stata così terribile. Quasi 17 milioni di siriani necessitano di assistenza umanitaria. Il livello più alto dall’inizio della crisi, più di tredici anni fa. “It is, I could not say, worse than Gaza - because nothing is worse than Gaza – but [it is] almost equally bad”. Si susseguono timide esortazioni ad Israele a porre fine all’operazione militare a Rafah ricordando che tutto ciò che accade potrebbe mettere a dura prova le relazioni con l’UE. Il corridoio marittimo di Cipro è una goccia nel mare mentre l’esercito israeliano continua a massacrare la popolazione e a distruggere infrastrutture civili, in primis gli ospedali. Per far fronte alla situazione Bruxelles ospita una riunione ministeriale a cui partecipa il primo ministro palestinese Mustafa. L’economia palestinese è in crisi, le entrate dell’Autorità Palestinese (AP) sono diminuite drasticamente, occorre un’inversione immediata delle politiche israeliane e un rafforzamento del partenariato tra i partner internazionali e l’AP. Al Consiglio affari esteri uno scambio informale con i ministri di cinque paesi arabi e con il segretario generale della Lega degli Stati arabi ricerca una soluzione politica al conflitto e un aumento del sostegno umanitario a favore di Gaza. Si chiede di nuovo ad Israele di attuare la recente sentenza della Corte internazionale di giustizia concernente la sospensione delle operazioni militari a Rafah, di sbloccare i finanziamenti all'AP e di impedire che l'UNRWA sia dichiarata organizzazione terroristica. Nella conferenza stampa a fine lavori Borrell ribadisce, dopo un ulteriore massacro in una tendopoli, che “there is no safe place in Gaza. These attacks take place immediately after the International Court of Justice (ICJ) ordered to stop all military activities in Gaza”. Ricorda che l'ICJ è la più alta corte del sistema ONU e tutti i membri hanno l’obbligo di rispettare le sue decisioni perché non si può prescindere da un ordine mondiale basato su regole. Per quanto riguarda l’AP, se si vuole che mantenga un minimo di autorità in Cisgiordania occorre ripristinare le entrate fiscali tagliate dal governo Netanyahu. “For now, I will never say again “Israel”, I will say “the Netanyahu government”, because it is this government which is taking these decisions”. A parte l’idea di una conferenza internazionale che ponga basi fattuali per attuare la soluzione dei due stati, il risultato più forte è la richiesta unanime dei ministri UE della convocazione di un Consiglio di associazione UE-Israele per discutere della situazione a Gaza. A fine mese la Commissione europea dà il via libera ad una seconda tranche di aiuti per 25 milioni di euro destinata all'AP per il pagamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici e a 16 milioni di euro affinché l'UNRWA fornisca servizi di base ai rifugiati palestinesi. Il governo Netanyahu approva il decreto per la messa al bando di al-Jazeera. Dopo sei mesi di massacri, dopo le ripetute richieste palestinesi di indagare sui crimini commessi da Israele, dopo la continua opposizione da parte israeliana al mandato della CPI, la Corte emana, come fatto per Putin, un mandato di arresto per Netanyahu, Sinwar e altri esponenti israeliani e di Hamas. Ora gli europei “should recognise that attempts to denigrate the work of the ICC – or to influence the pre-trial chamber’s decision on the warrants – will undermine their claim of supporting the international rule of law, especially after they strongly supported arrest warrants against Russian president Vladimir Putin over Ukraine. It would also be misguided for European countries to attack the court for seeking arrest warrants against representatives of a democratic state, as some leaders have done, as this would suggest to the rest of the world that liberal democracies regard themselves as above the law”. A quanti obiettano che così si indeboliscono i negoziati di pace si può rispondere che prima deve esistere una realistica prospettiva di pace. Ad inizio mese l’Assemblea generale delle Nazioni Unite vota una risoluzione che appoggia ufficialmente la domanda di ammissione della Palestina bloccata in Consiglio di sicurezza dal veto USA. L’approvazione della risoluzione evidenzia il crescente isolamento della posizione statunitense e la necessità di un cambio di passo negli sforzi per il raggiungimento della soluzione “due popoli-due Stati”. Intanto Norvegia, Spagna e Irlanda annunciano che riconosceranno ufficialmente l’esistenza di uno Stato di Palestina. La reazione israeliana come sempre è dura giustificata da un “sense of collective victimhood which entitles it to ignore all moral norms when dealing with the enemy”. Uno dei nemici più evidenti di Netanyahu è Erdogan, anche se molti palestinesi pensano che la dura retorica contro Israele non si sia tramutata in fatti concreti, a parte la sospensione di ogni relazione commerciale con Israele (che risponde con un aumento dei dazi del 100% sulle merci turche) e generici appelli ai paesi a musulmani che non hanno reagito all’attacco israeliano. Con la Grecia invece le cose vanno meglio. Incontrandosi per la quarta volta in 10 mesi Erdogan e Mitsotakis cercano di concentrarsi sulla cooperazione, non sui problemi quali la questione di Cipro o quelli relativi alla piattaforma continentale, allo spazio aereo e alle isole contese dell’Egeo. “At the moment, Erdoğan, with the influence of the opposition in domestic politics, does not want to be troubled by any other problem than Israel”. Sul suolo turco i manifestanti pro-palestina presenti alle manifestazioni del primo maggio vengono picchiati e arrestati come gli altri che si sono scontrati con i 40.000 poliziotti posti a guardia di piazza Taksim. Fanno compagnia ad altri centinaia arrestati con l’accusa di far parte della rete di Gülen. Demirtaş viene condannato a 42 anni di prigione nell’ambito del processo per i fatti di Kobane. Anche per le “Madri del sabato”, che da mille settimane si riuniscono in presidio ogni sabato alla ricerca dei loro familiari scomparsi da decenni dopo essere stati rapiti dagli apparati di sicurezza, protestare è diventato più difficile. Erdoğan incontra il leader del CHP Özel. L’incontro, etichettato come storico sia dall’opposizione che dai media filogovernativi è il primo bilaterale con un leader del CHP dal 2012. È probabile che Erdoğan sia stato costretto sulla scia del sorpasso elettorale del CHP alle ultime elezioni amministrative. Al presidente interessa la discussione sugli emendamenti costituzionali, a Özel invece discutere del sistema giudiziario e delle violazioni dei diritti (e quindi dell'adesione alle sentenze della Corte Costituzionale e della CEDU). Ma soprattutto degli oneri finanziari ereditati dai comuni persi da AKP (e MHP), dei progetti infrastrutturali e dei finanziamenti richiesti dai comuni guidati dal CHP e che attendono l’approvazione del presidente. Il risanamento economico e la lotta all’inflazione, dopo il lancio del Piano a Medio Termine (OVP), sono ora le priorità della Turchia. Però anche se il ministro dell’economia Şimşek può essere considerato un primo ministro de facto (la carica è stata abolita nel 2018), la sua influenza è nel circuito del ministero. Si prevede perciò che i regolamenti sulla legge sugli appalti pubblici e sulla riforma fiscale, da lui proposti, troveranno in parlamento una forte opposizione dall’interno dell’AKP, così come la proposta di rafforzare i controlli fiscali e ridurre le esenzioni fiscali. Il passaggio da una politica estera conflittuale a una linea più conciliante è stato parallelo alla crisi economica e alla necessità di trovare risorse esterne dal 2022 in poi. Ma tutto il processo decisionale e la responsabilità di ciò che viene fatto appartiene ancora ad Erdoğan.
- aprile (in corso di aggiornamento) il PE e il Consiglio raggiungono un accordo sul sostegno del piano di riforma e crescita per i Balcani occidentali. Si tratta di “un'offerta senza precedenti”, i Balcani occidentali potranno accedere ad alcuni vantaggi derivanti dall’adesione all’UE prima dell’adesione senza che le tensioni nella regione siano risolte. Il Parlamento europeo approva il nuovo Patto su migrazioni e asilo. Gli atti legislativi che lo compongono stabiliscono regole comuni per normare l’accoglienza e la ricollocazione dei richiedenti asilo, riformando l’attuale sistema di gestione delle politiche migratorie. Per l'attuazione del Patto manca ora la ratifica dal Consiglio europeo ma saranno necessari due anni perché sia operativo. Salutato come una tappa storica, per quanti sono impegnati nel salvataggio e nell'accoglienza dei migranti l'accordo è invece il fallimento della solidarietà. Tutti i nuovi regolamenti contengono elementi fortemente critici dal punto di vista della tutela dei diritti fondamentali delle persone, fornisce veste giuridica a quelle pratiche vessatorie nei confronti dei migranti fino ad ora considerate illegali. Il governo israeliano emana una legge per impedire alle reti mediatiche straniere (leggi al-Jazeera) di operare in Israele e bombarda il consolato dell’Iran a Damasco. L’attacco si inserisce in una “una logica di escalation” nel tentativo da parte di Netanyahu di provocare un conflitto regionale per alleggerire le critiche USA sul modo di condurre la guerra a Gaza. Il massacro di sette cooperanti mentre distribuivano cibo a Rafah è frutto di una deliberata politica che non trova più il pieno sostegno dell’occidente e tantomeno di larga parte della società israeliana. La risposta iraniana arriva puntuale con un attacco di droni e missili di grande portata mediatica ma di pochi effetti sul campo. Naturalmente i paesi occidentali protestano dando prova ancora una volta del doppio standard con cui si condannano i crimini di guerra. L’Iran ha reagito per ‘non perdere la faccia’, spetta ora al governo israeliano decidere tra l’escalation o “prendersi la vittoria” come gli ha suggerito il presidente americano Biden. Netanyahu prende tempo, pressato dai suoi alleati della destra fondamentalista religiosa che chiedono una risposta devastante contro Teheran. In un comunicato stampa la Turchia ricordando che l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco, ha violato il diritto internazionale, vara misure restrittive alle esportazioni verso Israele. La mossa più che un tentativo di fare pressione su Israele, tra l’altro ci sono molti modi per aggirare le restrizioni, serve ad Erdoğan per riguadagnare consensi in quanto il non essere arrivato ad una rottura completa secondo gli analisti “a contribué à la débâcle historique […] aux élections municipales”. La sconfitta infatti è stata pesante “’ampleur de la défaite électorale, particulièrement marquée dans la plus grande ville de Turquie, révèle que Parti de la justice et du développement (AKP) n’a plus grand-chose à proposer au pays”. Il CHP mantiene Ankara, Istanbul e Izmir, vince a Bursa e conquista municipi nelle regioni conservatrici dell’Anatolia centrale e sul Mar Nero. Il partito filocurdo DEM (ex-HDP) vince nelle principali municipalità dell’Est. Crollano il Buon Partito (Iyi Parti) e l'MHP superato dallo Yeniden Refah Partisi, un nuovo partito islamista. Per la prima volta in 20 anni il CHP supera l’AKP per numero di voti (37% contro il 35%), Erdoğan ha ora di fronte due potenti avversari İmamoğlu a Istanbul e Yavaş ad Ankara. Da non trascurare anche il fatto che il numero delle donne sindaco si è triplicato (11). Per Gulistan Sonuk (DEM), neo sindaca di Batman, “Le elezioni si sono svolte tra due linee nette. Una era la mentalità che vedeva le donne come di seconda classe, e l’altra difendeva la libertà delle donne. Il pubblico ha scelto quest’ultima”. Tre le ragioni della sconfitta. In primo luogo la crisi economica, la reazione di pensionati, lavoratori e disoccupati, che si stava preparando da anni, alla fine è emersa anche perché Erdoğan non ha potuto mantenere le promesse fatte prima di queste elezioni. In secondo luogo il nuovo leader edl CHP, Özgür Özel, ha portato una nuova realtà organizzativa e un nuovo stile di lavoro avvalendosi di una squadra più giovane sostenuta dall’organizzazione del partito. Infine l’arroganza con cui Erdoğan ha scelto i candidati del suo partito, persone di secondo piano non in grado di oscurarlo in caso di vittoria, e ha cercato di imporre anche ai suoi alleati. Oltre al presidente turco i principali sconfitti sono Meral Akşener, che rassegna le dimissioni, il suo partito (İYİ) rispetto al 2023 è passato dal 6% al 3,7% e Devlet Bahçeli (MHP) che ha dimezzato i propri voti scendendo a circa il 5% finendo col perdere comuni amministrati da sempre. Per quanto riguarda il DEM si deve notare che come sempre nelle regioni dell’est e sud-est la massiccia presenza dell’esercito ha reso anche questa tornata elettorale un esempio di ingiustizia (la politica repressiva non si ferma mai e dopo due giorni dal voto a Van non viene riconosciuta l’elezione del sindaco DEM). Tuttavia bisogna notare che nelle città con una significativa popolazione di elettori curdi, i risultati hanno indicato che la politica dell’identità (curda) non ha più molta presa e i voti sono andati al CHP. Se nel campo progressista si saluta l’inizio di una nuova era nell’altro campo si analizza la sconfitta. Subito Erdoğan convoca una riunione. Contrariamente al solito c’è una certa confusione con la stampa, dalla riunione escono due testi di cui uno non presente sulle pagine ufficiali. Il presidente ammette la sconfitta e, con estrema compostezza, ne analizza finalmente le ragioni: non fantomatiche forze antiturche ma le difficoltà economiche e lo scarso livello dei candidati. Nei media pro governativi si riconosce ad Erdoğan il rispetto della democrazia e la consapevolezza della necessità dell’AKP di imparare da quanto accaduto e di aggiornarsi. Al campo avversario si riconosce invece il funzionamento di quell’alleanza di base, fuori degli schieramenti ufficiali, cercata dopo il fallimento di quella ufficiale delle elezioni presidenziali. Detto questo però si sottolinea che il successo non ha risolto la crisi ideologica e identitaria del CHP. Il CHP dovrà affrontare sfide difficili, la maggior parte verranno dal partito curdo che cercherà di ritagliarsi uno spazio ideologico e politico. Il CHP sarà costretto a chiarire la sua retorica ambigua che continua a fare appello simultaneamente ai nazionalisti curdi, ai nazionalisti turchi e alla sinistra. Facendo le pulci ai nuovi sindaci se ne evidenzia l’inesperienza “notwithstanding some social municipalism and public relations methods that they learned from the AK Party”. Rimane poi irrisolto il problema della leadership ora che Özel, Imamoğlu e Yavaş sono diventati politici di primo piano. Premesso che la leadership di Erdoğan non è in questione e che il risultato ci dice che la classe dirigente del suo partito è ben povera cosa (il governo attuale vede ministri tecnici in tutti i dicasteri chiave), si può iniziare a pensare come Imamoğlu, se sarà lui il candidato (e vincitore) alle prossime lezioni presidenziali, possa riavvicinare le due anime della Turchia e se rinuncerà alle ambizioni neottomane in politica estera.
- marzo viene pubblicata la comunicazione Il giusto equilibrio sulla migrazione: un approccio equo e risoluto allo stesso tempo - Com(2024)126. Mentre si afferma che “l'UE [si è dimostrata] un continente affidabile, che garantisce protezione a chi ne ha bisogno e si assume il ruolo di attore globale” si firmano accordi con l’ennesimo dittatore. Il memorandum UE-Egitto foraggia con svariati miliardi di euro un regime che, a causa del crollo dei profitti derivanti dal passaggio delle navi nel canale di Suez, è in gravissima crisi economica. Soluzioni di questo tipo rischiano di mostrarsi come rimedi temporanei se mancano di prospettiva di lungo periodo. Come accaduto per la Tunisia “l’intesa tra Bruxelles e il Cairo pone interrogativi circa la non ben definita cornice politica e strategica nella quale si dovrebbero iscrivere i rispettivi obiettivi posti in essere da Unione Europea ed Egitto nella stipula del memorandum”. Dopo Turchia, Libia e Tunisia anche all’Egitto sono consegnate le chiavi della gestione dei confini europei. Anche nei Balcani le cose non vanno bene. A due anni dalla firma degli accordi di Orhid per l’UE è riprovevole che “despite extensive efforts by the EU and the broader international community, there has been so far very limited progress by both Kosovo and Serbia in implementing the obligations they accepted under this Agreement”. In Bosnia ci si aspetta che le autorità attuino le riforme garantendo elezioni in linea con gli standard europei. Ciò nonostante nel successivo consiglio europeo vengono avviati i negoziati di adesione. A Gaza la situazione rimane disastrosa. In Cisgiordania non si fermano le confische delle terre dei palestinesi e le costruzioni di nuovi insediamenti per i coloni. Accusati di applicare doppi standard nelle loro risposte all’offensiva israeliana a Gaza gli europei vedono svanire quel soft power che per anni hanno cercato di coltivare. In maniera acritica e senza verificare in modo indipendente le accuse israeliane all’UNRWA molti paesi sospendono i finanziamenti spingendo al collasso economico dell’Agenzia ONU. Al Consiglio Affari esteri si discute di Gaza senza arrivare a conclusioni. Viene però presentato il 2024 Progress Report on the Implementation of the Strategic Compass for Security and Defence. Nel rapporto si contano i progressi verso l’implementazione necessaria per fronteggiare una guerra con la Russia, di cui Macron vede l’inevitabilità. Nella conferenza stampa al suo arrivo al successivo Consiglio europeo Borrell, smorza i toni apocalittici di Macron dichiarando che “War is not imminent” e riguardo alla situazione a Gaza dichiara che la situazione della popolazione è “unacceptable. And something which is unacceptable must not to be accepted. Otherwise, it is pure rhetoric.”. Per l’AR l’unico modo per fermare questa crisi umanitaria è che Israele rispetti i civili e consenta l’ingresso degli aiuti “Israel has the right to defend [itself], not to revenge”. Nelle conclusioni – EUCO 7/24 – Russia e bussola strategica sono al centro dei lavori. Per quanto riguarda Gaza le parole sono meno decise di quelle dell’AR Borrell ma finalmente si condanna la violenza dei coloni estremisti in Cisgiordania. Michel si rifugia nell’ovvio e continua a evocare la soluzione a due stati. All’ordine del giorno dal 1947 non ha portato a nulla in quanto “i diretti interessati non la vogliono”. Se Hamas vuole la distruzione di Israele, Netanyahu e altri ministri non hanno mai nascosto i loro piani annessionisti, negando qualsiasi prospettiva alla creazione di uno Stato palestinese. All’interno dello stato ebraico ci si chiede se Israele sia ancora una democrazia. Uno spiraglio di tregua si apre con l’approvazione all’ONU di una risoluzione per il cessate il fuoco grazie all’astensione USA. I “compiaciuti diplomatici” si congratulano tra di loro dimenticando che Israele non ha mai rispettato le risoluzioni ONU. Dall’altro lato l’Autorità Palestinese è alle prese con un delicato momento di ridefinizione della sua struttura. Ricevendo Abbas, Erdoğan si dichiara pronto ad assumere un ruolo di garante a nome della Palestina in un eventuale processo di pace, rifiutando qualsiasi ipotesi di sfollamento dei palestinesi, e ad impegnarsi per aiutare Fatah ed Hamas (che considera combattenti e non terroristi) nel cammino di riconciliazione. Tutto questo mentre tra il presidente turco e il ministro degli esteri israeliano si scatena una battaglia di invettive di stampo medievale. A oltre vent’anni dalla sua formulazione la dottrina della “profondità strategica” turca, almeno in Medio Oriente, mostra i suoi limiti nel deterioramento delle relazioni con Israele e nei rapporti sempre tesi con l’Egitto. Nel Golfo, a causa del supporto al Qatar, sono peggiorate le relazioni con Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Con la Siria vi è un cauto riavvicinamento ritenuto utile per contenere la minaccia dei curdi e per risolvere il problema dei milioni di profughi siriani registrati nel proprio territorio. Nel rapporto - “Everything is by the Power of the Weapon” Abuses and Impunity in Turkish-Occupied Northern Syria - HRW disvela le violenze dell’esercito turco e dei loro alleati sulla popolazione. Va meglio in Mediterraneo dove con la Grecia sembra, al netto del contenzioso di Cipro, tornato il sereno. In Turchia tutta l’attenzione è concentrata sulle elezioni municipali. Gli occhi sono puntati su Istanbul che Erdoğan punta a riconquistare. Contro l’attuale sindaco l’Akp ha candidato Murat Kurum che ha svolto tutta la sua carriera nel campo dell’edilizia fino a divenire ministro dell’Urbanizzazione. Su entrambe le sponde la campagna elettorale è incentrata sulle prospettive di “trasformazione urbana, che significa principalmente ricostruzione ex-novo di interi quartieri a rischio sismico”. Nei cinque anni di governo questioni legate a progetti infrastrutturali ed edilizi sono state al centro di conflitti tra amministrazione locale e governo centrale. Anche se il CHP non considera la possibilità di una sconfitta, il campo dell’opposizione è scoraggiato. Mentre i commentatori favorevoli al governo amplificano i problemi del CHP, nell’altro campo oltre ad ironizzare sulla figura di Kurum (non apprezzata da tutti anche all’interno del suo stesso partito) ci si chiede quanto potrà pesare il fatto che i partiti che erano in coalizione alle presidenziali ora presentino propri candidati. Chiamando a raccolta i suoi elettori Erdoğan si lamenta che al suo comizio finale ci siano la metà del milione e mezzo di persone previste. La posta in gioco è alta e a seconda che İmamoğlu o Kurum vincano le elezioni di Istanbul, ci sono due scenari completamente diversi. La vittoria di Kurum significherà un consolidamento politico e un’integrazione del potere su larga scala. In altre parole un’attuazione del sistema di governo presidenziale fino ai governi locali. Se İmamoğlu vince sarà sconfitto Erdoğan, non Kurum, sarà chiaro che l’elettorato turco vuole mantenere l’autonomia dei governi locali dal controllo del potere esecutivo, sarà lui il leader dell’opposizione. Questi due scenari determineranno anche l’evoluzione della politica economica. L’inflazione che attualmente tormenta l’economia turca è il risultato della politica di tassi bassi perseguita da Erdoğan per non perdere la base dei suoi elettori. È stata poi abbandonata con la nomina di Simsek al ministero del tesoro che però non è stato in grado di passare ad una modalità di vera austerità a causa delle imminenti elezioni locali.
- febbraio si svolge a Tunisi, nell’ambito dell’UfM, il 5° Mediterranean Water Forum. Al Consiglio europeo straordinario di inizio mese viene dato il via libera a finanziamenti aggiuntivi per il quadro finanziario 2021-2027, andranno a coprire gli aiuti all’Ucraina e le necessità connesse alla migrazione e alla gestione delle frontiere. Nelle conclusioni - EUCO 2/24 – non ci sono particolari della discussione sul Medio oriente. Sappiamo da Michel che si è discusso della situazione in Medio Oriente ma che non sono state prodotte conclusioni scritte sul tema. Nei giorni del Consiglio fa scalpore la lettera che 800 diplomatici, la cui identità rimane segreta, fanno circolare per denunciare i crimini di Israele e la complicità dei governi occidentali che hanno “fornito all’operazione militare israeliana sostegno pubblico, diplomatico e militare”. Del successivo, informale, Consiglio affari esteri, è Borrell, nella conferenza stampa al termine dei lavori ad dirci che la discussione è stata “very lively, because there are different positions among Member States” e che sono state chieste delucidazioni all’UNRWA sul caso dei dipendenti implicati nel massacro del 7 ottobre. L’A.R. precisa che la Commissione europea non ha sospeso i suoi finanziamenti all’agenzia ONU. Nel successivo, in altro formato ma sempre informale, Consiglio affari esteri, Borrell si chiede “apart from words, what else do you think has to be done” per evitare la catastrofe di un attacco a Rafah. Per L’A.R. non è un segreto che il governo israeliano volesse sbarazzarsi dell’UNRWA già da tempo. Ora però mentre si attendono i risultati dell’indagine occorre comunque provvedere ai bisogni delle persone. ‘Invitato’ alla riunione Lazzarini, forte dell’appoggio di Borrell, difende l’importanza della sua organizzazione come unica alternativa culturale e sociale ad Hamas e respinge le accuse israeliane. Nel consiglio del 19, questa volta formale, viene lanciata EUNAVFOR ASPIDES, operazione marittima intesa a difendere la libertà di navigazione nel Mar Rosso. Si discute della situazione in Medio Oriente, perorando una pausa umanitaria immediata, della prevista operazione militare a Rafah e della necessità che Israele si adoperi per agevolare gli aiuti e proteggere i civili. Viene anche messa ai voti una dichiarazione comune, in cui si propongono sanzioni ad entità israeliane, che però è approvata solo da 26 stati membri. L’Ungheria, mai nominata in nessun resoconto, si tira indietro. Rispondendo alle domande dei giornalisti Borrell si accontenta di avere un documento che “sin ser una posición formalmente de la Unión Europea, representa eso, una posición mayoritaria. Y, 26 de 27 es ciertamente mayoritaria. No se han adoptado las sanciones propuestas exactamente por la misma razón, porque no teníamos tampoco la unanimidad necesaria”. In ordine sparso la Francia impone sanzioni ai coloni israeliani, Belgio, Irlanda e Spagna si dicono pronti a introdurre le proprie se la situazione di stallo dell'Ue dovesse persistere. Alla riunione dei ministri degli esteri del G20 (vi partecipano per la prima volta i rappresentanti dell’Unione Africana) Borrell solleva il problema del rispetto del diritto internazionale da parte di Israele anche per ciò che accade in Cisgiordania dove non si fermano gli incentivi per la costruzione di nuove colonie e dove “extremist settlers are indiscriminately attacking Palestinian civilians”. Per questo motivo alcuni membri dell’UE e gli stessi Stati Uniti hanno adottato misure contro i coloni violenti. “What is happening in the West Bank is the real obstacle – well, there are many obstacles, but this is an important one - to the two-states solution”. La tensione nella società israeliana in vista delle elezioni municipali è sempre più forte, il governo di Netanhyau ferisce profondamente la democrazia israeliana. Il PE pubblica la risoluzione sulla relazione “Attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – Relazione annuale 2023” (en) - P9_TA(2024)0105. Riferendo all’assemblea parlamentare l’AR ricorda che c’è un accordo sull’adozione di sanzioni contro i coloni israeliani violenti firmato però da 26 stati e che quindi, non essendoci unanimità, l’UE non può adottare misure restrittive. La frattura dell’Occidente riceve ulteriore conferma con il veto USA alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che chiedeva un cessate il fuoco umanitario, immediato e definitivo nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti e Israele sono sempre più isolati a livello internazionale, le loro narrazioni (e quelle di chi li sostiene) non reggono la prova dei fatti. Il fallimento morale del mondo a Gaza e le risposte non univoche dei leader mondiali ai conflitti armati in corso mettono in pericolo un ordine planetario basato su regole condivise. Il protrarsi della crisi rende l’impatto regionale della guerra di Gaza sempre più pesante per paesi arabi. In particolare per l’Egitto, che privato degli introiti del canale di Suez è alle prese con una grave crisi, e la Siria dove ad un anno dal terremoto, nelle zone ribelli del nord-est non arrivano più aiuti. Seguendo la raccomandazione del PE - P9_TA(2024)0109 – in cui si esorta ad “opporsi a qualsiasi normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad in assenza di progressi significativi e verificabili”, Borrell conferma che, nonostante la situazione continui a deteriorarsi, non ci sarà normalizzazione con Damasco. La Siria è di nuovo teatro di aspri scontri tra forze USA e filo iraniane. Dal canto suo la Turchia ne approfitta per bombardare le regioni curde. Seguendo le indicazioni del consiglio di inizio mese che aveva riportato all’ordine del giorno il tema delle relazioni con la Turchia (per Michel era giunto il momento di lavorare nelle aree di comune interesse ed evitare “elementi irritanti”) la UE si astiene da commenti. Nonostante le prese di posizione a favore dei palestinesi, probabilmente proprio a causa del sostegno incondizionato di Erdoğan ad Hamas, a Turchia non è riuscita a proporsi come mediatore (non allenta la tensione la dichiarazione orale alla CIG sulle conseguenze legali delle azioni israeliane nei territori palestinesi occupati). Gli Stati del Golfo e l’Egitto, che pure ha riallacciato i rapporti con Ankara, non vogliono abbandonare il percorso di normalizzazione con Tel. Aviv. Anche con la Russia la bilancia pende più sulla seconda parola di quella “collaboration hostile” che segna i rapporti tra le due nazioni. Se sul piano internazionale il presidente sembra perdere colpi all’interno non si vedono segnali di cedimento. Nel periodo che precede le elezioni municipali, l’arresto di un avvocato, per le sue dichiarazioni contro la Sharia, infiamma il dibattito sul ruolo dell’Islam nella vita pubblica. Secondo i critici laici l’islamizzazione del paese si rafforza di giorno in giorno, lo provano quello succede nell’insegnamento pubblico e le sempre più aggressive campagne contro il movimento LGBT. Dopo le dimissioni forzate della Erkan il nuovo capo della banca centrale Fatih Karahan, rimanda, decisione ampiamente voluta da Erdoğan, un altro aumento dei tassi di interesse ad un ulteriore aumento dell’inflazione. La presentazione del primo aereo da caccia di produzione nazionale è un altro tassello della campagna elettorale destinato a stimolare l’orgoglio nazionale e a nascondere i gravissimi ritardi nel processo di ricostruzione post terremoto. Dopo la sconfitta alle presidenziali l’opposizione si presenta divisa. Tutti i partiti presenteranno un proprio candidato. Il partito DEM (il nuovo nome dell’HDP necessario a contrastare i possibili rischi di interdizione ancora pendenti) lo farà non solo nelle sue roccaforti dell’est curdo ma anche ad Istanbul ed a Ankara poiché la base del partito considera scarsi i risultati conseguiti con le alleanze precedenti. Il DEM rimane comunque l’ago della bilancia per decidere la sorte di Istanbul. Anche nella coalizione al potere però si nota una certa disunione. L’YRP scontento dei seggi che gli riserva Erdoğan decide di correre da solo facendo leva sulla delusione di parte dell’elettorato dell’AKP.
- gennaio nei primissimi giorni dell’anno Borrell si prende il merito di aver capito tra i primi quanto fosse pericolosa la minaccia della Russia e quanto si stesse aggravando la situazione in Palestina mentre “It was widely assumed that the Palestinian issue would resolve itself”. Riferendo della sua visita a Riyad, l’A.R. rimarca il peggioramento della situazione a Gaza e l’estensione del conflitto in Libano e Mar Rosso. “Nessuno pensava al dramma nei territori palestinesi, ma in Cisgiordania era già un dramma. E anche a Gaza. E abbiamo cominciato a pensarci e a cercare una soluzione, perché la pace tra gli Stati arabi e Israele è positiva ma non basta”. Concetti ribaditi in una intervista a Le Monde. Mentre la posizione di Borrell si fa sempre più dura nei confronti di Israele, la Von der Leyen insiste nel mettere sullo stesso piano il diritto all’autodifesa dell’Ucraina con quello di Israele. Al Consiglio Affari esteri si svolgono alcuni incontri, separati, con i ministri della regione. Si discute della catastrofe di Gaza, della necessità di sostenere l'UNRWA e degli sforzi per rilanciare il processo di pace verso una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati. Cosa cui però Netanhyau non acconsentirà mai sia per il sua storia politica sia perché i suoi più stretti alleati nel governo non fanno mistero di volere il “trasferimento volontario”, di tutti i palestinesi. A Gaza come in Cisgiordania “où les colonies ne cessent de se multiplier et où les colons radicalisés, sous l’œil complice de l’armée, ne cessent d’attaquer et de spolier les Palestiniens”. Egitto e Giordania però ribadiscono l’opposizione a qualsiasi rioccupazione israeliana nella Striscia e il diritto dei residenti a tornare alle loro case. Il conflitto ha ripercussioni su tutti gli stati della regione e la deflagrazione di una guerra generalizzata è possibile in ogni momento. Anche se la situazione bellica non dovesse precipitare, rimangono sul terreno le norme del diritto internazionale, prontamente applicate contro Hamas e la Jiahd ma carta straccia nei confronti di Tel Aviv. In questo contesto la denuncia di Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) da parte del Sudafrica costituisce per molti “the last, dying breath of a dysfunctional, Western-led international system”. La denuncia manda in “pezzi la facciata di moralità e rettitudine che Israele e Stati uniti rivendicano”. Nonostante le pressioni la CIG respinge la richiesta di archiviazione e decide di procedere nella verifica delle accuse di genocidio. La decisione, presa con 15 voti a favore e 2 contrari, è solo una sentenza preliminare ma ha un alto valore politico. Impone a Tel Aviv di adottare misure immediate per consentire assistenza umanitaria nella Striscia e di riferire alla Corte entro un mese “senza alterare […] prove dei presunti crimini commessi a Gaza”. La sentenza, che pure non ordina il cessate il fuoco, provoca feroci reazioni nel governo israeliano che non ha alcuna intenzione di fermare la mattanza. Nella stessa Israele però voci non isolate parlano di genocidio e si scagliano contro chi “find antisemitism in anyone who isn't a fascist like them”. L’UE ricorda che le ordinanze della CIG sono vincolanti per le parti e queste devono rispettarle. Anche se i Paesi europei hanno opinioni diverse su questa decisione “it is essential that they now unite to fully support the ICJ’s decision and demand the implementation of the measures it imposes”. È con grande sconcerto che viene appresa la notizia che membri dell’UNRWA potrebbero essere coinvolti nell’attacco del 7 ottobre. Parlando con Gutierrez, Borrell per ora conferma gli impegni di finanziamento in corso ma le prossime decisioni saranno legate all’esito dell’indagine. Poiché l’UNRWA è l’unica realtà che può “dare effettività” all’ordine della CIG assicurando gli aiuti, bloccarne i finanziamenti di fatto rende vana la sentenza. Da un lato abbiamo “le misure cautelari della Cig per prevenire un genocidio, dall’altro le contro-misure mortali dell’occidente affinché le prime siano neutralizzate. Una meta-punizione collettiva”. In Turchia le manifestazioni di appoggio alla causa palestinese richiamano migliaia di persone. I commentatori vicini ad Erdoğan, come molti, si dicono convinti che la realtà sul terreno e l’inerzia del mondo rendano impossibile la creazione di uno Stato palestinese. In più, esplicando il pensiero del presidente, sostengono che anche gli stati arabi non vogliono lo Stato palestinese e che impediscono ad altri stati musulmani di cercare una soluzione. La soluzione a due Stati sarà possibile quindi solo dopo “radical changes in the global balance of power or the success of the Palestinian resistance against the occupation”. Anche l’intervento militare occidentale in Mar Rosso viene criticato dalla Turchia che però cerca di inserirsi nei giochi così come, alla stregua di Israele lascia (intanto si riunisce il Gruppo di Astana) senza elettricità i curdi siriani colpiti da massicci bombardamenti. La ratifica del parlamento turco all’adesione della Svezia alla Nato sblocca immediatamente la vendita degli F-16 ad Ankara e, nel quadro del rafforzamento Nato in Mediterraneo, degli F-35 ad Atene. In un discorso al MIT (National Intelligence Organization) Erdoğan riafferma che “Every decision we take in domestic and foreign politics and every policy we implement is completely based on Türkiye”. Ciò riporta lo sguardo al contesto politico interno dominato dalla campagna elettorale per le amministrative del prossimo marzo. La partita principale si gioca nelle grandi città, su tutte Istanbul e Ankara, che il presidente turco punta a riconquistare. A Istanbul al popolare sindaco uscente Imamoğlu, che punta a un secondo mandato, l’Akp contrappone l’ex ministro dell’Ambiente e dello Sviluppo urbano Murat Kurum La designazione di Kurum, figura meno popolare di altri membri dell’AKP, rientra nella strategia del presidente di puntare sullo sviluppo urbano come cavallo di battaglia della campagna elettorale. Inoltre Kurum ha il sostegno del settore edile pronto ad approfittare della nuova legge sulla rigenerazione urbana antisismica e della conseguente campagna di espropri e ricostruzione. Ciò permetterà “a costruttori e amministrazioni di aggirare le tutele ambientali e del patrimonio culturale e l’opposizione dei residenti” i quali, non potendo sobbarcarsi dei costi della ricostruzione, saranno cacciati dalle loro case. La scelta di Kurum è dettata anche dal fatto che l’opposizione non presenterà un candidato unico e Imamoğlu non avrà il sostegno di Meral Akşener e del suo partito. Dopo la sconfitta alle presidenziali “the CHP, not President Recep Tayyip Erdoğan’s ruling Justice and Development Party (AKP), appears to be the central target for nearly all opposition parties in their local elections campaign”. Anche le vicende legate all’attività della banca centrale sembrano legate alle strategie verso le amministrative. Se da un lato si assiste ad un ulteriore aumento al 45% del tasso di interesse di riferimento per combattere l’inflazione, dall’altro viene dichiarato che ci sarà una pausa in questi rialzi. Altro segnale è costituito dagli attacchi che la governatrice Erkan deve subire mentre “Political rumours have been restless as the rumours of Erdoğan’s discontent with the new management”. Non ultima la vicenda deputato Can Atalay mette in luce lo scontro tra la Corte Costituzionale e la Corte Suprema d’Appello.